lunedì 17 novembre 2014

Aston Villa, Walter Benjamin e l’Atomium di Bruxelles


Sabato 15 novembre avrei dovuto presentare un incontro con Jonathan Coe nell’ambito della benemerita rassegna Genova Legge. Avrei, perché l’incontro non c’è stato a causa dell’ennesima alluvione che ha funestato la città. Ovviamente l’annullamento non è stato che un infinitesimo accadimento tra i mille e ben più gravi che sono avvenuti. Ma non nego che alla notizia ho provato una particolare delusione per l’occasione sfumata. Perché Coe è uno degli scrittori con cui condivido le principali passioni, la musica e il cinema. I suoi libri ne sono intrisi: spesso i suoi protagonisti fanno i critici cinematografici o musicali (il Doug Anderton di “La Banda dei Brocchi” che capita ad uno dei primi concerti dei Clash a Fulham nel ’76 o Terry di “La Casa del Sonno” che passa la sua vita a cercare la prova dell’esistenza di un film neorealista di Salvatore Ortese); e la musica può servire da introduzione (come accade con “Questa notte mi ha aperto gli occhi” in cui ogni capitolo è preceduto da una citazione di una canzone degli Smiths); e il cinema da asse portante di tutta la narrazione (“La Famiglia Winshaw” gira tutta intorno a una scena di “Sette Allegri cadaveri”). Insomma mi ero immaginato un incontro con un amico se non addirittura con un fratello separato alla nascita (accade in “La Casa del Sonno”) con il quale parlare di Hitchcock (indubbiamente uno dei suoi amori come dimostra l’esergo di “Expo 58“) o degli High Llamas, uno dei gruppi preferiti da Coe, tanto che un articolo scritto in occasione di un’antologia del 2003 – “Retrospective, Rarities and Instrumentals” - è stato poi incluso nel booklet del cd. Soprattutto, durante la cena prevista al termine dell’incontro, avrei tirato fuori dal mio sacchettino verde (di Disco Club, c’erano dubbi?) “Different Every Time Vol. 1 Ex Machina” (o il “Vol. 2 Benign Dictatorships”?) di Robert Wyatt, appena acquistati in vinile; e gli avrei chiesto di dedicarmelo. Sì, perché Jonathan Coe ha firmato l’introduzione a una biografia autorizzata su Robert Wyatt, appena pubblicata in Inghilterra (“Different Every Time“, si chiama come le due antologie, disponibile su Amazon anche in versione Kindle) e in un’intervista che avevo trovato per prepararmi avevo letto una limpida dichiarazione dei suoi gusti musicali: “Sono un ascoltatore eccentrico. So chi sono i più bravi, per esempio Bob Dylan o Beethoven, ma io preferisco la seconda divisione. Per questo amo Debussy, Ravel e per il rock, Robert Wyatt“. Insomma, io adoro questo scrittore e spero prima o poi di riuscire ad incontrarlo; gli do un consiglio intanto, cerca di arrivare a Genova prima che la pioggia cada.
ps il titolo dell’articolo, apparentemente bislacco, è ispirato ai temi di tre domande che avrei voluto fargli. Le tengo per la prossima volta Jonathan.


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