lunedì 25 aprile 2011
Bella, ciao.
Nella settimana di Pasqua, per una pseudo-rubrica di musica sarebbe d’obbligo parlare dell’ultima provocazione di Lady Gaga, il suo nuovo singolo "Judas", pubblicato proprio durante la Settimana Santa. Ma dopo tre righe dell’ennesima polemica montata ad arte e tre note dell’ennesima scopiazzatura di un qualunque pezzo di Madonna, in cui la pseudo-signora, pseudo-canta il suo innamoramento per il traditore di Cristo, l’idea viene già a noia. Così ci salva il calendario, che nel 2011 situa la dipartita del figlio di Nostro Signore verso la destra del Padre, in coincidenza con l'anniversario della liberazione dal nazifascismo. E i ricordi tornano ai 25 aprile di qualche anno fa, quando nella piazza delle scuole (così lo spazio antistante elementare e media di quartiere: asfalto, platani e panchine, periodicamente dotato di giostra) la locale sezione del PCI (o era il PSI? o, forse, addirittura insieme?) allestiva quattro, cinque stand con la pesca di beneficenza, la libreria, i friscieu (le frittelle, spesso regalate dai corpulenti cuochi, impietositi dalle nostre facce sbavanti) e i megafoni appesi agli alberi, che inesorabilmente diffondevano “El pueblo unido” e “Bella ciao”, ancora fortunatamente non in versione Modena City Ramblers. Proprio ripensando alla colonna sonora di quei giorni, nel ricordo sempre soleggiati, miti e spensierati, e ritrovando in settimana il valoroso Gianni Morandi alle prese con la promozione del suo ‘attesissimo’ nuovo album (in realtà la solita raccolta con l’aggiunta dell’inedita “Rinascimento”), mi è tornata alla mente la serata del Festival di Sanremo dedicata ai 150 anni dell’Unità d’Italia. Proprio in quell’occasione, grazie all’ineffabile coppia Mazzi - Morandi, tra le quattordici canzoni che avrebbero dovuto celebrare l’importante anniversario, non si trovò posto per “Bella Ciao”, sicuramente la canzone che nell’immaginario nazionale più di ogni altra celebra la vittoria sul fascismo e la nascita della nuova Italia repubblicana e democratica. Lo stratagemma usato per eliminarla è un vero e proprio marchio di fabbrica della destra populista berlusconiana: si contro-propone un’assurdità (nello specifico a Sanremo l’esecuzione bipartisan dell’inno fascista “Giovinezza”) e poi si rimuove tutto, in un impeto di magnanimità, che finisce invece per raggiungere il vero scopo: “per non scontentare abbiamo deciso di toglierle tutte e due” dichiarò Morandi all’epoca, fingendo di non sapere che così si accontentava solo la parte che non voleva la canzone partigiana sul palco di Sanremo (nell’ultima puntata di Anno Zero Marco Travaglio ha spiegato perfettamente il meccanismo, parlando del tentativo di bloccare il processo Ruby attraverso il ricorso al conflitto di competenza). Quella stessa sera Morandi cantò proprio “Rinascimento”: “Questo mondo tende la sua mano/ forse cerca Dio … questa sete di potere, di potere e denaro, un destino troppo amaro. La soluzione forse è pregare”. Giusto per sapere chi si nasconde, dietro quella faccia da eterno bravo ragazzo. Resistere, resistere, resistere e buon 25 aprile a tutti.
lunedì 18 aprile 2011
Let’s Face(book) the music and dance
La puntata di Report del 10 aprile scorso ha suscitato sgomento e ansia tra gli utenti Facebook, quando hanno improvvisamente scoperto che affidare la propria mail o il proprio numero di cellulare alla ‘Rete’, comporta qualche rischio: nel peggiore dei casi potrebbero violare il vostro account, impadronirsi del profilo e provare a clonarvi la carta di credito riducendovi sul lastrico nel giro di poche ore (se leggete questo post, sicuramente non avete una carta di credito che possa minimamente interessare a un pirata informatico dotato di un minimo raziocinio); nel minore, incroceranno i vostri dati (più ne mettete e più possibilità gli date) per scoprire i vostri interessi, le vostre propensioni, i vostri amici e usarli per farvi sganciare qualche soldo. Niente di grave occhio e croce, non più del rischio che correte quotidianamente entrando in un tabacchino o peggio in una ricevitoria abilitata alle scommesse. In genere basta girare al largo dalla pagina di destra del vostro profilo, quella in cui Facebook vi consiglia le “Persone che potresti conoscere” (di regola gente che conosci benissimo e che eviti con estrema consapevolezza) o vi segnala il nuovo ‘game’ del momento (“Gioca a Glory of Rome. Forma un esercito, estendi il tuo impero e prova il gioco più avanzato di Facebook!”. C’è qualcuno sano di mente che può essere attirato da una cosa del genere?) per evitare qualunque pericolo. Certo, le menti raffinate di Facebook ne sanno una più di Goebbels e riusciranno ugualmente a farvi cadere in trappola. L’altro giorno, pur avendo rivisto ancora una volta la trasmissione della Gabanelli su Rai Replay prima di accedere al perfido social-network, di fronte alla scritta che mi occhieggiava dallo schermo - “ti piace Bob Dylan, visita la pagina di Adriano Tarullo” - ho ceduto anch’io. Dopo qualche minuto di esitazione, in cui ho provato a immaginare il legame tra il menestrello di Duluth e il Tarullo in questione, guardandomi bene in giro e riconfigurando tutte le opzioni di privacy del mio account (Se vedi "http:" invece di "https:" allora tu NON hai una sessione protetta e può essere violata. In ogni caso Vai ad Account - Impostazioni account - Protezione Account - fare clic su CAMBIA. Casella di controllo - navigazione protetta - fai clic su Salva), ho cliccato. La pagina si è aperta con la rassicurante foto di un’anziana signora, evidentemente abruzzese, seduta su una panchina con una chitarra elettrica in mano, vicino ad un ragazzo in piedi. Entrambi ridono. Spostandosi sull’immagine parte l’audio di un brano ovviamente in dialetto abruzzese; più sotto una scritta: “Compilando il modulo qui sotto con il tuo nome (non occorre il cognome) e la tua e-mail principale, potrai scaricare (GRATIS) l'intero contenuto dell'album ‘Sacce cu è ju bblues’ e il singolo della canzone ‘Tutte le fundanelle’ dell'album ‘I vuojjie bbene a nonnate’.” Atroce dilemma degno di una tragedia shakesperiana. Compilare e poter godere di ‘Tutte le fundanelle’ o fuggire a gambe levate da un possibile hacker? Ai posteri l’ardua sentenza.
martedì 12 aprile 2011
Glocal hero
Venerdì 8 aprile alla Salumeria della Musica di Milano, il concerto di Aloe Blacc, la stella nascente del new-soul (“Good things” l’album, “I need a dollar” il singolo): quattrocento persone, pubblico di trenta-quarantacinquenni, molte ragazze, look casual, ma ricercato; il bar offre taglieri misti, accompagnati da vino o birra. Sabato 9 aprile, il PalaSharp, di Milano ospita il suo ultimo concerto (sarà abbattuto per ricavare spazio per il sempre più misterioso Expo 2015; intanto la città perde l’unico luogo capace di ospitare eventi musicali a capienza medio-alta). Sul palco il rapper Nas insieme all’enfant de famille Damian Marley (“Distant relatives” il loro disco insieme): quattromila persone circa, moltissimi giovani, arrivati anche da lontano (Puglia, Veneto), no-look, tra il centro sociale e la moda di periferia, colori giamaicani e afrori dolciastri. Le baracchette fuori arrostiscono birra e salciccia. Si potrebbe continuare a lungo ricordando il recente concerto di Mariza, la cantante nata in Mozambico che presenta il suo nuovo cd, “Fado tradicional”, in uno dei templi della musica classica, il Teatro dal Verme; o gli Eels all’Alcatraz, il luogo per eccellenza dell’ indie-rock. Pubblici diversi, fortemente caratterizzati, immediatamente riconoscibili, ma soprattutto raramente permeabili: molto difficilmente lo spettatore di uno dei concerti citati ha assistito anche ad uno degli altri (non solo per motivi economici); molto probabilmente lo spettatore di uno dei concerti citati non ha mai nemmeno sentito nominare uno degli altri nomi citati. In epoca di globalizzazione (o presunta tale) sembra che la musica abbia completamente perso la sua capacità di attirare trasversalmente le persone: i tanto vituperati generi hanno creato, sempre più, altrettante nicchie in cui gli ascoltatori si rifugiano confortevolmente, accontentandosi di ritrovare all’infinito le sonorità che più riconoscono. Tutto lecito ovviamente; se non fosse che dopo la sbornia degli anni ’70 in cui addirittura il rock e la classica o il rock e il jazz provavano a confrontarsi vicendevolmente, dopo la ‘world music’ che sembrava affermare la possibilità di una musica universale (quanto feconda è un altro discorso, ovviamente) assistiamo sempre più a quello che i sociologi - in tutt’altro campo - chiamano ‘glocalizzazione’, una crasi tra globale e locale applicata ai generi musicali. C’è da dire che questo fenomeno riguarda più il pubblico che i musicisti: Kanye West nel suo ultimo album “My Beautiful Dark Twisted Fantasy” campiona i King Crimson di “In the court of the Crimson King” e Nas il giro di basso di In-A-Gadda-Da-Vida; ma quanti tra i loro fan se ne rendono conto? E nel caso, quanti sarebbero minimamente incuriositi da quei dischi? Crediamo pochi e non prendiamo nemmeno in considerazione l’idea opposta, cioè che il seguace di Robert Fripp o degli Iron Butterfly sia men che lontanamente interessato a scoprire cosa si agita nel mondo rap per esempio. Tutti al sicuro nella loro tranquillizzante celletta in cui non entrano i rumori del mondo. Forse anche così, ci s’impoverisce giorno dopo giorno.
lunedì 4 aprile 2011
Songs for Japan?
Le cose devono essere andate più o meno così: 11 marzo 2011, alla scrivania di un ufficio, in uno degli ultimi piani di un qualche grattacielo di New York, un uomo di mezza età in impeccabile completo grigio sta guardando la CNN e le terrificanti immagini del terremoto e del conseguente tsunami in Giappone. Dalle vetrate s’intravede una brulicante umanità che si affanna dietro le ineludibili quotidianità della vita. L’uomo, stipendio da qualche milione di dollari all’anno più benefit ed eventuali dividendi, alza il telefono e impartisce alcuni ordini secchi. Ai piani inferiori un po’ d’agitazione: altre conversazioni si rincorrono nell’etere, tutte più o meno di questo tenore: “bisogna fare qualcosa per questa tragedia, abbiamo pensato a una compilation, non devi mica incidere un pezzo nuovo, basta che ci dai i diritti di uno vecchio, non vorrai mancare proprio tu no?”. All’altro capo del telefono Bono, Bob Dylan, John Frusciante, Lady Gaga, Michael Stipe, Bruce Springsteen, Sting, probabilmente anche loro con lo sguardo incollato su qualche schermo di tv, iPad o computer, che restituisce ogni possibile riflesso filmato del dramma. In pochissimi giorni si allestisce un cast degno: la macchina si mette in moto e già a fine mese su iTunes si può acquistare, alla modica somma di 9 euro e 90 centesimi, “Songs for Japan”, 38 canzoni, i cui proventi saranno devoluti alla Croce Rossa giapponese. Per la grafica si fa una scelta essenziale, i cartonati da piazzare in vetrina saranno pronti in pochi giorni. Intanto, in qualche fabbrica strategicamente collocata in nazioni dove il costo del lavoro e i sindacati non intralciano troppo la sacrosanta ricerca del profitto, si comincia a produrre il cd doppio, che dal 5 aprile sarà disponibile in tutti i pochi negozi rimasti in giro per il mondo. Si compila un bel comunicato (e nella fretta la Sony italiana fa un po’ confusione, forse un lapsus freudiano e scrive “Songs from Japan”) in cui si ribadisce che “gli artisti partecipanti, le etichette musicali e gli editori musicali hanno rinunciato ai loro diritti e al ricavato della vendita dell'album in tutto il mondo per garantire che la Croce Rossa riceva il maggior sostegno possibile da questa iniziativa globale” e il più è fatto (il disco è venduto a 7 euro ai negozi, dai quali vanno tolte spese di produzione, confezione, pubblicità; su iTunes sono 7,04 gli euro devoluti per ogni download). 5 aprile 2011: l’uomo è nel suo ufficio, seduto alla scrivania, il sole sta tramontando sull’Hudson, si lascia andare sulla poltrona, cambiando distrattamente canale con il telecomando. Squilla il telefono. Close-up.
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