Quando nel giugno del 1982
viene pubblicato Titanic, l’ellepi[1] che contiene la canzone di cui andremo finalmente a svelare il
vero significato, in Italia Spadolini è a capo di un governo di pentapartito
che aprirà la strada a Bettino Craxi, mentre negli Stati Uniti un attore è diventato
Presidente: insomma, sta per trionfare l’edonismo reaganiano, lo yuppismo, o
molto più all’italiana la Milano da bere. Il paese è già concentrato sugli imminenti
mondiali di Spagna e forse per accattivarsi i tifosi, il brano viene scelto
come 45 giri per i juke-box[2] (nel lato B un’altra canzone dall’album, Centocinquanta stelle), anche se nelle radio libere[3] si trasmette soprattutto il pezzo che dà titolo all’album. Qualche
anno dopo Gabriele Salvatores inserisce la canzone nella colonna sonora di Marrakech Express, nella celebre sequenza della partitella di
calcio nel deserto, un’Italia-Marocco a metà tra Pasolini[4] e il terzomondismo. Forse è stato proprio allora che La leva calcistica della classe '68 ha
iniziato il suo percorso verso l’immortalità, grazie anche ai solerti
giornalisti sportivi RAI che non hanno mancato di infilarla in ogni servizietto
di approfondimento sul calcio giovanile, meglio se di periferia. Eppure a
leggere bene il testo è evidente che ci troviamo di fronte a un chiaro caso di
allucinazione collettiva. Abilmente sedotti da un dodicenne “che sembra un uomo
con le scarpette di gomma dura” e che non dovrebbe “aver paura di sbagliare un
calcio di rigore”, perché “non è mica da questi particolari che si giudica un
giocatore”, critica e pubblico hanno sempre avvalorato un’interpretazione politically
correct: che sarà mai sbagliare un penalty, “un giocatore lo vedi dal coraggio
dall'altruismo e dalla fantasia”, nello sport come nella vita i valori sono
altri. Ma le parole successive, su cui nessuno evidentemente si è mai
soffermato, contraddicono impietosamente l’assunto: Nino prende “un pallone che
sembrava stregato” e si guarda bene dal passarlo a chicchessia, tanto che “entrò
nell'area tirò senza guardare ed il portiere lo fece passare”. E allora tutti a
esaltarsi per Nino (ma se non avesse segnato, pensate che gli
avrebbero dato la maglia numero sette l’anno dopo?) e nemmeno una parola per il
povero portiere di cui non conosciamo neanche il nome (e quanta ambiguità in quel “lo
fece passare”, si può già ipotizzare una combine a livello giovanile?). Come se
non bastasse ecco l’affondo sui giocatori tristi, quelli “che non hanno
vinto mai”: “adesso ridono dentro al bar, e sono innamorati da dieci anni, con
una donna che non hanno amato mai”. Insomma autentici falliti che hanno
continuato a inanellare sconfitte, dal campo di calcio alla cucina di casa
(figuriamoci sul lavoro, ammesso che ne abbiano uno, visto che passano le loro
giornate al bar). E allora anche il ’68 del titolo, anagraficamente sbagliato (Nino
nel 1982 ha dodici anni, dovrebbe essere nato nel 1970), si rivela un cinico
sberleffo per una generazione che proprio in quel momento storico vede
profilarsi la sconfitta dei suoi ideali. E pur se la canzone resta uno dei più
fulgidi esempi dell’arte cristallina di Francesco de Gregori sia chiaro una
volta per tutte: Nino è un veroo stronzo, come tanti altri che abbiamo
incontrato sui campetti di calcio. E purtroppo anche fuori.
[1] Supporto
in vinile per la memorizzazione analogica di segnali
sonori. Molto in voga per tutto il secolo scorso; ultimamente si parla di un
suo ritorno, ma per molti non è mai andato via.
[2] Apparecchio
da installazione pubblica che riproduce brani musicali in modo automatico in seguito all'introduzione di una moneta al suo interno e alla scelta della canzone da parte dell'ascoltatore. Molto in voga tra gli anni ’50
e ’70.
[3] Espressione
riferita alle emittenti radiofoniche nate in Italia dopo la liberalizzazione
dell'etere sancita dalla Corte
Costituzionale nel 1976.
Molto in voga tra gli anni ’70 e ’80.
[4] Poeta, scrittore, regista, sceneggiatore, drammaturgo e giornalista italiano. Molto in voga negli anni ’70 e nel 2015, quarantennale
della sua morte.