lunedì 29 novembre 2010
Yes I know, my way
Un vecchio adagio recita: mai conoscere di persona i proprio idoli, musicali, letterari o anche calcistici; impossibile, per loro, restare all’altezza delle aspettative del fan, bizzarra figura capace di condurre un’esistenza normale all’apparenza (in alcuni casi anche no), per poi dedicare tutte le sue più recondite energie a seguire le trasferte della propria squadra o il tour del cantante che, come nessun altro, gli ha saputo spiegare la vita. Ma, come dicevamo nell’incipit, c’è un ma: guai ad avvicinarsi troppo. Purtroppo nell’era della comunicazione totale, anche a restare lontani, si rischia comunque di rimanere parecchio delusi. La scorsa settimana Gino Paoli ha sparato a zero su Mina incapace di cantare in maniera differente, secondo lui, l’elenco telefonico o “Il cielo in una stanza”. Al di là del fatto che probabilmente ha ragione, la dichiarazione è arrivata per difendere l’indifendibile, la versione della sua canzone duettata con Carla Bruni (che sta a Mina come un divano macchiato sta a Katherine Hepburn); immaginiamo lo sconcerto e la rabbia dei fan della tigre di Cremona (non risultano reazioni dei sostenitori né di Paoli, né di Carla Bruni, di cui peraltro non si riesce a trovar traccia). Appena superato lo shock, ecco Pino Daniele, che per lanciare il suo nuovo album sceglie di fare il controcorrente a tutti i costi (purtroppo per lui in buona compagnia, basta leggere i titoli di “Libero, “il Giornale”, “il Tempo” o i commenti televisivi di grandi intellettuali come Emilio fede o Bruno Vespa) dichiarando che “Saviano non dev' essere così pericoloso, altrimenti sarebbe già stato tolto di mezzo, come Falcone e Borsellino”. Immaginiamo lo sbigottimento del fan che sfogliando distrattamente il quotidiano o aprendo la sua home page mattutina, si ritrovi davanti ad una simile stronzata. Come se non bastasse, ha lì davanti a lui “Boogie boogie man” ancora incellofanato e non ha il coraggio aprirlo per riascoltare le sue amate canzoni - “Nun me scuccià”, “A me me piace o blues” - riproposte in una nuova e sconfortante versione accanto ad alcuni intollerabili duetti con Mario Biondi, Franco Battiato e proprio Mina, con cui riesce a distruggere anche “Napule è”. Se per caso l’avete comprato (o scaricato) tenetevi alla larga da quelle tracce: potrebbero essere molto pericolose, tanto da indurre la fragile psiche del seguace deluso a gesti irreparabili, come la distruzione dei primi cinque ellepi del nostro, fino ad oggi religiosamente conservati. Stia tranquillo invece Pino: riuscirà a racimolare qualche soldino anche con questo orrore e, soprattutto, dormirà sonni tranquilli: di certo lui oramai non rappresenta un pericolo e, come per Saviano, nessuno si scomoderà per toglierlo di mezzo. Certo, c’è sempre l’incognita del fan deluso che potrebbe aspettarlo fuori di casa... Je so' pazzo je so' pazzo, Si se 'ntosta 'a nervatura, Metto a tutti 'nfaccia o muro…
lunedì 22 novembre 2010
Cover e ricover
È pur vero che un paese che non conosce la sua storia, non sa costruire il suo futuro, ma ora in Italia stiamo davvero esagerando. Parliamo di musica ovviamente, perché la Storia patria siamo imbattibili nel dimenticarla, disconoscerla o ignorarla (anche per colpe non nostre, se ancora oggi il numero dei misteri di stato irrisolti o irrisolvibili è incommensurabile). In campo musicale invece non sembra esserci fine alla pubblicazione di antologie, greatest hits, raccolte di successi, best of o succedanei in forma di dischi dal vivo (peraltro ampiamente rimaneggiati in studio), spesso aumentati di un inedito, in genere uno scarto di qualche sessione precedente. Come se non bastasse, l’ultimo grido per l’asfittica vena creativa dei nostri ‘artisti’, è la cover di un brano di successo, meglio se degli anni ‘60/70, buono anche per dare un titolo ad un film, anche se si ascolta solo nei titoli di coda (qualche esempio: “Arrivederci amore ciao”, “La Prima Cosa Bella”, “Notte Prima degli Esami”). Ci troviamo di fronte ad una vera e propria realizzazione della teoria vichiana, di una storia caratterizzata da un andamento progressivo, ma non nel senso che tutto quello che viene dopo è migliore di quello che viene prima, ma solo nel senso che la storia procede, ma senza sapere bene dove andare (e quindi nel nostro caso si rivolge al passato, deturpandolo). Così al ‘corso’ (che so, “Il cielo è sempre più blu” di Rino Gaetano), un’umanità incapace di crescere e di rinnovarsi (i nostri musicisti e discografici) fa seguire un ricorso, inteso come regresso (Giusy Ferreri che svuota di ogni significato la stessa canzone, riducendola a jingle, a sottofondo anestetico da canticchiare alla prima occasione). Gli esempi sono innumerevoli, anche se a volte la storia non passa invano: alla versione superficialmente spensierata di “Azzurro” del molleggiato Celentano, Paolo Conte risponderà anni dopo, restituendo alla propria canzone il suo significato più autentico. E se ascoltate “How deep is your love” di Cristina Donà, vi riconcilierete anche con i Bee Gees! (Invece per la Storia con la esse maiuscola, come insegna la recente sentenza sulla strage di Piazza della Loggia, il tempo passa proprio invano…)
domenica 14 novembre 2010
Beethoven ha solo scritto musica!
E’ di questa settimana l’annuncio che un test nella città di Christchurc in Nuova Zelanda, ha definitivamente comprovato che se “gli altoparlanti diffondono le sinfonie di Mozart, i reati spariscono”. Così recita il titolo apparso su un noto quotidiano nazionale: pazienza se la notizia ricorre sui giornali più o meno ogni sei mesi (alternativamente con le mucche che fanno più latte con Giuseppe Verdi e i neonati che crescono meglio con Charlie Mingus), in concomitanza di pagine pericolosamente vuote nell’imminenza dell’ora di stampa. Poiché lo spazio da riempire era piuttosto ampio, la giornalista ha pensato bene di allungare, chiedendo il parere dell’esperto, il compositore italiano Marco Tutino, che orgogliosamente ricorda quando da direttore del Teatro Comunale di Bologna (in piena epoca Cofferati, tanto per contestualizzare) aveva diffuso musica classica dagli altoparlanti all'esterno con il risultato di allontanare dai portici tutti i gruppetti di vagabondi e punkabbestia che stazionavano lì intorno. Sempre merito di Mozart, “un tale miracolo di perfezione, di simmetrie ed equilibrio” che, evidentemente, nessun barbone è in grado di tollerare per più di dieci minuti. Purtroppo il pezzo s’interrompeva qui, senza fornire ulteriori spiegazioni. Non essendo in discussione il valore della musica del sommo Amadeus, dobbiamo dedurre che alcune categorie di cittadini (o forse sarebbe meglio definirle razze di abitanti del nostro pianeta?) sono talmente abbruttiti nell’anima da riuscire ad ascoltare solo bootleg dei Sex Pistols o interi album dei Sodom, sfuggendo, come fanno i vampiri con l’aglio, tutta la musica restante. Da qui a schedare, finalmente, le persone, oltre che per reddito e modo di vestire, anche per gusti musicali, il passo è veramente breve. Restano alcune categorie ibride per le quali l’analisi richiederà una maggior accuratezza: mia figlia di due anni, ad esempio, non tollera Gerswhin, mentre adora Otis Redding, Stevie Wonder e soprattutto Ludwig Van Beethoven; quest’ultimo, proprio come Alexander DeLarge, il protagonista di “Arancia meccanica”: ricoverarla subito o aspettare i primi sintomi?
lunedì 8 novembre 2010
Viva la Rai
Che la Rai sia ormai in fase di smobilitazione, in attesa solo di un provvedimento in stile Alitalia che la smantelli definitivamente, è cosa ormai nota da tempo (tanto che, come nota Antonio Dipollina nella sua nuova rubrica su Repubblica.it “Raiuno non ha uno straccio di programma da mandare il sabato in prima serata. Dicasi il sabato in prima serata. Tanto che stanno andando le repliche di Don Matteo”). E non ci vuole nemmeno un novello Talleyrand per capire a chi faccia comodo favorire questa deriva. Dal punto di vista musicale, l’abdicazione ai doveri di servizio pubblico è sostanzialmente già avvenuta: restano solo alcune isolate oasi in ambito radiofonico, su Radio 2 (giusto qualche concerto rock e qualche trasmissione estiva o notturna che sfugge alle attenzioni del direttore) e soprattutto Radio 3; televisivamente parlando, il panorama pencola tra seienni che cantano “I will survive” in prima serata, X-factor e un ininterrotto sottofondo stile ‘piano-bar Billionaire’. Poi c’è il fiore all’occhiello dell’azienda di viale Mazzini, il festival di Sanremo. Se ne parla quasi ininterrottamente tutto l’anno, da quando finisce, con le controversie sugli ascolti e il basso livello della musica proposta, d’estate, con le prime rivelazioni sulla conduzione, d’autunno con le prime indiscrezioni sulle partecipazioni e gli ospiti. Tutto sgocciolato con competente sapienza, tanto da far credere che l’evento esista davvero e non sia una pura proiezione mediatica che alimenta se stessa. Ovviamente si aggiunge anche qualche polemica creata ad hoc o anche involontaria: difficile capire a quale categoria appartenga l’ultima in ordine di tempo, l’ipotesi di far cantare nel corso delle serate l'inno partigiano “Bella Ciao” e quello fascista “Giovinezza”. I due titoli sono trapelati a margine della conferenza di presentazione del regolamento, con il conduttore Gianni Morandi e il direttore artistico Gianmarco Mazzi, che si sono bypartisanamente divisi i compiti. Come se non bastasse è poi arrivato l’intervento del direttore della prima rete Rai, Mauro Mazza, che si è detto d'accordo sulla scelta delle canzoni citate, aggiungendo - lasciateci immaginare su quale input - che a lui “viene in mente anche Va' pensiero perchè Sanremo deve ripercorrere la storia intera, senza censure e senza cesure”. Fortunatamente sono bastate ventiquattro ore per far rientrare l’iniziativa (sottintendo peraltro l’idea revisionista che le due canzoni abbiano lo stesso significato): segnaliamo l’invito di 'Libertà e Giustizia', l’associazione presieduta da Sandra Bonsanti con Gustavo Zagrebelsky, a spegnere Sanremo per tutta la durata del festival: “L'anno scorso i Savoia, quest'anno il Duce, è una coincidenza?".
No, è la Rai, di tutto, di più.
giovedì 4 novembre 2010
ll primo iPod che ho visto, ce l'aveva Nick Hornby.
Ci trovavamo nella hall di un albergo di Genova, era l'ottobre 2002 e non ricordo se quell'aggeggio fosse di prima (5 gb) o di seconda generazione (10 o 20 gb). L'aveva estratto dalla sua giacca, visibilmente orgoglioso, spiegandomi come funzionava e, soprattutto, facendo scorrere le sue playlist. Centinaia di canzoni dei gruppi più disparati (non ne ricordo uno, non ho scritto nemmeno un appunto, ero troppo agitato). Allora l'oggetto mi sembrò strabiliante (e in un certo senso lo è ancora), ma la cosa che più mi affascinò era l'idea di poter entrare nella vita musicale di una persona, nella sua collezione di dischi, tutta racchiusa in quei pochi centimetri, con un solo gesto. Il vecchio "dimmi cosa ascolti e ti dirò chi sei?", era lì, a disposizione di chiunque avesse voluto applicarsi ad uno studio di fondamentale significato antropologico: scrutare tra la musica racchiusa nei moderni 'musical box' (un po' come guardare dal treno nelle finestre dalle case per immaginare le vite delle persone), e scoprire se le scelte dipendano da sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali. Ed età ovviamente. Probabilmente avremmo solo conferme a ciò che già sappiamo: le donne ascoltano in maniera meno sistematica e ossessiva degli uomini, i giovanissimi preferiscono i singoli titoli ai cd interi, il jazz lo troveremmo solo oltre una certa età (per pudore non diciamo quale). Ma sicuramente anche qualche sorpresa: quell'adolescente con lo zaino da dodici chili forse sta ascoltando "Blackbird"; e la ragazzina che incrociamo in ascensore, per sentirsi meno a disagio nel suo corpo, lascia scorrere a tutto volume "Stairway to heaven". In realtà i saggi e i libri sull'argomento iPod, da subito, hanno preferito concentrarsi su consigli e suggerimenti per l'uso: pagine e pagine di playlist (le trenta migliori canzoni dei Nirvana, l'elenco dei dieci brani che parlano di Dallas, le venti hit dell'estate del '67) che, chissà poi perché, il lettore dovrebbe replicare pedissequamente nel suo lettore mp3, con il solito presupposto che sia incapace di intendere e di volere da solo. Ulteriore testimonianza di come questi siano tempi di egotismo estremo, in cui nessuno sembra essere interessato alla scoperta o alla conoscenza dell'altro, ma solo alla sterile affermazione pavoneggiata del sé. Se poi la tecnologia e i media contemporanei favoriscano questa tendenza, questo è un altro discorso..
Un Amore Supremo
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