In ossequio alla famosa frase, attribuita a Pittigrilli, anche in musica "Si nasce incendiari e si finisce pompieri" (per gli eventuali lettori più giovani: ebbene sì, il controverso scrittore Pittigrilli viene prima della canzone di Ligabue "Happy hour"; e comunque la stessa citazione l'aveva fatta anche il buon Rino Gaetano in "Ti Ti Ti Ti"). Da qualche tempo infatti, non passa mese che qualche rivoluzionario o trasgressivo dei bei tempi andati, si ritrovi circondato da orchestre ricolme di ance e violini per interpretare come un crooner consumato, standard del jazz e della musica leggera internazionale. Rod Stewart ad esempio (negli ultimi anni cinque capitoli della serie "The Great American Songbook"), Paul McCartney con "Kisses on the Bottom" (con tanto di London Symphony Orchestra), Bryan Ferry (uno che a essere sinceri rivoluzionario non è mai stato, se non 'malgré lui'), nel 1999 con un dimenticabile "As Time Goes By" ed ora con "The Jazz Age", disco che uscirà il 27 novembre, in cui l'ex Roxy Music ha ri-registrato, ma in versione strumentale e nello stile musicale degli anni '20, alcune delle sue più celebri composizioni. E anche in Italia un presunto maudit come Morgan, ci ha provato con un "Italian Songbook" in due volumi passati praticamente inosservati. Verrebbe spontaneo domandarsi se non sia più onesto e sensato continuare a suonare sempre la stessa cosa, come fanno ad esempio i Rolling Stones, piuttosto che intraprendere un pellegrinaggio verso luoghi che tanto si era disprezzato. Ma il caso Iggy Pop complica un po' le cose: l'ex Stooges, dopo un primo disco da chansonnier ("Preliminaires") dai risultati di vendita disastrosi, si è visto rifiutare dalla Virgin-Emi la pubblicazione del seguito ("Après"). L'etichetta infatti "avrebbe preferito un album con i successi punk"; Iggy non si è scoraggiato e si è auto-prodotto un inutile disco in vendita su internet e fisicamente solo sul sito Vente Privée. Ma al di là di questo, se sono le major a spingere per la pubblicazione di un disco punk, significa che la distinzione tra pompieri e incendiari oramai non ha più senso; o che oramai non passa più per il genere musicale proposto, per quanto incendiario esso sia.
lunedì 12 novembre 2012
lunedì 5 novembre 2012
DISCO MIX 155 - Che musica che fa
David Letterman presenta gli Eels |
domenica 4 novembre 2012
JOE JACKSON - The Duke Tour
l teatro è pieno, l'età media è alta (ma cosa pretendere da uno che ha pubblicato il suo primo album nel 1979?) e Jackson arriva puntuale, come conviene a un signore della sua età, che non deve fare troppo tardi. Entra, si siede alla tastiera e da solo accenna "It Don't Mean a Thing (If it Ain't Got That Swing)", brano con cui chiuderà il concerto (bis a parte), ma stavolta insieme al gruppo. Il disco da cui prende spunto il tour è infatti il recente e incerto "The Duke", omaggio poco riuscito ad un grande amore musicale del nostro.Ma l'amore a volte non basta e nemmeno il passaggio dal solco al palco aiuta, se gli arrangiamenti sono quelli pomposi di una formazione ridondante (tra cui spicca il violino di Regina Carter), una ritmica che pesta come i Level 42 di un tempo e un chitarrista che sembra una copia sbiadita di Peter Frampton. Insomma niente di più lontano dallo spirito di Ellington, che ne esce spesso con le ossa rotte (in particolare nel medley "Perdido/Satin doll" dove la tastierista canta come un'animatrice da crociera) o nel migliore dei casi – l'altro medley "I'm Beginning to See the Light/Take the A Train/Cotton Tail"- senza suscitare troppe emozioni. Le cose migliori arrivano con i brani originali – l'iniziale "It's different For Girls", "Home Town" in versione acustica, l'immancabile "Steppin' Out" – e nei due bis: una "Is She Really Going Out With Him?" con basso tuba e fisarmonica, quasi waitsiana nelle atmosfere e una "Salt & Pepper" in cui riaffiora lo spirito punk degli esordi. Poco per essere entusiasti, abbastanza per aver qualcosa da ricordare.
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