Non
sono un critico letterario. Non so nemmeno cosa sono a dire il vero, ma
fondamentalmente mi sento un commesso di dischi, il mestiere che più ho amato e
che più mi somiglia. Per cui se parlo dell’ultimo Premio Strega – La Ferocia di
Nicola Lagioia – lo faccio esclusivamente in questa veste e perché mi sento
direttamente chiamato in causa. Già, perché dietro la storia di Clara, rampolla
di un palazzinaro barese in fissa con la cocaina e il sesso, che peraltro muore
a pagina 3, si cela un pamphlet durissimo nei confronti del vinile e dei negozi
di dischi. Si tratta di un lento ma inesorabile disvelamento, in principio
magistralmente celato. Siamo all’inizio del libro: Alberto, il marito di Clara,
ne aspetta il ritorno; si addormenta davanti alla TV, poi si sveglia e nel
cuore della notte decide di ascoltare un disco: “Aveva raggiunto lo stereo. In meno di un minuto il jazz del Minton’s
Playhouse invadeva il soggiorno smontando rabbia e infamia dal suo cuore … gli
accenti spostati sui tasti del pianoforte, i cluster e i silenzi improvvisi
rimescolavano i concetti di prima e dopo perché il mondo risuonasse un tutt’uno
già redento in ogni scheggia”. Prosa degna di Murakami, ma perché non
rivelare di quale disco si tratta? Una dimenticanza ho pensato, però bravo
Lagioia, cita uno dei titoli fondamentali della storia del jazz, la seduta del
maggio 1941 del chitarrista Charlie Christian, pietra miliare del bop e in
particolare uno dei quattro brani in cui al pianoforte c’è nientemeno che
Thelonious Monk. Proseguo speranzoso, ma quando entra in scena Silvio Reginato,
un personaggio minore, il sospetto comincia a farsi strada: lo scopriamo a
frugare tra gli scaffali della libreria “dove
tiene i dischi e i cataloghi d’arte”. Non bastasse questa evidente
stonatura – non si mettono dischi e cataloghi d’arte insieme per evidenti
motivi – qualche riga dopo veniamo a sapere che vicino ai dischi c’è un
raccoglitore azzurro con decine di scatti osceni. Ecco il primo attacco: non solo
i dischi li sistemiamo dove capita, ma addirittura il loro posto è tra la
pornografia. Nonostante tutto proseguo sereno fino al 1989 quando, secondo
Lagioia, quello che veramente conta “sono i disegni riprodotti industrialmente
sulle copertine di certi dischi, fumetti, libri e cataloghi d’arte da
cinquemila lire l’uno”. Siamo al dileggio: “certi dischi”, anche qui non si fa
menzione di titoli, solo banalmente copertine riprodotte industrialmente (e
come dovevano farle, a mano?), anche qui vicino agli onnipresenti cataloghi
d’arte, ma da cinquemila lire l’uno, cifra con cui all’epoca ci compravi sì e
no un Giallo Mondadori. Comincia a montarmi una rabbia sorda fino a quando il
fratello di Clara, Michele, un giornalistucolo fallito, mi apre definitivamente
gli occhi. Lagioia lo descrive come un disadattato, uno che “ha cominciato ad andarsene in giro da solo
per la città… Giardinetti. Sale Giochi. Parla con gente che non conosce. Fa
amicizie estemporanee con persone che non vede più per giorni. Le reincontra
davanti a un negozio di dischi”. L’affondo non lascia dubbi: emarginati e
asociali si ritrovano davanti ai negozi di dischi (posso confermare che spesso
entrano, ma non è questo il punto) e Michele è uno di loro; lo ribadisce con le
parole di Clara, “certe volte ha in
effetti lo sguardo un pochino allucinato” e lei “lo trova davanti al negozio di dischi insieme ai nuovi amici”. Il
disprezzo trapela, sembra di sentir parlar mia madre. Non pensate sia finita:
appena può Lagioia rincara la dose, del tutto gratuitamente: “Vento inpietoso, pioggia di foglie sui
negozi di dischi”. Poi un giorno Clara, esasperata, esce di casa: “in centro fa quattro volte a piedi il giro
dell’isolato…Per prendere tempo, entra in un negozio di dischi”. Ovvio che
il mercato discografico sia in crisi: nei negozi, presi a schiaffi dal vento,
si entra, quando si entra, solo per perdere tempo. E per farne perdere ai
commessi (me li ricordo bene quelli che girellavano tra i banchi scegliendo con
cura il titolo per essere certi che non fosse disponibile). Infine la
rivelazione: Per Lagioia la musica è solo un sottofondo: “Sulle loro teste aleggiava una musichetta proveniente dal settore
abbigliamento. Sospinta e disfatta dal vento poteva ricordare A Change Is Gonna
Come”. La spocchia dello scrittore per cui un capolavoro come la canzone di
Sam Cooke è solo una musichetta che si ascolta al supermercato (e qui si
dovrebbe aprire una parentesi sul doloroso distacco dell’intellettuale dal
popolo: Lagioia evidentemente non è mai entrato in un supermercato, altrimenti
saprebbe che la musica è uguale in tutti i reparti) ci rivela che la ferocia
del titolo è quella di un’Italia che ha ormai dimenticato l’importanza dei
dischi, dei negozi e dei soprattutto dei loro commessi. In nome e per conto di
tutti loro, ultimi baluardi contro l’abbruttimento e la povertà del mondo che
ci circonda, vi chiedo di boicottare il libro di Lagioia. Con quei soldi, 19
euro e cinquanta, in un buon negozio di dischi, con un commesso competente e
gentile, potreste scoprire autentici capolavori.
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