Nessuno ci ha pensato, mi dice Guido Festinese tra gli scaffali
del negozio; c’è un gruppo che compie cinquant’anni proprio come Disco Club, i
Grateful Dead. Bisognerebbe scrivere un articolo, lo intitoliamo il Grateful
Club, lo scriviamo a più mani, tutti insieme, io, tu, Flavio (Brighenti),
Antonio (Vivaldi), Marco (Sideri).
L’articolo non è questo.
Mentre parliamo - e penso che la mia conoscenza dei Grateful si
limita a qualche disco, alla copertina di 'Blues For Allah' (che mentre lo
scrivo sento un brivido nella schiena, ma era solo il 1975, c'era la pubblicità
su Ciao 2001, chi se lo sarebbe immaginato?) – arriva qualcuno, si inserisce
nel discorso e tutto finisce lì (forse per ora) come centinaia di altre volte.
Esco, facendomi stretto tra la piccola folla che imballa il negozio, clienti
vecchi, anche giovani, vecchissimi, con figli, con mogli pazienti, oggi più del solito. Fuori, davanti alla vetrina speciale con i 45 giri del 1965 prestati da Sergio, stanno suonando: Filippo Gambetta, Edmondo Romano, il
figlio di Raimondo di Pink Moon - il negozio che negli anni ’80 aveva quasi
soppiantato Disco Club tra le nuove generazioni, ma poi non ce l’ha fatta - che
inizia proprio cantando Nick Drake. Giancarlo non esce quasi dal banco, se non
per farsi fotografare da Alberto Terrile (che almeno indaffarato com’è non
parla di prog) con i clienti che hanno portato il loro primo ellepi acquistato
proprio lì dentro.
Mentre scartabello tra i dischi, vorrei comprarne uno del 1965, ma
li ho già tutti, chiedo a Paolo che non trova niente; Carletto, il
pluriespulso, mi dà il
primo e unico album di un gruppo australiano di garage-punk, ma non ho
coraggio e lo lascio lì. Dal passato arriva anche Federico: è venuto perché
sapeva di trovarmi: facevamo l’università insieme (male) e giocavamo di punta a
fianco (sempre male, lui meglio però), non lo vedo da venticinque anni e sembra
di sentire “Incontro” di Guccini. Che tra l’altro, il suo box integrale, è il
più venduto per Natale e mi viene un po’ di tristezza, penso a un paese stanco,
che non ha più voglia di conoscere nient’altro che il suo passato: ma forse è la
situazione, con tutta quella gente intorno, a condizionarmi. Esco fuori a
sentire ‘Please Please Please’ e guardo Stefano, il ‘commesso’ storico del
negozio, abbiamo lavorato insieme 4 o 5 anni, anche se io stavo di là, dal jazz
e dall’usato, e gli chiedo: ma tu ce l’hai il 45 giri? E lui ridendo mi dice
che li ha tutti; e io lo sapevo già e questo mi rassicura. Appunto.
U Megu mi fa vedere un disco della Neon che costerà 1000 euro; ha
solo un graffio nella copertina, ma per il resto è perfetto. Si mette in fila
per la foto, anche se è lì tutti i giorni.
Molti altri non li vedo, forse sono passati di mattina; altri
andranno oggi, mentre scrivo o nel pomeriggio quando c’è Paolo Bonfanti che
suona e Alessandro Sala che dipinge (e mi verrebbe voglia di tornare, ma non
posso).
Mi vien da pensare che sembriamo figurine di un enorme album che
Giancarlo ha amorosamente (e bruscamente come abbiamo constatato tutti prima o
poi) collezionato in tutti questi anni; e come le ‘figu’ esistiamo solo grazie
a lui, quando ci guarda, ci sfoglia, ci dedica un momento e poi ci rimette a
posto. Vado via che ancora stanno suonando e saluto solo lui, un po’
frettolosamente, come sempre.
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