martedì 26 febbraio 2013

Sinapsi


"Sinapsi" è rimasto nella mia libreria – sezione 'da leggere' – per quasi un anno; e a onor del vero non l'avevo nemmeno comprato, mi era stato regalato insieme ad altri tre o quattro titoli dalla mia amica Titta, che, suo malgrado, fa l'ufficio stampa, di libri e altre belle cose. Poi per una serie di casi della vita che sarebbe tedioso raccontare, io e l'autore, Matteo Galiazzo, ci siamo (ri)conosciuti; ma il libro è rimasto lì perché nel frattempo con formidabile spirito di dedizione il succitato Galiazzo mi ha prestato due libri di Marco Drago, da tempo fuori catalogo: "Domenica sera" e "Zolle" (in quest'ultimo appare anche un folle collezionista di dischi, uno che starebbe perfettamente a suo agio nella galleria che popola "Il mondo visto da Disco Club"). mix166Sempre lui mi ha poi fatto comprare un altro bel titolo, l'ebook di Dario Voltolini, "Forme d'onda"; e le sue "Sinapsi" continuavano a restare indietro. Infine il momento è arrivato e mi sono addentrato tra i ventidue racconti che formano l'Opera Postuma di un autore ancora in vita, sottotitolo che esplicita, come meglio non si potrebbe, lo stato delle cose: Galiazzo dopo tre libri pubblicati da Einaudi ha smesso di scrivere e questi di "Sinapsi" sono titoli originariamente usciti su riviste, quotidiani, antologie o del tutto inediti, ma antecedenti al ritiro (per chi proprio non ce la facesse l'intervista che chiude il libro spiega impeccabilmente i motivi). Addentrandomi nella lettura, dapprima titubante, poi sempre più partecipe, grazie a titoli come "Possa la gloria dell'imperatore ascendere così come ascende la tonalità" (dove in dieci righe viene chiarito il decadimento della fruizione musicale) o "Minimal house" (in cui la protagonista ripercorre in una lettera al suo ex tutte le sue precedenti storie d'amore, abbinando ad ognuna una canzone, da "Jenny è pazza" a "Panic", da "I Love You Porgy" ad "Anidride Solforosa", ma nella versione live di Francesco De Gregori e Angela Baraldi), mi sono ritrovato con la voglia di condividere questo libro con chi mi conosce. Ma senza presunzioni recensorie, sia ben chiaro, solo per dare un senso alle "Sinapsi" del titolo, il cui etimo greco va ricercato proprio nella connessione, la congiunzione tra cellule nervose e organi periferici (qualunque cosa voglia dire). Insomma mi piace l'idea che la letteratura (e la musica) serva anche a questo, a connettere persone "ad aprire l'universo così da rendere il mondo stesso un po' più ampio di quanto non fosse prima" (questo è Salman Rushdie, il suo ultimo libro "Joseph Anton" è un capolavoro, e c'è tanta musica anche lì). A proposito, tra qualche giorni vedo Marco Drago, gli devo consegnare delle dispense di glottologia che Matteo mi ha lasciato da Disco Club; lui è un grande fan di Zappa, ho letto due libri e siamo 'amici' di Facebook, ma non ci siamo mai incontrati. Sinapsi, al lavoro.

lunedì 18 febbraio 2013

Finale di partita


Il Festival di Sanremo è tutto racchiuso in un'immagine evocata dal direttore d'orchestra inglese Daniel Harding. Ha appena finito di dirigere la Cavalcata delle Walkirie e La Marcia dell'Aida e per rispondere a una domanda di Fabio Fazio decide di descrivere l'iPod di suo figlio: "c'è Puccini, un pezzo di classica che nemmeno io conosco e Lady Gaga". Applausi. Fazio chiosa "non esiste alto e basso, ma solo buona e cattiva musica (un leit-motiv che riprenderà più tardi con Bocelli che aveva appena martoriato Elvis Presley e Nat King Cole), compiaciuto come solo un incosciente riesce ad essere. D'altra parte solo con incoscienza (se volete chiamarla altrimenti fate pure) si può tenere insieme un gigantesco e macchinoso Luna Park come quello del Festival, con un'enorme ruota panoramica in cui girano, a una velocità incredibilmente lenta per riempire tre ore e più di palinsesto, Giuseppe Verdi e Richard Wagner, Martin Castrogiovanni con Elio e le Storie Tese (che oramai stupiscono quanto la Casa delle Streghe, ma tant'è di meglio non c'è), una fotomodella che ride e inciampa di cui non ricordo il nome con la statua di Mike Buongiorno appena inaugurata, la barba compiacente del sindaco della città più commissariata d'Italia con una giuria di qualità messa assieme con l'estrazione del lotto, con membri che se ne vanno prima (a Neri Marcorè non avevano detto che il festival finiva di sabato?) e altri cooptati dopo un'ospitata allestita per ricordare che tra due giorni va in onda la fiction su Modugno. Già, il Mimmo nazionale aveva trionfato nel 1958 proprio su questo palco; e tutti a illudersi pensando che era un altro Sanremo e un'altra Italia. E invece è proprio sempre lo stesso Festival e sempre la stessa Italia, un paese che si rispecchia, soddisfatto e compiaciuto, convinto che basti twittare arguzie con reciproca soddisfazione di amici (di Facebook) e conoscenti, per chiamarsi fuori dal coro. Ma il coro è peggiore dei cantanti, come ricorda Michele Serra per bocca di Claudio Bisio e gli elettori sono peggio degli eletti. Infine, complice un contorto sistema di voto, un altro 'porcellum' tanto per non sbagliarsi, durante una pausa pubblicitaria si cambia canale: sul TG2 spunta un arguto giornalista che cita Sanremo e domanda a Ramin Bahrami, sopraffino interprete di Bach, se esista ancora una distinzione tra musica alta e bassa (e sembra che gli chieda di destra e sinistra, ma forse è solo un'impressione). Lui ha appena eseguito il Concerto in Fa minore BWV 1056 all'Accademia di Santa Cecilia e risponde "Non so, ma il pubblico qui non ha avuto dubbi su cosa scegliere". Buon voto a tutti.

lunedì 11 febbraio 2013

New Musical Order


In tempi di Mp3, hard disk ripieni di terabyte di musica, iPod e iPhone che ammucchiano brani senza alcun criterio, può sembrare totalmente anacronistico riflettere su quale sia il miglior metodo di archiviazione per le canzoni. Un tempo la grande divisione era tra coloro che sistemavano tutti i dischi in ordine alfabetico (preciso, immediato, naturale) e coloro che gli opponevano una classificazione per genere. Una mediazione tra le due teorie alla fine era la regola per chi voleva venirne in qualche modo a capo, categoria alla quale non appartenevano né chi catalogava i dischi nell'ordine in cui li aveva acquistati (con l'interessante risultato di poter tornare indietro nel tempo e rivedere le diverse fasi musicali ed esistenziali che aveva attraversato), né soprattutto chi li lasciava nel caos più totale, limitandosi a rimetterli (nella migliore delle ipotesi) nelle loro copertine alla fine dell'ascolto. Oggi la smaterializzazione del supporto musicale ha reso il problema molto meno stringente, con il risultato però di elevarlo a una vera e propria questione esistenziale. Qualunque sistema si adotti (dal monopolistico iTunes all'ultimo arrivato Spotify, il sistema di musical-streaming che debutterà in occasione del Festival di Sanremo e che permette di cercare ed ascoltare musica attingendo da un database sterminato, condividendola o scaricandola anche offline) è lo stesso programma a preoccuparsi di archiviare la musica per ogni possibile indice (artista, genere, anno, data di aggiunta, numero di ascolti ecc. ecc.). Le differenze allora andranno cercate nell'attenzione con la quale si riporrà il titolo, singolo o album che sia, nella pressoché infinita memoria digitale a disposizione: se si scarica la copertina, se si controlla il genere, spesso a dir poco approssimativo, l'anno di pubblicazione, se (e questo vale soprattutto per le acquisizioni non proprio legali) tutti i dettagli anagrafici vengono sistemati in maniera puntuale e precisa. Insomma, guardare la library di qualcuno può dirci molto della sua personalità, oltre che banalmente dei suoi gusti musicali. Inutile dire che il vero appassionato – che in quanto tale sarà solo parzialmente convertito al formato digitale, preferendogli sempre e comunque la fisicità del cd, se non del vinile – avrà una libreria impeccabile e sempre in perfetto ordine; gli altri, coloro che non perdono tempo a sistemare ogni minimo particolare, probabilmente finiranno per godersi di più la musica. Ma si sa, il mondo è bello perché è vario.

mercoledì 6 febbraio 2013

La musica è finita

Un sabato sera d'inizio febbraio. Intorno a un tavolo si ritrovano tre coppie d'amici con figli (tutti a giocare nell'altra stanza): un avvocato, due professori di liceo, un'operatrice sociale con un passato nel turismo, un ufficio stampa teatrale. Si chiacchiera, non ci si vedeva da un po', anni in un caso, bisogna aggiornarci a vicenda. Una radio Saba – un modello a valvole fine anni '50, di quelle che sulle frequenze riportano i nomi di città che ai bei tempi promettevano ascolti esotici - è sintonizzata sul terzo canale RAI, ma nessuno l'ascolta; tra meno di un mese ci sono le elezioni e inevitabilmente il discorso finisce in politica. Siamo tutti omogenei o perlomeno così pensiamo, ma in un attimo emergono le divisioni. Un paio voteranno PD, uno SEL, uno Ingroia o forse Movimento Cinque Stelle, uno Ferrando di qualche residuo Partito Comunista. Ci si accapiglia un po', ma senza troppa convinzione, contro le presunte politiche di destra del partito numericamente più importante; qualcuno fa sfoggio di realpolitik di fronte ai rischi della frammentazione o delle utopie inarrivabili; si discute di No TAV, di armamenti, di finanziamenti alla scuola privata Un'altra butta lì che un'amica comune – qualche anno fa candidata coi comunisti italiani in qualche elezione locale – questa volta voterà Monti. Sgomento e silenzio generale. Il Conte Ory di Rossini tenoreggia tra le sue conquiste, ma nessuno ci bada. Si dibatte ancora, con sempre minor partecipazione e tutti restano sulle loro posizioni: ogni tanto irrompono un paio di bambini, picchiano su una tastiera qualche nota che aumenta la cacofonia generale. Compare una bottiglia di whisky, si passa a parlar di vacanze, di viaggi possibili e di Turchia. Poi l'opera finisce e nel silenzio a qualcuno viene in mente di dire che s'è fatto tardi e bisogna portare i bambini a letto; ci si saluta con affetto, forse più in nome dei vecchi tempi. E poi gli amici se ne vanno.

lunedì 28 gennaio 2013

Sono solo canzonette


Forse dev'essermi sfuggito qualcosa, ma mi sembrava di ricordare che le canzoni di Sanremo non potessero essere fatte ascoltare in anteprima, pena l'inesorabile squalifica. Il motivo è evidente: l'ascoltatore con il suo giudizio potrebbe influenzare l'esito della competizione.Ma qualcosa è cambiato, il mondo della comunicazione è sempre più esigente e il Festival – forse perché un po' schiacciato dalle concomitanti elezioni – deve trovare un modo per far parlare di sé. Così sabato 26 gennaio Gino Castaldo può annunciare su Repubblica: "ecco le 28 canzoni in gara: un'edizione con musica di alta qualità. Due brani per ogni cantante in gara: uno sarà escluso. Noi li abbiamo sentiti in anteprima". E allora, dopo l'inevitabile ringraziamento (chiamiamolo così) per l'esclusiva ("La vera notizia, quasi da lasciare sgomenti, è che la media qualitativa delle canzoni è sorprendentemente alta...Certo la presenza di Fabio Fazio e di Mauro Pagani lasciava già presagire qualcosa del genere"), per non lasciare dubbi il buon Castaldo, insieme ai Noi di Repubblica, stila addirittura la classifica con tanto di voti: vince Elio, secondo Gualazzi, terzi gli AlmaMegretta. A chiudere il triste elenco i Modà e Annalisa Scarrone che, chiunque essi siano, potrebbero e con qualche ragione, lamentarsi di questo giudizio. Ma stiamo parlando del Festival di Sanremo, non mettiamoli alle strette, "che politica, che cultura, sono solo canzonette".

domenica 20 gennaio 2013

America the Beatiful



È stata la settimana degli inni: il PD ha scelto con la tipica fantasia della sinistra italiana “Inno” di Gianna Nannini, ovviamente una canzone nata per tutt'altro scopo e con tutt'altre intenzioni; forse le analogie col partito sono più di quelle che pensiamo e comunque in passato era andata anche peggio (Vedi Disco Mix n° 71 http://www.discoclub65.it/disco-mix/archivio-mainmenu-45/3932-disco-mix-71.html). Il Movimento 5 Stelle ha optato per “L'urlo della Rete - Uno che vale Uno", ovviamente deciso dal padre-padrone Beppe, un insopportabile profluvio di retorica in salsa zum-pa-pa, scritto da Leonardo Metalli e Raffaello Di Pietro. Il PDL ha postato un video su Twitter dall'account @berlusconi2013, gestito dai volontari digitali del Popolo della Libertà, la cui canzone, dal titolo “La forza dell'Italia migliore”, è all'insegna della continuità con le precedenti scelte; e il commento ci sembra sufficiente. Per chi proprio non ha niente di meglio da fare un confronto è possibile sul sito repubblica.it, ma noi lo sconsigliamo vivamente. Tutto questo mentre domani il presidente Obama presterà giuramento per il suo secondo mandato, attorniato da Katy Perry, Stevie Wonder, Alicia Keys, Usher, Brad Paisley; Kelly Clarkson canterà “My Country 'Tis of Three”, che quattro anni fa venne cantata da Aretha Franklie mentre a Beyoncé toccherà l'inno nazionale e a James Taylor “America the beautiful”. Non voglio nemmeno provare ad affermare che a una maggiore competenza o gusto musicale corrisponda inevitabilmente una statura politica differente; di certo una qualche gratificazione in più ad essere americani almeno sul piano musicale la si prova ancora. Così non resta che ringraziare Monti (Marx mi perdoni) e Ingroia per non aver provveduto a dotarsi, almeno per ora, di canzone d'ordinanza. Una domanda sorge spontanea: a cosa serve oggi un inno di partito, che peraltro come il nome, si cambia ad ogni elezione?


Un Amore Supremo

In occasione dell'uscita in edicola di A Love Supreme, primo titolo della collezione I Capolavori del Jazz in Vinile, sono andato a ria...