lunedì 21 marzo 2011
Talkin' World War III Blues
Il 18 marzo scorso, il giorno dopo l’approvazione da parte del Consiglio di Sicurezza dell'Onu della risoluzione che ha autorizzato l'imposizione della no-fly zone sulla Libia “con tutti i mezzi a disposizione”, il quotidiano francese Libération è uscito con una doppia copertina: in prima pagina la foto di Gheddafi e il titolo “La guerre”; in ultima pagina, una prima rovesciata, un’immagine di un elicottero sopra Fukushima e la scritta “La centrale infernale”. Un tragico, ma efficace riassunto di una settimana alla quale è difficile dare una colonna sonora, in cui verrebbe voglia di scrivere ‘chiuso per lutto’, limitarsi a copiare “Alle fronde dei salici "di Salvatore Quasimodo o rannicchiarsi sul divano ad ascoltare uno di quei dischi che si tirano fuori nelle occasioni che contano. E così ho fatto, pescando dal mucchio “The Freewheelin' Bob Dylan”, guidato nella scelta da un inconscio che quasi sempre si rivela molto più lungimirante dell’io che lo contiene. Ho guardato la foto di copertina, dedicando un ultimo pensiero a Suze Rotolo, l’allora fidanzata di Dylan ivi ritratta e scomparsa il 24 febbraio di quest’anno, mentre in sottofondo partivano le (arci)note di "Blowin' in the Wind". Dopo poco più di sei minuti, all’inizio del terzo brano, “Masters of War”, mi alzo ed estraggo dalla libreria un vecchissimo libro della Newton Compton, pagato all’epoca milleduecento lire, “Blues, ballate e canzoni”, i testi dei primi undici album di Robert Zimmerman da Duluth: “e spero che moriate, e che la vostra morte venga presto, seguirò la vostra bara, un pallido pomeriggio, e guarderò mentre vi calano, giù nella fossa, e starò sulla vostra tomba, finché non sarò sicuro che siete morti”. Ancora due canzoni che quasi non ascolto, ho ancora nelle orecchie l’invettiva contro i padroni della guerra e inizia “A Hard Rain's A-Gonna Fall”: “e cosa hai sentito, figlio dagli occhi azzurri, cosa hai sentito, dolce mio figlio, ho sentito il fragore di un tuono, e il suo rombo era un avvertimento, e ho sentito il fragore di un'onda, che potrebbe sommergere tutto il mondo, ho sentito cento tamburini, e le loro mani erano in fiamme”. Mi risveglia il tac della puntina sul solco finale, insistito, ripetuto, sempre uguale; mi alzo, sollevo con delicatezza il braccio del giradischi, mi siedo di nuovo resto lì, senza pensare a nulla.
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