Manca ormai un mese al
Santo Natale, santo soprattutto per le case discografiche che tentano in questo
periodo di arginare l’endemica crisi che attanaglia il loro prodotto, sia esso in
cd, vinile o liquido mp3. Ironicamente la stagnazione generale finisce per
favorire proprio il ‘disco’, un modo economico e dignitoso per sfangare la
mesta e doverosa litania del regalo natalizio. Fioccano le antologie, magari
risuonate come nel caso di De Gregori (che detto per inciso avrebbe fatto
meglio a lasciar stare le sue vecchie canzoni) o i dischi in edizione delac
(de-luxe per chi non conosce il lessico del ‘Pluriespulso’), come quello di
Mario Biondi che a un anno esatto dall’uscita di “Mario Christmas” (attenzione
alla finezza: in inglese il nome del Biondi suona come “merry”) manda sugli
scaffali “A Very Special Mario Christmas”, un cofanetto cd+dvd che
raccoglie il vecchio album con l’aggiunta di tre nuovi brani e le
immagini dell’emozionante concerto di Natale del “Sun Tour”. Insomma si
riciccia quel poco che si ha (d’altronde le canzoni in tema quelle sono) e si
spera che qualcosa succeda. E poiché non si butta via niente, fioccano anche i
Concerti a tema: il primo ad essere annunciato, per ora, è quello che si terrà
il 13 dicembre all’Auditorium Conciliazione a Roma. Presentati da Max Giusti
(una sicurezza) sul palco si alterneranno GRANDI ARTISTI (maiuscolo nel
comunicato) italiani e internazionali: in rigoroso ordine alfabetico Alessandra
Amoroso, Renzo Arbore, Chiara, Dolcenera, Alice Mondìa, Mariella Nava, Daniele
Ronda, Sugarpie & The Candymen, Suor Cristina e per i più piccini, dal
mondo dei cartoni animati Le Winx. La créme de la créme della musica italiana,
in particolar modo Le Winx che probabilmente si annunciano come il momento più
interessante della serata. Inevitabile il coro gospel e quello di voci bianche
e ciliegina sulla torta la “sacerdotessa del rock” (trattandosi di Natale
meglio rimanere sull’ecclesiastico) Patti Smith, da sempre vicina alle istanze
di rinnovamento portate avanti da nostro signore Gesù. Di cui si celebra la
nascita, lo ricordiamo per i distratti. Naturalmente
il ricavato (esclusi i costi, è ovvio) finirà in beneficenza e per godere del
tutto basterà accendere la tv la sera del 24 e gustarsi la registrazione di
siffatto avvenimento epocale. Ancora un mese, tenete duro.
lunedì 24 novembre 2014
lunedì 17 novembre 2014
Aston Villa, Walter Benjamin e l’Atomium di Bruxelles
Sabato 15 novembre avrei dovuto
presentare un incontro con Jonathan Coe nell’ambito della benemerita rassegna
Genova Legge. Avrei, perché l’incontro non c’è stato a causa dell’ennesima alluvione
che ha funestato la città. Ovviamente l’annullamento non è stato che un
infinitesimo accadimento tra i mille e ben più gravi che sono avvenuti. Ma non nego
che alla notizia ho provato una particolare delusione per l’occasione sfumata.
Perché Coe è uno degli scrittori con cui condivido le principali passioni, la
musica e il cinema. I suoi libri ne sono intrisi: spesso i suoi protagonisti
fanno i critici cinematografici o musicali (il Doug Anderton di “La Banda dei
Brocchi” che capita ad uno dei primi concerti dei Clash a Fulham nel ’76 o
Terry di “La Casa del Sonno” che passa la sua vita a cercare la prova
dell’esistenza di un film neorealista di Salvatore Ortese); e la musica può
servire da introduzione (come accade con “Questa notte mi ha aperto gli occhi”
in cui ogni capitolo è preceduto da una citazione di una canzone degli Smiths);
e il cinema da asse portante di tutta la narrazione (“La Famiglia Winshaw” gira
tutta intorno a una scena di “Sette Allegri cadaveri”). Insomma mi ero
immaginato un incontro con un amico se non addirittura con un fratello separato
alla nascita (accade in “La Casa del Sonno”) con il quale parlare di Hitchcock
(indubbiamente uno dei suoi amori come dimostra l’esergo di “Expo 58“) o degli
High Llamas, uno dei gruppi preferiti da Coe, tanto che un articolo scritto in
occasione di un’antologia del 2003 – “Retrospective, Rarities and
Instrumentals” - è stato poi incluso nel booklet del cd. Soprattutto, durante
la cena prevista al termine dell’incontro, avrei tirato fuori dal mio sacchettino
verde (di Disco Club, c’erano dubbi?) “Different Every Time Vol. 1 Ex Machina”
(o il “Vol. 2 Benign Dictatorships”?) di Robert Wyatt, appena acquistati in
vinile; e gli avrei chiesto di dedicarmelo. Sì, perché Jonathan Coe ha firmato
l’introduzione a una biografia autorizzata su Robert Wyatt, appena pubblicata
in Inghilterra (“Different Every Time“, si chiama come le due antologie,
disponibile su Amazon anche in versione Kindle) e in un’intervista che avevo
trovato per prepararmi avevo letto una limpida dichiarazione dei suoi gusti
musicali: “Sono un ascoltatore eccentrico. So chi sono i più bravi, per esempio
Bob Dylan o Beethoven, ma io preferisco la seconda divisione. Per questo amo
Debussy, Ravel e per il rock, Robert Wyatt“. Insomma, io adoro questo scrittore
e spero prima o poi di riuscire ad incontrarlo; gli do un consiglio intanto,
cerca di arrivare a Genova prima che la pioggia cada.
ps il titolo dell’articolo,
apparentemente bislacco, è ispirato ai temi di tre domande che avrei voluto
fargli. Le tengo per la prossima volta Jonathan.
lunedì 10 novembre 2014
Ascoltare
All’epoca dei miei tredici anni avevo un amico che
strimpellava il pianoforte e si dilettava con Bach; ogni tanto andavamo a casa
sua per ascoltare la Toccata e Fuga in Re minore che ci sembrava un miracolo di
bellezza. Poi finivamo regolarmente a sentire qualcosa col mangianastri, così
si chiamava allora (anche perché ogni tanto il meccanismo di rotazione il
nastro se lo mangiava davvero, aggrovigliandolo a volte senza rimedio). Un
giorno arrivò non so da dove una cassetta di Bruno Lauzi; in copertina c’era la
Lanterna e un disegno della nostra città. Il disco si chiamava Genova per Noi,
c’era la canzone di Paolo Conte, brani in dialetto (tra cui “O’ Frigideiro” e
“Ma se ghe penso”) e “Vicoli”, un toccante ricordo del centro storico. Insomma
era un disco, già all’epoca, intriso di nostalgia per un mondo che non c’era
più (come la spiaggia della Foce rievocata in un altro titolo). Ignoravo che s’inserisse
in qualche modo nella rinascita del folk del periodo e per anni non l’ho più né
rivisto né riascoltato; fino all’altro giorno quando girellando su eBay mi è
capitato sotto gli occhi e non ho resistito.
Ho fatto un’offerta e mi sono
aggiudicato (senza molti rivali a esser sinceri) la copia promo con etichetta
bianca della Numero 1. Il disco è sempre bello e cospargendo di melassa la
nostalgia che già lo contraddistingue (a dimostrazione, se mai ce ne fosse
bisogno, che ogni tempo ha la sua nostalgia) mi ha fatto tornare in mente quei
pomeriggi di ascolti casuali in casa con gli amici in cui ognuno metteva a
disposizione quei pochi dischi che aveva. Per evitare di impiastricciarmi
troppo coi ricordi (e consapevole che i giovani di oggi avranno i loro modi per
socializzare e influenzarsi a vicenda sui gusti musicali), scopro (grazie a
un’amica, ancora una volta le migliori scoperte vengono da loro) che la Bowers &
Wilkins, un marchio storico dell’alta fedeltà soprattutto per quel che riguarda
i diffusori, organizza il primo festival di musica riprodotta in Europa. In
pratica nel prossimo week end si potrà andare all’Auditorium Parco della Musica, a Roma, e partecipare
a sessioni di ascolto guidate da giornalisti ed esperti di musica e
collezionismo. A confronto vinile, CD e musica e
anche se vincerà inevitabilmente il vinile, il confronto si annuncia
interessante. Al di là dello scopo commerciale dell’evento – provare a
riportare in voga l’acquisto di un ‘qualcosa’ per ascoltare la musica che non
siano le asfittiche cuffiette di un iPod o peggio l’altoparlantino di un
cellulare – in pratica si tratta di ritrovarsi con gli amici per ascoltare i
propri dischi preferiti. Sarò nostalgico, ma ci farei volentieri un salto,
magari portando il mio vinile di Bruno Lauzi. Che tra l’altro suona benissimo…
lunedì 3 novembre 2014
Italians Do It Better
Due notizie apparentemente distanti tra loro hanno agitato il placido
mondo della musica italiana: la prima è l’annuale e inesorabile proposta del
Mei, il Meeting delle etichette indipendenti, di un vincolo che preveda una quota
pari al 40% di musica italiana prodotta in Italia, all'interno dei programmi
Radio e Tv. Ne avevamo parlato l’anno scorso (Disco
Mix 187), in occasione della raccolta di firme sulla piattaforma
Change.org (l’iniziativa, lanciata il 14 ottobre 2013, al 28 dicembre aveva già
raggiunto la strabiliante cifra di 1000 firme): le obiezioni che sollevavamo ci
sembrano ancora valide e ragionevoli, per cui non stiamo qui tediosamente a
ripeterle. La novità di quest’anno è il sostegno nientemeno che di Roy Paci,
uno che alla musica italiana ha dato tanto e, legittimamente, si adopera per
restituire quello che ha avuto. La seconda notizia arriva in forma di appello
da Mario Lavezzi che a margine della X Conferenza Internazionale della
Comunicazione Sociale organizzata da Pubblicità Progresso a Milano (un
appuntamento che dà un brivido solo a nominarlo) ha chiamato a raccolta i cantanti
italiani: “Date una mano alla battaglia per la parità di genere”, una campagna
che la Fondazione sta portando avanti per combattere gli stereotipi che
impediscono ancora alle donne di raggiungere la parità con gli uomini. Già, ma
come? Presto fatto: un concorso
per una canzone sul tema riservato (chissà perché?) agli iscritti alla SIAE, ha
visto la partecipazione di ben (!?!) 130 autori e la vittoria della canzone
“Punto su di te”. Ma non basta, e allora prosegue il Lavezzi “chiediamo ora ai
più famosi cantanti italiani di rendersi disponibili a partecipare alla
realizzazione di un videoclip in cui due gruppi di maschi e femmine si
rivolgano l’un l’altro cantando ‘Punto su di te’, la canzone vincente, sul tema
della parità di genere; ancora, ci sentiamo di chiedere loro, conoscendone la
sensibilità sociale, di voler partecipare ad un grande concerto per raccogliere
fondi da destinare a borse di studio per ragazze meritevoli senza mezzi”. Nei
nostri cuori brilla ancora il ricordo di MusicaItalia Per L'Etiopia la cui
versione di ‘Volare’ - era il 1985 – fece impallidire Stevie
Wonder, Ray Charles e Michael Jackson che con Springsteen e qualche altro
disperato avevano partecipato a ‘We Are The World’. Insomma i segnali ci sono,
la musica italiana sta finalmente uscendo dal guado in cui si era impantanata e
finalmente potrà riavere il posto che merita nei nostri cuori e soprattutto
nella programmazione di radio e TV.
PS Le ‘femmine’, come le chiama Lavezzi, con il concerto ‘Amiche per L’Abruzzo’
a dire il vero nel 2009 qualcosa erano riuscite a fare e senza l’aiuto dei
maschi.
PPS Il titolo di questo post non cita il video di ‘Papa Don’t Preach’ in
cui Madonna indossa una maglietta con quella scritta, bensì l’ultimo singolo di
Roy Paci che si esprime in inglese (o in spagnolo) pur rimanendo un musicista
autenticamente italiano, sia ben chiaro!
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