lunedì 29 marzo 2010

Wish you were here


Walter arrivava puntuale ogni sabato mattina, appena dopo le nove. Vestito con un lungo impermeabile blu, da cui spuntavano due scarpe nere, spesse e gommose, la sua faccia da Stan Laurel triste e solitario, entrava nel negozietto di dischi usati dove lavoravo e si dirigeva senza indugi verso la casella dei Pink Floyd; dopo aver scartabellato qualche minuto, ne estraeva "A sacerful of secret". Oppure "The piper at the gates of dawn". In mancanza si accontentava di "A nice pair", il doppio album che li racchiudeva entrambi, se pur con una copertina diversa. Invariabilmente, metodicamente, settimana dopo settimana, Walter acquistava sempre gli stessi due ellepi. Un sabato, dopo che per qualche tempo nessuno dei due titoli fu disponibile, si presentò con un sacchetto, da cui li estrasse goffamente, inserendoli in mezzo agli altri; dopo aver girellato cinque minuti, li riprese per portarli alla cassa con aria trionfante. Pagò e uscì visibilmente soddisfatto. Ho sempre pensato che fosse pazzo, ma negli ultimi tempi ho dovuto rivedere il giudizio, quando ho capito che in fondo tutti noi appassionati di musica (categoria prevalentemente maschile, di ardua definizione, ma certamente in via d'estinzione), non facciamo altro che ricomprare sempre lo stesso disco. Forse non è uno, forse sono dieci, ma il concetto non cambia. È solo con quel/quei titolo/i che la magia si ripete, restituendo l'emozione del primo ascolto, riportandoci alla cameretta con lo Stereorama 2000 comprato per corrispondenza da Selezione del Reader's digest o nel salotto del compagno di classe il cui papà, beato lui, aveva il Thorens con testina Shure e il preamplificatore e il finale Quad. Walter lo aveva capito, da subito; e grazie a questa intuizione non si era fatto distrarre inseguendo migliaia di gruppi e di artisti, in vinile, in cd, in mp3, conservando nostalgicamente le prime musicassette, addirittura gli stereo 8 di papà; no, lui si era semplicemente, ma efficacemente, concentrato su quei due dischi, tralasciando tutto il resto. Ho incontrato Walter da poco: stava comprando i primi quattro dei Black Sabbath. Nessuno è perfetto.

lunedì 22 marzo 2010


Ieri pomeriggio, mentre uscivo da un negozio sotto casa, mi avvicina un ragazzo, età indefinita, trenta, quarant'anni, vestito in maniera sciatta, capelli lunghi e sporchi. Da bravo progressista che non lascia inascoltate le richieste del prossimo, tolgo le cuffiette (stavo ascoltando "Self titled" degli XX), pensando a quale bizzarra motivazione avrebbe preceduto la consueta richiesta di qualche euro: un panino, il biglietto del treno per tornare a casa, la benzina per la macchina, un regalo alla vecchia mamma in fin di vita. Invece, arriva una domanda: "Ascolti musica?". Sì, ovviamente. "Rock o jazz?". Entrambi. A questo punto estrae dalla tasca un cd in una busta di plastica, con una copertina in bianco e nero, fotocopiata. "Ecco, questo l'ho inciso io, da solo. È un genere un po' di confine, ma credo che potrebbe interessarti". Odio i generi al confine. Leggo le scarne note di copertina: Roberto Ferri (nome di fantasia, ma solo perché quello vero non me lo ricordo) suona il basso come primo strumento, poi percussioni e chitarra. un indirizzo di My Space. Istintivamente penso a Marcus Miller. "Come saprai, è molto difficile riuscire a far ascoltare la propria musica. Così ho deciso di provare a proporla personalmente. Sono certo che ti piacerebbe, sono bravo sai, e costa solo cinque euro". Il mio cervello lavora vorticosamente: lo prendo e se poi non mi piace? Con tutti i dischi che stanno aspettando di essere ascoltati per la prima volta. Per non parlar di tutti quelli che vorrei riascoltare... E se dentro non c'è registrato niente? Cinque euro? Ma se non pago Brad Mehldau o David Byrne perché dovrei dare dei soldi a uno sconosciuto? Gli dico no, grazie. Mi allontano, inseguito dalle sue parole - "Peccato, hai perso un'ottima occasione. Ciao, stai bene" – vergognandomi un po'. Appena arrivo a casa sono definitivamente pentito. Avrebbe potuto essere una bellissima scoperta o nel peggiore dei casi un disco come mille altri che ho sentito e ho dimenticato dopo due minuti. E soprattutto avrei potuto conoscere una persona: non serve anche a quello la musica?

lunedì 15 marzo 2010

Re-play


Un articolo apparso sul Domenicale del Sole 24 ore del 28 febbraio a firma Stefano Salis, segnala il caso di Helena Hegemann, una diciassettenne scrittrice tedesca che ha ammesso, dopo esser stata scoperta, di aver scopiazzato allegramente intere pagine da un altro libro. Ciò nonostante, "Axolotl Roadkill" – storie di droga e sesso a Berlino, lo pubblicherà Einaudi – ha continuato a vendere ed è anche arrivato in finale al premio letterario della Fiera di Lipsia. L'autore parla esplicitamente di plagio, ma poi concede che "la campionatura è, in effetti, una delle cifre della contemporaneità", in particolar modo con riferimento alla musica. Vero, ma fin dalle origini la 'campionatura' è stata un modo per trasmettere la musica, almeno fino a quando non ne è stata codificata la scrittura, così come la copiatura, il suo equivalente letterario, ha reso possibile tramandare i capolavori del passato; ma senza per questo che nessuno confondesse il monaco cistercense chino sugli incunaboli con Aristotele. Tra autore e lettore non vi è nessun intermediario (al limite un traduttore); mentre l'esecutore è un medium necessario all'ascolto (e se volessimo esagerare potremmo considerare anche i media nel conto: una radiolina, un impianto hi-fi e un iPod rappresentano tre ascolti differenti), tanto che tutta la tradizione occidentale si basa proprio sul concetto di esecuzione e di interpretazione. Con l'innovazione tecnologica, con la contemporaneità, si sono aggiunti la campionatura e il remix: con il primo s'intende la porzione di un brano dichiaratamente inserita all'interno di un altro (dal basso di "Good times" in "Rapper's delight" a "Mamma voglio anch'io la fidanzata" degli Articolo 31); con il secondo la rilettura (o riscrittura?) di una canzone, da parte di un dj o di un altro musicista (ad esempio "Artificial Horizon", imminente raccolta di remix degli U2). Ma anche in musica e nell'era digitale dell'incerto diritto d'autore, il plagio resta plagio. (Questo articolo è stato rimediato leggiucchiando svariate fonti: sono a disposizione degli autori e degli eventuali eredi per l'assolvimento degli obblighi di legge).

lunedì 8 marzo 2010

Riceviamo e volentieri pubblichiamo


Gentilissimo, vorrei affidare a te queste parole, prima del mio suicidio digitale, affinché il mio cattivo esempio possa servire alle nuove generazioni per non commettere gli stessi errori. Sono le 4 e 30 di una lunga e livida notte di marzo: ho appena finito di scaricare "Il tesoro della Sierra Madre" di John Huston e cosi anche il mio hard-disk esterno da un Terabyte dedicato ai film è completamente pieno. Sono più di 1400 titoli. Ad oggi ne ho visti sette. Intanto, grazie ai miei abbonamenti Rapidshare, Megaupload e Hotfile, sto contemporaneamente facendo il download della discografia completa di Anthony Braxton in formato mp3, di un vecchio disco della Rah band di cui non ricordo niente se non la copertina, di quattro o cinque gruppi della scena neo-folk tra cui Peasant, The Bear That Wasn't e First Aid Kit. Finiranno prima sul desktop del mio computer, dove già stazionano il nuovo Jay Farrar, l'ultimo dei Turin Brakes e una compilation di musica sudafricana, Soweto Township, Sounds from the Golden Age of Mbaqangwa. In seguito transiteranno da iTunes per finire nel mio iPod da 160 gigabyte insieme ad altri 2000 dischi, più o meno. Qui sono messo meglio: ne ho già sentiti almeno un centinaio. Poi ci sono i podcast quotidiani di 610, Caterpillar e della trasmissione settimanale di Rogie, The Vinyl sunday, novanta minuti di musica black, in tutte le sue accezioni. Siamo alla quinta puntata; ascoltata mezza. Questa sterminata massa binaria m'impedisce l'ascolto dei dischi che amo (e che oramai sono diventati solo un piacevole e sbiadito ricordo), impegnato come sono a decomprimere, aggiungere le copertine, classificare e infine dimenticare in un angolo recondito dell'inconsistenza digitale in cui oramai abito. Non ho tempo. E di conseguenza non ho nemmeno denaro. Così ho finalmente maturato il proposito di cancellare tutto, annientare ogni singolo bit della mia inutile e inutilizzata raccolta; con una semplice pressione di un tasto, da stanotte sarò di nuovo un uomo libero. Guardo per l'ultima volta il computer: il nuovo Moby, live da Montreal? Clic.

lunedì 1 marzo 2010

Un festival per la musica

Ci sono festival e rassegne per ogni argomento (e per alcuni, anche più di uno): letteratura, scienza, filosofia, storia, filosofia della storia, storia della filosofia. E poi la mente, il mare e qualunque altro pretesto possa servire a convincere uno sponsor pubblico o privato. Un solo tema è pervicacemente sfuggito fino ad oggi: la musica. Certo, direte voi, la musica si ascolta e le occasioni, anche molto interessanti, ci sono. Vero; ma, lapalissianamente, parlare di musica non equivale ad ascoltarla. Qualcosa ogni tanto accade: a Genova, Giovanna Zucconi per i Lunedì FEG al Modena, ha intervistato diversi personaggi sulle canzoni della loro vita; e all'interno di "Fare gli italiani", il prossimo 29 marzo al Teatro della Corte, Ernesto Franco
animerà una serata dal titolo "Sport e musica leggera" (speriamo non limitandosi ai terrificanti inni delle squadre o a De Gregori e alla sua sfiancata leva calcistica del '63). Ma sono casi sporadici, che non hanno nulla a che vedere con manifestazioni come il festival di Mantova per la letteratura, Modena per la filosofia o Genova per la scienza: insomma, siamo certi che un'iniziativa di questo tipo – tre giorni in un'amena località in compagnia di musicisti, autori, compositori, operatori, critici – potrebbe essere un'occasione per allargare il sempre più asfittico mercato discografico, oltre che un interessante momento di dialettico confronto fra chi la musica la fa e chi l'ascolta (o la subisce). Altrimenti tocca rassegnarsi e attendere che qualche artista di buon cuore passi da Fazio per presentare il suo nuovo cd o che Morgan dichiari di essere il figlio illegittimo di Fanfani, con conseguente speciale ad Anno zero; e sbarrare gli occhi di fronte alla puntata di domenica 28 febbraio dell'Arena condotta da Massimo Giletti, in cui Marino Bartoletti e Cristiano Malgioglio discettavano su Sanremo e sul televoto truccato, con Klaus Davi, Maria Teresa Maglie e Katia Ricciarelli a dargli manforte. Roba da rimpiangere il silenzio (magari nella versione di John Cage).

Un Amore Supremo

In occasione dell'uscita in edicola di A Love Supreme, primo titolo della collezione I Capolavori del Jazz in Vinile, sono andato a ria...