lunedì 27 giugno 2011

People are strange


È uscito al cinema il 21 giugno, sarà in tv il 3 luglio su Studio Universal e dal 6 in homevideo, in un cofanetto Feltrinelli comprendente anche il libro “I giorni del Caos” di John Delmonico, accurata analisi dei file declassificati da Cia e Fbi sul ‘caso Morrison’. Si tratta di "When You're Strange", documentario realizzato da Tom DiCillo, operatore e direttore della fotografia del primo Jarmush e poi regista di un giovanissimo Brad Pitt in “Johnny Suede”. Ma per la stampa italiana l’argomento clou è stato il coinvolgimento, come voce narrante, di Morgan, avvenimento che ha meritato un’anteprima speciale lunedi 20 giugno a Roma, con una serata in cui la visione del film è stata preceduta da un mini concerto di Morgan, quattro pezzi in cui il musicista ha suonato lo stesso organo Fender Rhodes Bass che fu di Ray Manzarek, il tastierista dei Doors (dal resoconto non si capisce se si tratta dello “stesso” strumento, ho semplicemente dello stesso modello, che sarebbe come parlare di Maradona, vedendo palleggiare Ranocchia con le stesse scarpe, le Puma nello specifico). Nella conferenza stampa, oltre ad aver confermato il desiderio di ritornare a X-Factor 6 - che visto il grande successo di audience finirà a Sky - ha ricordato un episodio saliente della sua vita, quando adolescente andò al cinema a vedere il film di Oliver Stone sui Doors e, uscì dalla sala con “cinque canzoni nuove pronte”. Purtroppo non ha voluto fornire I titoli, ma almeno da oggi sappiamo quanta male può fare un film noioso e improbabile come quello di Stone. Infine, a conferma della sua innata modestia, ha dedicato un pensiero agli altri tre Doors: "Non so cosa volesse dire per loro avere a che fare con una personalità come Morrison. Forse si potrebbe chiedere ai Bluvertigo cosa ha significato per loro avere a che fare con me". Non risulta invece che abbia fatto dell’ironia sul fatto che dell’attesissimo seguito di “Italian Songbook Vol.1”, l’album del 2009 che doveva rappresentare l’inizio di un ciclo di riletture della musica italiana, non risulta esserci alcun segno all’orizzonte (fortunatamente aggiungiamo noi e anche la Sony, che deve ancora riprendersi). Ai distributori del film consigliamo, per il futuro, di limitarsi a sottotitolare il film, con il doppio beneficio di poter ascoltare la voce originale di Johnny Deep e silenziare quella del Jim Morrison “de noartri” (mi perdoni Jim, ma tanto è vivo da qualche parte a spassarsela con Elvis e chissà chi altro).

lunedì 20 giugno 2011

Musica(l)mente


È una notizia d’agenzia uscita la scorsa settimana, ma mettetela da parte perché nelle lunghe giornate d’agosto potrebbe saltar fuori su qualche quotidiano in cerca di notizie (nella speranza che non ci siano efferati delitti a riempire le pagine). Gli esperti americani Gregory Berns e Sara Moore si sono guadagnati le pagine della rivista scientifica “Journal of Consumer Psychology” grazie al loro particolarissimo esperimento: nel 2006, avevano selezionato 120 canzoni dalle pagine di artisti sconosciuti su MySpace. Poi avevano chiesto a 27 volontari fra i 12 e i 17 anni d'età di ascoltare i brani in cuffia, mentre veniva scansionata la loro attività cerebrale attraverso la risonanza magnetica funzionale. Tre anni dopo, mentre guardava il programma tv 'American Idol' con le sue due giovani figlie, Berns si è accorto che la presentatrice Kris Allen intonava una delle canzoni sconosciute che erano state utilizzate per la sua indagine scientifica. Si trattava di “Apologize”, degli One Republic. Lo scienziato ha quindi pensato: "Beh, abbiamo usato questo brano nella nostra ricerca. Quindi abbiamo a disposizione dati unici sulle risposte dei ragazzi a canzoni non popolari. Potremmo verificare se è possibile predirne il successo". L'esperto ha quindi organizzato un'analisi comparativa, rilevando che, effettivamente, i dati sulla risposta cerebrale dei teenager alle canzoni consentono di predire la popolarità di una canzone. Certo, ammette Berns, “questa scoperta accidentale ha i suoi limiti: è stata rilevata studiando solo 27 persone”. E, aggiungiamo noi, il campione avrà tenuto conto degli ambienti sociali da cui provenivano i ragazzi, delle influenze e delle preferenze musicali, dell’umore del momento? E poi una canzone su centoventi, non sembrerebbe proprio una percentuale a prova di idiota. Insomma, non proprio una dimostrazione scientifica impeccabile; ma il fatto che i ragazzi prescelti avessero tutti tra i 12 e 17 anni, potrebbe essere un’occasione per approfondire un po’ l’esperimento: è altamente probabile che i soggetti in questione non abbiano mai ascoltato “Like A Rolling Stone” di Bob Dylan, “Whats Going On” di Marvin Gaye, “A Change Is Gonna Come” di Sam Cooke, “My generation” degli Who per non parlare di un qualsiasi pezzo jazz o di musica classica o contemporanea. Allora si potrebbe provare a farglieli sentire “per vedere l’effetto che fa” o, per essere più scientifici, “la loro attività cerebrale attraverso la risonanza magnetica funzionale”. Certo a Berns non gliene frega molto in quanto "il mio obiettivo a lungo termine è comprendere i fenomeni e le tendenze culturali. Voglio sapere da dove vengono le idee, e perché alcune diventano popolari e altre no. In definitiva, sto cercando di prevedere la storia". O, meno pomposamente, sta cercando di prevedere come scegliere un cavallo sicuramente vincente e guadagnarci su. Ma se anche uno solo dei ventisette ragazzi, rimanesse a bocca aperta durante l’ascolto, questo sì, che meriterebbe una pagina di giornale.

lunedì 13 giugno 2011

Una vita spericolata


Mentre Vasco Rossi, il vero artista “contro” che non ha paura di sfidare l’impopolarità, si è dichiarato a favore del nucleare con la solita penosa motivazione che “La Francia ha le centrali nucleari vicine ai nostri confini quindi…”, l'Heineken Jammin Festival 2011 (al Parco San Giuliano di Mestre) si è meritato un articolo di Repubblica, dopo solo due delle tre date previste, per segnalare il calo della metà degli spettatori. Evidente il tentativo di correre ai ripari per l’ultima serata (toh, proprio con Vasco Rossi), mascherato da analisi sul fatto che la “la grande kermesse rock nel nostro paese non funziona più”. E chi può analizzare la crisi meglio degli operatori del settore? (Certo ci sarebbero gli spettatori, ma nell’articolo si sono dimenticati di interpellarli). Così i vari soloni (da Corrado Rizzotto, patron dell'I-Days di Bologna a Claudio Trotta di Barley Arts) puntano il dito contro la burocrazia e “la mentalità conservatrice del pubblico, schiavo dell'artista preferito o dell'headliner; atteggiamento fighetto del popolo del rock in Italia che ha paura di vivere l'esperienza del festival, anche se questo prevede i disagi di una giornata di pioggia; e infine le location sbagliate”. Sorvoliamo sulla burocrazia (peraltro vigente anche per i fruttivendoli e per gli affollati festival della letteratura), la soluzione ideale a quanto pare dovrebbe essere un pubblico demente che va a vedere un artista di cui non gli frega niente, anche in una giornata di tregenda, in una location che lo stesso organizzatore definisce sbagliata. Nemmeno una breve accenno al prezzo da pagare: parliamo proprio del Jammin festival che, pur ampiamente sponsorizzato dalla birra di cui sopra, propone un abbonamento a tre giornate a 150 euro più diritti di prevendita: che fanno 172,50 euro totali da pagare in anticipo senza aver alcun diritto ad un posto o a un settore preferenziale. A questi bisogna aggiungere il viaggio, due notti in tenda (per rimanere bassi), due colazioni, due pranzi e tre cene. Più la birra per dissetarsi (la roba da fumare facciamo che ve la portate da casa). Fate voi la somma e ditemi voi se non è un miracolo che ci siano ancora decine di migliaia di persone che possono permettersi una simile trasferta, soprattutto per vedere i Coldplay (la sera di giovedì) preceduti da Cesare Cremonini (l’ex leader dei Lunapop!), da Echo & the Bunnymen (bravi ai loro tempi, cioè quando la maggior parte del pubblico potenziale non era ancora nato) ed Erica Mou. Un cast messo insieme probabilmente con l’estrazione del Lotto, sistema confermato per la serata di venerdì (in ordine di salita sul palco Verdena, Interpol, Fabri Fibra, Negramaro; tutta roba da far invidia a una Festa dell’Unità) e sabato (Pretty Reckless, Noemi, All Time Low e Vasco Rossi). Non sappiamo quanti spettatori abbia totalizzato l’ultima serata, né se qualcuno abbia fatto notare a Vasco Rossi che il suo sillogismo a favore del nucleare non risolve il problema dei rifiuti tossici, anzi lo aggrava (più centrali ci sono…); e che comunque in Francia i festival sono meglio organizzati, costano meno e fortunatamente Vasco Rossi non sanno nemmeno chi è.

lunedì 6 giugno 2011

What’s going on



Forse qualcuno dovrebbe dirlo a D’Alema e Veltroni, ma durante la festa spontanea, lunedì sera in piazza Duomo, che ha celebrato la vittoria di Pisapia a Milano, il trionfo di De Magistris a Napoli, la sconfitta della destra un po’ ovunque, da Cagliari a Trieste, da Novara a Casoria tutti hanno compreso che qualcosa è definitivamente cambiato: per la prima volta dalle elezioni politiche del 1948, a dirigere la musica dal palco non c’era la nomenklatura del PD. Di conseguenza niente Jovanotti (“Mi fido di te” utilizzata nel 2007 per invitare a salire sul palco il neo-segretario Walter Veltroni da parte di Romano Prodi), niente Francesco De Gregori (“La Storia siamo noi”, proposta dallo staff di VeltroniPresidente quale inno del nuovo partito prima della solenne batosta che lo condusse alle dimissioni), niente Fossati con la “Canzone popolare”. E anche se a un tratto sembrava di essere tornati indietro di trent’anni - sul palco, in carne e ossa, Ricky Gianco e addirittura gli Stormy Six con “Stalingrado” - era come guardare un album di famiglia, con un pizzico di nostalgia, che non riusciva a indebolire, negli sguardi degli incontri, l’euforia contagiosa di una speranza finalmente plausibile. Tanto che Nichi Vendola a un certo punto mollava anche un’intervista in diretta per fermarsi a intonare in coro e a squarciagola “What's up (What's Going On)” dei Four Non Blondes. Certo, dagli altoparlanti arrivavano anche le note di “Bella ciao” nella deprecabile versione dei Modena City Ramblers, ma nemmeno questo riusciva a rovinare la festa. Più di ogni altra canzone era “Tutta mia la città”, versione di Giuliano Palma and the Bluebeaters (di cui si sentiva anche “Wonderful life”, la cover del brano di Black del 1985) a rappresentare al meglio lo spirito del momento. Il brano, originariamente una sorta di addio al passato inciso nel 1968 dai Move di Roy Wood (la futura Electric Light Orchestra), ripreso dall’Equipe 84 per il Cantagiro del 1969, è una bellissima canzone sulla fine di un amore. Ma quella sera è stata trasformata in un Inno alla Gioia (che Ludwig Van ci perdoni), in cui di tutte le parole contava solo il ritornello: la folla aveva operato una specie di sampler collettivo e spontaneo che ne aveva - forse con scorno di Mogol, paroliere italiano, non esattamente un simpatizzante della sinistra extra-parlamentare - riconfigurato il significato: “Tutta mia la città / questa notte un uomo piangerà”, in cui peraltro il termine uomo si può cambiare a piacimento con Nano o Silvio mantenendo salva la metrica. E allora chiediamo ufficialmente al PD di fare un passo indietro e abbandonare definitivamente le mire egemoniche sulle opzioni musicali della sinistra tutta. Lasciamo all’infinita varietà del caso e delle proposte che arrivano dal basso, il compito di accompagnarci nei prossimi possibili successi. Se poi questa vi sembra anche un’opzione politica, decidetelo voi!

Un Amore Supremo

In occasione dell'uscita in edicola di A Love Supreme, primo titolo della collezione I Capolavori del Jazz in Vinile, sono andato a ria...