Il 13 giugno Steve Reich sarà in Italia al Ravenna festival dove presenterà “City Life”; per l'occasione ha rilasciato un'intervista al Corriere della Sera in cui ribadisce che il fascino dell'Accademia continua a sfuggirgli”: la sua vita l'hanno cambiata Bach e Beethoven quando aveva 14 anni e qualche anno dopo la musica di John Coltrane. Ricorda anche che per due o tre decenni (quando lui e Philip Glass furono costretti a fare i tassisti per mantenersi) c'è stata una situazione da matti per cui la musica era ristretta, un club dove non ti facevano entrare, e il resto non contava. E poi conclude affermando che fortunatamente ora anche quel muro è crollato: “la musica è ovunque intorno a noi, i bonghi di un suonatore di strada, la voce di un predicatore, una poesia”. Qualche giorno un post sul Facebook di Disco club (uno storico negozio di Genova, aperto dal 1965, uno degli ultimi rimasti e uno dei pochi luoghi in città dove Fabrizio De Andrè non risulta mai essere entrato, peraltro) segnala il commento di due ragazze di fronte ai dischi in vetrina: ”non ne conosco quasi nemmeno uno di questi cd, come fa a non chiudere questo negozio”. A Giancarlo, il proprietario, viene in mente di appendere un cartello, proprio tra quei cd misteriosi ai più: “Lo so, non conosci quasi nessuno dei dischi in vetrina, ma è proprio per questo che sono ancora aperto”. Apparentemente un commento snob, una sorta di targa in cui è ribadito a chiare lettere che l'ingresso al (Disco) club è vietato ai non aventi diritto. Ma un negozio di dischi, ogni negozio, non è mai stato un muro, anzi, è sempre stato una vetrina dove guardare (anche commentando e a volte sognando) e una porta da dove entrare. Certo, il Nick Hornby di “Alta fedeltà” ce lo insegna, la tentazione di rinchiudersi in una torre d'avorio per gli appassionati (e anche per gli esecutori) di musica è sempre molto alta; ma basta fermarsi a guardare oltre apparenze – la vetrina si può rivedere anche uscendo – per capire che invece c'è solo tanta voglia di condividere l'amore supremo per quella cosa bizzarra chiamata Musica; e, a volte, è solo l'incapacità di farlo, a creare apparenti chiusure (il mio genere musicale è meglio del tuo) e malintesi. E poi ammettiamolo: per comunicare bisogna sempre essere in due e in fondo quel negozio, quella vetrina stanno lì a testimoniare che qualcuno il primo passo l'ha già fatto. Ora tocca a chi capita lì davanti, provare a entrare, mettendosi in gioco, anche a costo di rinunciare alle proprie rassicuranti certezze sulla musica (e sul mondo). Aprite quella porta dunque: da sempre, sono benvenuti anche i tassisti, probabilmente nella speranza che tra uno di loro ci sia il nuovo Steve Reich.
Ps questo articolo è stato scritto ascoltando “Cold Spring Harbour” di Billy Joel, uno dei dischi della mia collezione che amo di più, conosciuto grazie a Stefano Bollani che un pomeriggio a Savona, sul palco del Priamar prima di un concerto, me ne cantò tre meravigliose canzoni.
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