Le premesse c’erano tutte perché il suo ultimo disco,
Give my
love to London è davvero bello. Così
l’attesa per il primo dei suoi due concerti italiani in programma era molta,
dopo la scarna esibizione a Che Tempo
Che Fa (senza Anna Calvi, pare bloccata da problemi di salute). L’ingresso è
faticoso, l’ex musa della Swingin London si appoggia ad un bastone, la sedia al
centro del palco è lì per darle riposo, molte canzoni le canterà da seduta, con
un provvidenziale leggio che le ricorderà i testi che faticano a riaffiorare. Ma
la voce, benché a tratti affaticata dagli anni, è capace di gelarti in un
lampo, di aggrovigliarti con la sua apparente monotonia tonale. Ci riesce con
le canzoni dal nuovo album (lo farà quasi tutto, ringraziando le persone che
per lei hanno scritto, da Roger Waters a Nick Cave ad Anna
Calvi), ci riesce (e come poteva essere diversamente) con Broken English, terzo brano in scaletta, quando posa gli occhiali scherzando
sul fatto che di questa canzone si ricorda le parole perfino lei.
Sul palco sono in quattro,
basso, batteria, chitarre e tastiere (c’è Ed Harcourt): ma la scena è tutta per
lei che reinventa a modo suo The Price of
Love degli Everly Brothers, non sfugge al rito di As Tears Go By e poi piazza verso il finale Sister Morphine seguita da un gioiello di Nick Cave, Late Victorian Holocaust, un uno-due che stenderebbe anche uno passato di lì
per caso. È ora di andare, c’è tempo ancora per The Ballad of Lucy Jordan (da sempre in repertorio, anche nel bel
live del 1990, Blazing Away) e la
commossa chiusura di Who Will Take Your
Dreams Away scritta da Angelo Badalamenti per il film di Marc Caro e Jean-Pierre
Jeunet, La Città Perduta. Si alza a fatica, ma sempre sorridendo e si appoggia
per venire in proscenio a prendere i meritati applausi.