Si scrive di musica
sostanzialmente per tre motivi: per guadagnarsi da vivere (bravi quelli che ci
riescono, disprezzati e diffamati dalle due restanti categorie); per passare il
tempo (trattasi di situazione transitoria verso una delle altre due, perché
dopo un po’ o si guadagna o si scopre che c’è di meglio da fare); e infine
perché si è fondamentalmente convinti (l’avverbio non è scelto a caso, abbiamo
a che fare in questo caso con fondamentalisti integralisti, anche se non
islamici, almeno nel mondo occidentale) di essere gli unici a capirci qualcosa.
Quest’ultima categoria è
la più interessante dal punto di vista antropologico in virtù del fatto che,
come detto, la seconda si dissolve nelle restanti e la prima è solo una
variazione di qualunque altro mestiere in cui il salario non coincide con il
lavoro svolto (ad esempio i parrucchieri per signora, i custodi dei musei
pubblici, i coristi dei teatri lirici). L’attività del critico fondamentalista
si manifesta nei confronti del prodotto musicale (da qui in avanti ‘disco’)
prevalentemente in due direzioni: stroncare senza pietà il disco, meglio se di
successo o se autorevolmente recensito da un critico salariato; esaltare
iperbolicamente il disco, meglio se sconosciuto ai più, critici salariati
compresi. Studieremo più a fondo prossimamente quali pericolosi intrecci
possano realizzarsi dall’intersezione di queste due sole linee direttrici; per
adesso limitiamoci a considerare il caso in cui al critico fondamentalista venga
recapitato da un amico (amico non per frequentazione musicale, perché il
fondamentalista rifugge ogni contatto con i soggetti dei suoi studi) un disco, ad
esempio di un quartetto jazz. Che te ne pare gli chiede il simpatico drummer? Il
disco è dedicato a un noto musicista francese, scomparso da qualche anno, un
pianista che ovviamente il nostro ben conosce. Dopo un paio di ascolti
coscienziosi il verdetto è lapidario, benché ammantato di diplomazia: siete
tutti e quattro bravissimi, ma sai, io non sono un fan del trombettitsta (il
più conosciuto del gruppo, niente di che, ma tanto basta a renderlo nocivo) e
mi sembra un disco così leggero… L’amico sinceramente ringrazia, salvo rifarsi
vivo qualche settimana dopo, felice, per la notizia che il disco è entrato
nella Top jazz dei più venduti. Negli Stati Uniti. Poi una mattina una mail
dalla casa distributrice segnala l’ingresso nella Top 30 vicino a Chick Corea e
Wayne Shorter. Il critico è combattuto: cambiare immediatamente opinione, in tutta
fretta scrivere una recensione per il sito (da dove lancia strali indisturbato),
inneggiando al prodotto italiano e ribadendo la sua antica amicizia con i
protagonisti o arroccarsi sulla sua posizione segnalando l’inevitabile ascesa
in classifica di un prodotto commerciale e quindi ripugnante?
Nel dubbio segnalo il
disco “Michel On Air - omaggio a Michel Petrucciani” di Fabrizio Bosso,
Alessandro Collina, Marc Peillon e Rodolfo Cervetto. Per Natale un’ottima idea
regalo, ma non ditelo a mio cugino.
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