lunedì 23 maggio 2011

Si cambi musica, maestro


Girando per Milano, orecchiando qua e là i discorsi della gente, non sembrerebbero esserci dubbi: la musica sta per cambiare e tutti se ne rallegrano. Uno dei pochi a rattristarsi sembra essere Red Ronnie, consulente di Letizia Moratti a centocinquemila euro all’anno, che sul suo sito di Facebook annuncia che LiveMi, la rassegna dedicata ai giovani musicisti organizzata dallo stesso critico musicale, sarebbe stata cancellata da Giuliano Pisapia come “effetto del vento che sta cambiando a Milano”. Purtroppo Gabriele Ansaloni (questo il vero nome del conduttore televisivo di "Roxy Bar") ha dimenticato che il nome del nuovo sindaco di Milano sarà noto solo il 29 maggio e il suo LiveMi era originariamente previsto per il 21 maggio. Risultato: la sua pagina Facebook intasata di messaggi ironici - da venerdì a domenica più di settemila - sulle colpe presunte di Pisapia. Sul sito della manifestazione, oggi, prudentemente, si comunica solo la sospensione dell’evento, ma resta il messaggio augurale di Letizia Moratti: "Milano è città leader della musica. C'è la Scala per la classica e San Siro per il rock. A questi si aggiungerà LiveMi, che diventerà punto di riferimento per la moltitudine di giovani musicisti e cantanti che, magari, in futuro riempiranno San Siro". Il progetto musicale è fin troppo delineato: vada per la Scala, vada ogni tanto per San Siro, quando il mio padrone e mio cognato ci danno il permesso, per il resto ci si arrangi pure come capita. Eppure la biografia di Red non lascerebbe dubbi: “Ronnie rappresenta da sempre l’eccellenza più prestigiosa nel campo della musica emergente” tanto che “nel primo mensile in DVD al mondo, Roxy Bar, ha ritagliato uno spazio per gli artisti emergenti”. È con trepidazione quindi che si aspetta l’uscita del nuovo numero del primo mensile in dvd e nel contempo il risultato di un ballottaggio che potrebbe avere inaspettati riflessi su tutta la politica italiana. Per quel che riguarda la musica, dopo aver goduto della serata del 17 maggio dove sul palco, in appoggio a Pisapia, si sono alternati Ministri, Dente, Samuel e Max dei Subsonica, gli Afterhours, Marta sui Tubi, Casino Royale, Roy Paci, si attende di scoprire il cast di quella che lancerà il rush finale, il 27 in piazza Duomo. Per adesso solo indiscrezioni e una certezza: non ci sarà Red Ronnie, impegnato a cancellare i post dalla pagina Facebook.

lunedì 16 maggio 2011

Jazz or not to Jazz


Per circa cinque anni ho lavorato in un negozio di dischi dedicato al jazz e ai vinili usati di ogni genere; spesso capitava qualcuno che, con l’aria più naturale del mondo, mi poneva la più temuta delle domande: “Vorrei cominciare ad ascoltare il jazz, mi consiglia un disco?”. Caparbiamente cercavo di approfondire l’argomento, domandando quali generi ascoltasse l’incauto postulante, spiegando che il jazz racchiude una molteplicità di musiche, anche molto diverse tra loro, che bisognerebbe forse partire da qualcosa che si è già ascoltato e che ci ha colpito e poi da lì proseguire per collegamenti e connessioni. Tutto vano, l’acquirente insisteva irremovibile: “Sì, va bene, ci sarà un disco però che bisogna assolutamente avere?”. Sì, diceva avere e non ascoltare, ma pur sussultando nel mio intimo e non essendo un autentico venditore (che gli avrebbe affibbiato una qualunque raccolta o un titolo impolverato e abbandonato da tempo immemorabile), piegavo il capo nei cassetti e ne estraevo “Kind of blue” di Davis o “Giant Steps” di Coltrane. In genere la cosa finiva lì, nel senso che il cliente nelle sue visite successive si guardava bene dal mostrare una qualunque reazione all’ascolto: o abbandonava del tutto il tentativo o si consegnava alle confortevoli enciclopedie a fascicoli da edicola (nemmeno malaccio a vederle col senno di poi). Sono passati più di dieci anni da quando ho abbandonato il mio lavoro più amato e molte cose sono inevitabilmente cambiate (perlomeno in campo musicale, in politica stiamo ancora aspettando). Adesso si compra sempre meno musica, sempre meno nei negozi e in sostituzione di Curcio e De Agostini, sono gli stessi quotidiani e settimanali a proporre ogni tipo di disco in allegato. Da questa settimana ad esempio, il Sole 24 Ore allega al quotidiano, al prezzo di 9,90 euro (folle, se consideriamo che il prodotto è esente IVA e che con 5 euro oggi si compra un qualunque capolavoro del jazz), il primo volume di “I miti del jazz”; duecentoquarantasette euro virgola cinquanta per venticinque cd-book (ma se ordinate l'intera collana scendete a 199) di cui purtroppo non sono specificati i dettagli: ci sono i nomi ovviamente (tutti i principali, più qualcuno superfluo e qualche grossa dimenticanza: c’è Phil Woods e non c’è Dizzy Gillespie, ci sono Glenn Miller e John Abercrombie, ma non c’è traccia di Hancock e Shorter), ma non si riesce a scoprire quali siano i brani scelti. Insomma, bisognerebbe acquistare al buio e, di questi tempi, Confindustria, l’editore del giornale, non è esattamente l’interlocutore più sicuro e affidabile. Per chi volesse decidersi a compiere il grande passo nel rutilante universo afro-americano meglio allora spostarsi sul sito del benemerito Folkways Smithsonian (http://www.folkways.si.edu/), un vero e proprio “paese dei balocchi” dove è racchiusa tutta la musica americana dalle sue origini ad oggi e dove è possibile ordinare qualunque cd in catalogo nel enorme archivio o farsene fare addirittura uno con la propria track-list. La pubblica istituzione (sì, avete letto bene, è un’istituzione pubblica nella patria del liberismo; andatelo a spiegare a quei cialtroni di economisti di casa nostra) ha appena approntato un cofanetto - “JAZZ: The Smithsonian Anthology” - di sei cd con un libretto di 200 pagine, di cui potete trovare i dettagli e che potete farvi spedire a casa per la modica cifra di 99.98 dollari, 70,0214 euro alla chiusura dei mercati di venerdì scorso. Ovviamente anche tra i 111 brani ci sono alcune assenze eccellenti, però ci trovate anche Medeski, Martin & Wood, Martial Solal, John Zorn e Pat Metheny. Insomma se volete farvi un’idea o un bel regalo, l’occasione è ghiotta. Sempre che invece non preferiate cercare la vostra vittima di turno in un dei pochi negozi di dischi rimasti; allora potreste entrare, dare un’occhiata in giro, alle copertine appese alle pareti, ai cd accumulati ovunque e con aria ingenua e interessata domandare: ““Vorrei cominciare ad ascoltare il jazz, mi consiglia un disco?”

lunedì 9 maggio 2011

Sid and my mother



Non ho speso una parola per quello che in molti si sono affrettati a contrabbandare per l’evento del secolo, il matrimonio di Prince Harry e Kate Middleton. Al mio inalienabile disgusto per ogni forma di nobiltà (sì, anche quella d’animo) e di matrimonio, si aggiungeva un aspetto musicale pressoché nullo. Così almeno credevo fino a quando nella mia cassetta-mail si è materializzato un comunicato in cui l’etichetta discografica Decca annunciava, “per la prima volta in assoluto”, la pubblicazione dell’intera colonna sonora del matrimonio. L’edizione in cd - esiste la possibilità anche del solo download - comprende “a special edition booklet” nel quale è possibile trovare “the complete order of service, the readings, vows, hymns and blessings, and all the music from the ceremony”. Ho cercato di immaginare a chi potesse interessare una cosa del genere, ma poi non avendo nemmeno dedicato un secondo della mia vita a tale risibile evento, ho capito che non ero la persona adatta per rispondere; per dovere di cronaca segnaliamo che nel cd non appare la cover di “You and I” di Stevie Wonder che George Michael ha dedicato ai due sposi e che la pubblicazione è prevista per il 10 maggio, genetliaco, oltre che della mia mamma che compie 81 anni, di Sid Vicious: per una volta di due si sarebbero trovati d’accordo sul giusto commento da dare all’evento. Per restare nell’ambito dei fatti ininfluenti sulla nostra vita, spendiamo due parole sull’Eurovision song contest che si terrà a Dusseldorf il 10, 12 e 14 maggio prossimi. Dietro la pomposa definizione si cela il solito Eurofestival, manifestazione canora lanciata nel 1956 (vinse la svizzera Lys Assia con “Refrain”; in quell’anno, tanto per fare un esempio Edith Piaf cantava “Les amants d’un jour”, “Albergo a ore” nella versione nostrana di Herbert Pagani e Chuck Berry incideva “Roll over Beethoven”) e mai troppo amata neppure da noi, forse perché abbiamo trionfato solo con Gigliola Cinquetti nel 1964 con “Non ho l’età” e con Toto Cotugno nel 1990 con “Insieme: 1992”. L’Italia, dopo dodici anni e grazie al rinnovato interesse da parte del direttore di Rai 2 Massimo Liofredi e soprattutto delle case discografiche, che non sanno più a che santo votarsi, torna nell’agone con Raphael Gualazzi e “Follia d'amore”, il brano vincitore di Sanremo giovani. Per l’alto numero dei partecipanti (quest’anno ritorna addirittura anche San Marino con una certa Senit) si disputeranno due semifinali dove si afffronteranno, tra gli altri, il bosniaco Dino Merlin che interpreta “Love in rewind”, il gruppo gypsy-punk moldavo Zdob şi Zdub con “So Lucky”, la bielorussa Anastasia Vinnikova con “I love Bielarus”, gli azeri Ell e Nikki che in inglese cantano “Running scared”, i Sigurjón's, trionfatori nella selezione islandese Söngvakeppni Sjónvarpsins 2011 con “Coming home”. Non abbiate paura per il nostro Raphael perché insieme ai rappresentanti di Spagna, Francia, Germania e Regno Unito, di diritto arriverà in finale permettendo così a Raffaella Carrà di tifare per lui quando, sabato 14 maggio alle ore 21 su Rai 2, commenterà dall’Italia con una “diretta parallela” (qualunque cosa voglia dire) l’imperdibile manifestazione. Apprendiamo anche che “per celebrare questo momento musicale, anche il programma pomeridiano di Rai Due “Top of the pops” dedicherà due puntate all’Eurovision Song Contest, il 7 e il 14 maggio. La trasmissione del sabato pomeriggio, condotta da Ivan Olita e Gaia Ranieri, ha deciso di ospitare alcuni degli artisti che vedremo sul palco, per far conoscere meglio al pubblico italiano le canzoni in gara”. Anche qui Sid e mia mamma si troverebbero infine d’accordo. God Save the Queen and the Rai too.

lunedì 2 maggio 2011

Primo Maggio, su coraggio.


Mentre scrivo queste righe il concertone del Primo Maggio non è ancora iniziato. E nemmeno la tanto attesa beatificazione di Karol Wojtyła, curiosamente collocata nello stesso giorno e nella stessa città (anche se non nella stessa nazione a voler essere precisi). La strana coincidenza, a parti invertite, avrebbe sollevato un gigantesco polverone: immaginate la reunion dei Pink Floyd che apre il concerto dei Rolling Stones con Paul McCartney al basso, su un gigantesco palco davanti al Colosseo la domenica di Pasqua. Il cardinal Bagnasco avrebbe inveito contro la musica del diavolo (sì, più o meno siamo sempre lì), La Russa in qualità di Ministro della Difesa avrebbe strenuamente attaccato i rappresentanti della perfida Albione (sì, più o meno siamo sempre lì), qualche leghista cretino (sceglietene uno, c’è solo l’imbarazzo) avrebbe strepitato contro l’ennesima invasione straniera; e il PD, per non esser da meno, avrebbe detto che forse, per ragioni di opportunità, sarebbe stato meglio spostare ovviamente il concerto a un’altra data. Invece il fatto che uno spettacolo per cui si attendono circa un milione di persone, sia stata collocato lo stesso giorno di una festa che in Italia celebriamo dal 1891 non ha turbato l’animo di alcuno. È pur vero che il Concertone - quest’anno presentato da Neri Marcorè, che forse per l’occasione rivestirà i panni di Giovanni Paolo I - è ormai diventato una stanca replica di se stesso: Luca Barbarossa (che dev’essere una specie di tassa sull’utilizzo di Marcorè), Gino Paoli che intonerà (speriamo lo intoni) il “Va’ Pensiero”, Edoardo Bennato per cui il Primo Maggio o una festa dei giovani di Alleanza Nazionale sono la stessa cosa, i Modena City Ramblers che, proviamo a indovinare, ci proporranno “Bella ciao”, non sono un cast che si possa definire stellare; forse gli organizzatori avranno pensato che molti dei partecipanti alla beatificazione, che probabilmente non avranno visto o ascoltato niente bloccati in qualche ingorgo umano, si sarebbero spostati a S. Giovanni per consolarsi con Subsonica, Caparezza o Daniele Silvestri. In caso non bastasse, tutti potranno comunque fermarsi un giorno in più, per la gioia degli albergatori e ristoratori romani, e recarsi il 2 maggio in Campidoglio alle 19 dove, con gli auspici e i soldi del sindaco Alemanno, potranno assistere a un concerto di musica sacra e all’esibizione di alcuni “veterani della musica italiana, tra cui Amedeo Minghi, Tosca, i Matia Bazar, Roby Facchinetti e la Premiata Forneria Marconi”. Sì, avete letto bene, la PFM. E se il vostro pensiero corre a De Andrè, non vi preoccupate, lassù c’è un nuovo beato che provvederà a consolarlo.

lunedì 25 aprile 2011

Bella, ciao.


Nella settimana di Pasqua, per una pseudo-rubrica di musica sarebbe d’obbligo parlare dell’ultima provocazione di Lady Gaga, il suo nuovo singolo "Judas", pubblicato proprio durante la Settimana Santa. Ma dopo tre righe dell’ennesima polemica montata ad arte e tre note dell’ennesima scopiazzatura di un qualunque pezzo di Madonna, in cui la pseudo-signora, pseudo-canta il suo innamoramento per il traditore di Cristo, l’idea viene già a noia. Così ci salva il calendario, che nel 2011 situa la dipartita del figlio di Nostro Signore verso la destra del Padre, in coincidenza con l'anniversario della liberazione dal nazifascismo. E i ricordi tornano ai 25 aprile di qualche anno fa, quando nella piazza delle scuole (così lo spazio antistante elementare e media di quartiere: asfalto, platani e panchine, periodicamente dotato di giostra) la locale sezione del PCI (o era il PSI? o, forse, addirittura insieme?) allestiva quattro, cinque stand con la pesca di beneficenza, la libreria, i friscieu (le frittelle, spesso regalate dai corpulenti cuochi, impietositi dalle nostre facce sbavanti) e i megafoni appesi agli alberi, che inesorabilmente diffondevano “El pueblo unido” e “Bella ciao”, ancora fortunatamente non in versione Modena City Ramblers. Proprio ripensando alla colonna sonora di quei giorni, nel ricordo sempre soleggiati, miti e spensierati, e ritrovando in settimana il valoroso Gianni Morandi alle prese con la promozione del suo ‘attesissimo’ nuovo album (in realtà la solita raccolta con l’aggiunta dell’inedita “Rinascimento”), mi è tornata alla mente la serata del Festival di Sanremo dedicata ai 150 anni dell’Unità d’Italia. Proprio in quell’occasione, grazie all’ineffabile coppia Mazzi - Morandi, tra le quattordici canzoni che avrebbero dovuto celebrare l’importante anniversario, non si trovò posto per “Bella Ciao”, sicuramente la canzone che nell’immaginario nazionale più di ogni altra celebra la vittoria sul fascismo e la nascita della nuova Italia repubblicana e democratica. Lo stratagemma usato per eliminarla è un vero e proprio marchio di fabbrica della destra populista berlusconiana: si contro-propone un’assurdità (nello specifico a Sanremo l’esecuzione bipartisan dell’inno fascista “Giovinezza”) e poi si rimuove tutto, in un impeto di magnanimità, che finisce invece per raggiungere il vero scopo: “per non scontentare abbiamo deciso di toglierle tutte e due” dichiarò Morandi all’epoca, fingendo di non sapere che così si accontentava solo la parte che non voleva la canzone partigiana sul palco di Sanremo (nell’ultima puntata di Anno Zero Marco Travaglio ha spiegato perfettamente il meccanismo, parlando del tentativo di bloccare il processo Ruby attraverso il ricorso al conflitto di competenza). Quella stessa sera Morandi cantò proprio “Rinascimento”: “Questo mondo tende la sua mano/ forse cerca Dio … questa sete di potere, di potere e denaro, un destino troppo amaro. La soluzione forse è pregare”. Giusto per sapere chi si nasconde, dietro quella faccia da eterno bravo ragazzo. Resistere, resistere, resistere e buon 25 aprile a tutti.

lunedì 18 aprile 2011

Let’s Face(book) the music and dance


La puntata di Report del 10 aprile scorso ha suscitato sgomento e ansia tra gli utenti Facebook, quando hanno improvvisamente scoperto che affidare la propria mail o il proprio numero di cellulare alla ‘Rete’, comporta qualche rischio: nel peggiore dei casi potrebbero violare il vostro account, impadronirsi del profilo e provare a clonarvi la carta di credito riducendovi sul lastrico nel giro di poche ore (se leggete questo post, sicuramente non avete una carta di credito che possa minimamente interessare a un pirata informatico dotato di un minimo raziocinio); nel minore, incroceranno i vostri dati (più ne mettete e più possibilità gli date) per scoprire i vostri interessi, le vostre propensioni, i vostri amici e usarli per farvi sganciare qualche soldo. Niente di grave occhio e croce, non più del rischio che correte quotidianamente entrando in un tabacchino o peggio in una ricevitoria abilitata alle scommesse. In genere basta girare al largo dalla pagina di destra del vostro profilo, quella in cui Facebook vi consiglia le “Persone che potresti conoscere” (di regola gente che conosci benissimo e che eviti con estrema consapevolezza) o vi segnala il nuovo ‘game’ del momento (“Gioca a Glory of Rome. Forma un esercito, estendi il tuo impero e prova il gioco più avanzato di Facebook!”. C’è qualcuno sano di mente che può essere attirato da una cosa del genere?) per evitare qualunque pericolo. Certo, le menti raffinate di Facebook ne sanno una più di Goebbels e riusciranno ugualmente a farvi cadere in trappola. L’altro giorno, pur avendo rivisto ancora una volta la trasmissione della Gabanelli su Rai Replay prima di accedere al perfido social-network, di fronte alla scritta che mi occhieggiava dallo schermo - “ti piace Bob Dylan, visita la pagina di Adriano Tarullo” - ho ceduto anch’io. Dopo qualche minuto di esitazione, in cui ho provato a immaginare il legame tra il menestrello di Duluth e il Tarullo in questione, guardandomi bene in giro e riconfigurando tutte le opzioni di privacy del mio account (Se vedi "http:" invece di "https:" allora tu NON hai una sessione protetta e può essere violata. In ogni caso Vai ad Account - Impostazioni account - Protezione Account - fare clic su CAMBIA. Casella di controllo - navigazione protetta - fai clic su Salva), ho cliccato. La pagina si è aperta con la rassicurante foto di un’anziana signora, evidentemente abruzzese, seduta su una panchina con una chitarra elettrica in mano, vicino ad un ragazzo in piedi. Entrambi ridono. Spostandosi sull’immagine parte l’audio di un brano ovviamente in dialetto abruzzese; più sotto una scritta: “Compilando il modulo qui sotto con il tuo nome (non occorre il cognome) e la tua e-mail principale, potrai scaricare (GRATIS) l'intero contenuto dell'album ‘Sacce cu è ju bblues’ e il singolo della canzone ‘Tutte le fundanelle’ dell'album ‘I vuojjie bbene a nonnate’.” Atroce dilemma degno di una tragedia shakesperiana. Compilare e poter godere di ‘Tutte le fundanelle’ o fuggire a gambe levate da un possibile hacker? Ai posteri l’ardua sentenza.

martedì 12 aprile 2011

Glocal hero



Venerdì 8 aprile alla Salumeria della Musica di Milano, il concerto di Aloe Blacc, la stella nascente del new-soul (“Good things” l’album, “I need a dollar” il singolo): quattrocento persone, pubblico di trenta-quarantacinquenni, molte ragazze, look casual, ma ricercato; il bar offre taglieri misti, accompagnati da vino o birra. Sabato 9 aprile, il PalaSharp, di Milano ospita il suo ultimo concerto (sarà abbattuto per ricavare spazio per il sempre più misterioso Expo 2015; intanto la città perde l’unico luogo capace di ospitare eventi musicali a capienza medio-alta). Sul palco il rapper Nas insieme all’enfant de famille Damian Marley (“Distant relatives” il loro disco insieme): quattromila persone circa, moltissimi giovani, arrivati anche da lontano (Puglia, Veneto), no-look, tra il centro sociale e la moda di periferia, colori giamaicani e afrori dolciastri. Le baracchette fuori arrostiscono birra e salciccia. Si potrebbe continuare a lungo ricordando il recente concerto di Mariza, la cantante nata in Mozambico che presenta il suo nuovo cd, “Fado tradicional”, in uno dei templi della musica classica, il Teatro dal Verme; o gli Eels all’Alcatraz, il luogo per eccellenza dell’ indie-rock. Pubblici diversi, fortemente caratterizzati, immediatamente riconoscibili, ma soprattutto raramente permeabili: molto difficilmente lo spettatore di uno dei concerti citati ha assistito anche ad uno degli altri (non solo per motivi economici); molto probabilmente lo spettatore di uno dei concerti citati non ha mai nemmeno sentito nominare uno degli altri nomi citati. In epoca di globalizzazione (o presunta tale) sembra che la musica abbia completamente perso la sua capacità di attirare trasversalmente le persone: i tanto vituperati generi hanno creato, sempre più, altrettante nicchie in cui gli ascoltatori si rifugiano confortevolmente, accontentandosi di ritrovare all’infinito le sonorità che più riconoscono. Tutto lecito ovviamente; se non fosse che dopo la sbornia degli anni ’70 in cui addirittura il rock e la classica o il rock e il jazz provavano a confrontarsi vicendevolmente, dopo la ‘world music’ che sembrava affermare la possibilità di una musica universale (quanto feconda è un altro discorso, ovviamente) assistiamo sempre più a quello che i sociologi - in tutt’altro campo - chiamano ‘glocalizzazione’, una crasi tra globale e locale applicata ai generi musicali. C’è da dire che questo fenomeno riguarda più il pubblico che i musicisti: Kanye West nel suo ultimo album “My Beautiful Dark Twisted Fantasy” campiona i King Crimson di “In the court of the Crimson King” e Nas il giro di basso di In-A-Gadda-Da-Vida; ma quanti tra i loro fan se ne rendono conto? E nel caso, quanti sarebbero minimamente incuriositi da quei dischi? Crediamo pochi e non prendiamo nemmeno in considerazione l’idea opposta, cioè che il seguace di Robert Fripp o degli Iron Butterfly sia men che lontanamente interessato a scoprire cosa si agita nel mondo rap per esempio. Tutti al sicuro nella loro tranquillizzante celletta in cui non entrano i rumori del mondo. Forse anche così, ci s’impoverisce giorno dopo giorno.

lunedì 4 aprile 2011

Songs for Japan?


Le cose devono essere andate più o meno così: 11 marzo 2011, alla scrivania di un ufficio, in uno degli ultimi piani di un qualche grattacielo di New York, un uomo di mezza età in impeccabile completo grigio sta guardando la CNN e le terrificanti immagini del terremoto e del conseguente tsunami in Giappone. Dalle vetrate s’intravede una brulicante umanità che si affanna dietro le ineludibili quotidianità della vita. L’uomo, stipendio da qualche milione di dollari all’anno più benefit ed eventuali dividendi, alza il telefono e impartisce alcuni ordini secchi. Ai piani inferiori un po’ d’agitazione: altre conversazioni si rincorrono nell’etere, tutte più o meno di questo tenore: “bisogna fare qualcosa per questa tragedia, abbiamo pensato a una compilation, non devi mica incidere un pezzo nuovo, basta che ci dai i diritti di uno vecchio, non vorrai mancare proprio tu no?”. All’altro capo del telefono Bono, Bob Dylan, John Frusciante, Lady Gaga, Michael Stipe, Bruce Springsteen, Sting, probabilmente anche loro con lo sguardo incollato su qualche schermo di tv, iPad o computer, che restituisce ogni possibile riflesso filmato del dramma. In pochissimi giorni si allestisce un cast degno: la macchina si mette in moto e già a fine mese su iTunes si può acquistare, alla modica somma di 9 euro e 90 centesimi, “Songs for Japan”, 38 canzoni, i cui proventi saranno devoluti alla Croce Rossa giapponese. Per la grafica si fa una scelta essenziale, i cartonati da piazzare in vetrina saranno pronti in pochi giorni. Intanto, in qualche fabbrica strategicamente collocata in nazioni dove il costo del lavoro e i sindacati non intralciano troppo la sacrosanta ricerca del profitto, si comincia a produrre il cd doppio, che dal 5 aprile sarà disponibile in tutti i pochi negozi rimasti in giro per il mondo. Si compila un bel comunicato (e nella fretta la Sony italiana fa un po’ confusione, forse un lapsus freudiano e scrive “Songs from Japan”) in cui si ribadisce che “gli artisti partecipanti, le etichette musicali e gli editori musicali hanno rinunciato ai loro diritti e al ricavato della vendita dell'album in tutto il mondo per garantire che la Croce Rossa riceva il maggior sostegno possibile da questa iniziativa globale” e il più è fatto (il disco è venduto a 7 euro ai negozi, dai quali vanno tolte spese di produzione, confezione, pubblicità; su iTunes sono 7,04 gli euro devoluti per ogni download). 5 aprile 2011: l’uomo è nel suo ufficio, seduto alla scrivania, il sole sta tramontando sull’Hudson, si lascia andare sulla poltrona, cambiando distrattamente canale con il telecomando. Squilla il telefono. Close-up.

lunedì 28 marzo 2011

Chi fermerà la musica


Da un paio di settimane il gruppo Espresso - Repubblica ha lanciato l'ennesima iniziativa editoriale relativa alla musica, un corso inedito e completo in dieci uscite per imparare a suonare quattro strumenti: chitarra, tastiere, basso, batteria. La pubblicità promette che "il metodo innovativo di Music Academy, in libro e DVD perfettamente integrati, vi insegnerà a suonare da soli e in una band". E aggiunge l'intelligentissimo 'claim': "Con Music Academy imparate suonando!", una vera rivoluzione rispetto alle masse di musicisti che, evidentemente, hanno imparato non suonando. Per una singolare coincidenza sul blog del giornalista Christian Rocca, il 20 marzo, è apparso un post dedicato a Garage band, un applicazione per iPad in grado di far comporre canzoni anche a chi non sa suonare una sola nota. Lui, che rientra in questa categoria, in qualche ora, ha composto tre brani ("It ain't over until is over", "It's over", "Arab unrest", idealmente raccolti nel primo EP dal titolo "Via Monterosa 91", purtroppo non disponibile al download), che ha immediatamente proposto ad amici e colleghi. Il cerchio, come in un terrificante incubo, è drammaticamente ed ermeticamente chiuso: da un lato (è un incubo, e quindi anche i cerchi hanno i lati) stormi di ragazzini che partecipano a X Factor, Amici e Ti lascio una canzone, inondando il mercato con i loro prodotti omologati, nella speranza che "uno su mille ce la fa"; dall'altro, moltitudini di analfabeti che armati di dispense, dvd e computer, producono felici e inascoltati, milioni di note. In una sconfortante giornata di marzo, mentre nel bagno di un ristorante, un altoparlante inserito nel soffitto, mi torturava con una terrificante versione pop di "Nessun dorma", ho pensato come in fondo sia proprio questa la musica della contemporaneità: quella che tutti suonano, cantano, improvvisano, imparano e nessuno ascolta, il riflesso dell'esasperato individualismo che contraddistingue questa malsana epoca in cui l'egocentrismo ha trionfato su ogni barlume di percezione collettiva. "È più facile farlo che suonarlo" insiste la geniale pubblicità del Music Academy. Certamente, ma bisognerebbe almeno sapere che cosa.

lunedì 21 marzo 2011

Talkin' World War III Blues


Il 18 marzo scorso, il giorno dopo l’approvazione da parte del Consiglio di Sicurezza dell'Onu della risoluzione che ha autorizzato l'imposizione della no-fly zone sulla Libia “con tutti i mezzi a disposizione”, il quotidiano francese Libération è uscito con una doppia copertina: in prima pagina la foto di Gheddafi e il titolo “La guerre”; in ultima pagina, una prima rovesciata, un’immagine di un elicottero sopra Fukushima e la scritta “La centrale infernale”. Un tragico, ma efficace riassunto di una settimana alla quale è difficile dare una colonna sonora, in cui verrebbe voglia di scrivere ‘chiuso per lutto’, limitarsi a copiare “Alle fronde dei salici "di Salvatore Quasimodo o rannicchiarsi sul divano ad ascoltare uno di quei dischi che si tirano fuori nelle occasioni che contano. E così ho fatto, pescando dal mucchio “The Freewheelin' Bob Dylan”, guidato nella scelta da un inconscio che quasi sempre si rivela molto più lungimirante dell’io che lo contiene. Ho guardato la foto di copertina, dedicando un ultimo pensiero a Suze Rotolo, l’allora fidanzata di Dylan ivi ritratta e scomparsa il 24 febbraio di quest’anno, mentre in sottofondo partivano le (arci)note di "Blowin' in the Wind". Dopo poco più di sei minuti, all’inizio del terzo brano, “Masters of War”, mi alzo ed estraggo dalla libreria un vecchissimo libro della Newton Compton, pagato all’epoca milleduecento lire, “Blues, ballate e canzoni”, i testi dei primi undici album di Robert Zimmerman da Duluth: “e spero che moriate, e che la vostra morte venga presto, seguirò la vostra bara, un pallido pomeriggio, e guarderò mentre vi calano, giù nella fossa, e starò sulla vostra tomba, finché non sarò sicuro che siete morti”. Ancora due canzoni che quasi non ascolto, ho ancora nelle orecchie l’invettiva contro i padroni della guerra e inizia “A Hard Rain's A-Gonna Fall”: “e cosa hai sentito, figlio dagli occhi azzurri, cosa hai sentito, dolce mio figlio, ho sentito il fragore di un tuono, e il suo rombo era un avvertimento, e ho sentito il fragore di un'onda, che potrebbe sommergere tutto il mondo, ho sentito cento tamburini, e le loro mani erano in fiamme”. Mi risveglia il tac della puntina sul solco finale, insistito, ripetuto, sempre uguale; mi alzo, sollevo con delicatezza il braccio del giradischi, mi siedo di nuovo resto lì, senza pensare a nulla.

lunedì 14 marzo 2011

Anema e core


Il mio amico Salvatore telefona tre - quattro volte l'anno: rispondo e lui, dall'altra parte, comincia a suonare il sax tenore, un Selmer Mark IV che tiene in negozio per esercitarsi; oppure mette un brano sul vecchio giradischi con cui ama riascoltare i suoi maestri. Poi scoppia a ridere e dice: "Danilo, come s'intitola questo pezzo? Ciao, sono Salvatore, come stai?". Dopo le abituali chiacchiere di riscaldamento arriva il momento del suo argomento preferito o, per meglio dire, del suo sospirato miraggio: invitare Sonny Rollins a Genova per insignirlo di una laurea ad honorem dall'Università o di un riconoscimento dal Comune o una qualunque cosa ufficiale che lo convinca ad attraversare l'Atlantico. Così mi racconta del suo ultimo incontro con il Magnifico Rettore che gli ha assicurato, pur non conoscendo il personaggio in questione, che farà tutto il possibile; con l'assistente del Sindaco, che gli ha garantito, pur non conoscendo il personaggio in questione, che vedrà di convincere il nostro primo cittadino; con un'importante esponente di Assindustria che si è detto certo, pur non conoscendo il personaggio in questione, che il presidente si adopererà sicuramente per trovare un degno sponsor per l'evento. E tutti - sembra di sentirli in coro - aggiungono che "proprio quest'anno"... "non ci sono nemmeno i soldi per gli asili"... "la crisi picchia duro"... e tutto un campionario di frasi di circostanza su cui si infrange la sua indomabile perseveranza. Questo succede ormai da più di dieci anni. Lui, nel frattempo, ha tallonato Rollins, in tutti i suoi concerti, in Italia e in Francia, presentandosi con la raccomandazione di un amico comune, Emilio Lyons da Boston, "the doctor", il più importante aggiustatore di sassofoni del mondo, con cui Salvatore ha intessuto negli anni un rapporto affettuoso, quasi filiale. Ormai anche il manager lo conosce, ci ha parlato spesso e lo ha quasi convinto; anche Rollins sembra possibilista; mancano solo i soldi, nemmeno tanti in fondo, un paio di biglietti aerei e un po' di buona volontà. Ma niente e il suo sogno resta ben lontano dal realizzarsi. Martedì scorso mi ha telefonato; le note di "Anema e core" hanno preceduto la sua voce, sempre allegra, che chiedeva come stavo; ci siamo salutati con la promessa di rivederci, prima o poi. Su Rollins nemmeno una parola. Pochi giorni dopo ricevo la newsletter mensile di Down Beat, la più importante rivista di jazz statunitense. Il titolo d'apertura è: "Sonny Rollins Awarded National Medal Of Arts". Nella foto un ottantenne 'Saxophone Colossus' sorride, capelli e barba grigi, elegantissimo, indossa una splendida giacca rossa, mentre il presidente Barack Obama gli consegna la medaglia. Ripenso a Salvatore, alle decine di volte in cui ha provato a spiegare chi sia Sonny Rollins e perché per Genova sarebbe stata un'occasione importante tributare un riconoscimento a un musicista che ha fatto la storia del jazz e della cultura del Novecento. So che sarà contento per Sonny, che brinderà ascoltando un suo disco (io sarei indeciso tra "Freedom suite" o il "Volume 1" della Blue Note), la prossima estate andrà a salutarlo in uno dei pochi concerti che terrà in Europa e si complimenterà per la medaglia; ma, quasi sicuramente, non avrà il coraggio di parlare ancora del suo progetto. Così, giorno dopo giorno, spegnendo entusiasmi, desideri, sogni e anche rendendo impossibile il lavoro a realtà concrete, fattive, positive, che rendono migliore la nostra vita, così, giorno dopo giorno, muore la cultura in Italia. (Scritto nella settimana in cui sono 'scomparsi' altri ventisette milioni dal già esangue Fondo Unico per lo Spettacolo, è stata finalmente varata l'ineludibile Grande riforma sulla Giustizia, il CdA Rai ha approvato l'arrivo di due nuove "stelle", entrambi dipendenti berlusconiani: Giuliano Ferrara, con la sua trasmissione "Qui Radio Londra", un milione e mezzo all'anno per due anni con l'opzione per il terzo; e Vittorio Sgarbi che da aprile avrà condurrà "Il bene e il male", compenso sconosciuto).

lunedì 7 marzo 2011

The perfect beat



Qualche giorno fa mi aggiravo tra le bancarelle di libri, come succede quando si ha tempo da perdere, in attesa che si faccia un'ora dignitosa per presentarsi a un colloquio di lavoro o, se si è ancora giovani, al primo appuntamento con una ragazza conosciuta su Facebook. Insomma era uno di quei momenti in cui se la vita fosse un romanzo, ecco quello sarebbe il momento cruciale, l’istante spettacolare in cui tutto finalmente sta per cambiare. Invece, trattandosi di vita vissuta, ogni cosa procede noiosamente come sempre e, in genere, anche l’ammucchiata di libri non provoca nessun sussulto. Questa volta, mi capita tra le mani "Slumberland" di Paul Beatty, pubblicato da Fazi nel 2010. Mi attira la foto di un ragazzo nero in copertina e il dialogo riportato sotto il titolo: "Allora? Cos'è un musicista jazz senza una donna bianca? Un senzatetto". Non proprio una battuta memorabile, ma la parola jazz è sufficiente per farmi aprire la prima pagina. Qui ci trovo Josephine Baker, la Montblanc, Langston Hughes e tanto basta, insieme ai cinque euro del prezzo, a convincermi all'acquisto. A casa il libro finisce dimenticato nella pila di quelli da leggere per qualche mese, fino all'altro giorno, quando salta fuori reclamando attenzione. Inizio a sfogliarlo, senza molta convinzione: un disc-jockey nero, dotato di una memoria fonografica perfetta, arriva a Berlino, nel 1989, alla ricerca di Charles Stone, detto lo Schwa, uno dei tanti geni sconosciuti e/o dimenticati del jazz. DJ Darky, l'io narrante, lo cerca perché lui è l'unico in grado di suonare il ‘beat’ perfetto, un ritmo assoluto di 2 minuti e 47 secondi composti accumulando tutti i suoni incontrati nella sua vita (che il brano abbia una sua efficacia lo dimostra il fatto che anche Blixa Bargeld, che abita al piano sotto del nostro protagonista, dimostri rispetto all’ascolto). In attesa dell'incontro, per guadagnarsi da vivere, lavora allo Slumberland, un bar che è "uno zoo degli accoppiamenti interrazziali". Forse lavoro è una parola grossa, perché chi non vorrebbe fare il ‘jukebox - sommelier’, cioè riempire un vecchio Wurlitzer di 45 giri scelti con maniacale attenzione, in modo che qualunque sia la casuale successione di ascolti non possa che risultarne una colonna sonora impeccabile? Ovviamente, in qualche serata speciale Darky sale in consolle, mettendo insieme Shuggie Otis e Bar-Kays, Slave e Gil Scott-Heron, “Sugar man” di Sixto Rodriguez con “Lizard” dei King Crimson (!). E chissà che a Kanye West l’idea di campionare “21st century schizoid man” in “My Beautiful Dark Twisted Fantasy”, non sia proprio venuta in mente leggendo queste righe. Nell’attesa di conoscere la risposta, provate a risolvere la legge GeorgeClintoniana del Funk Universale: F = (R m1 m2)/ r2. Buona lettura.

lunedì 28 febbraio 2011

Vivi e lascia morire


In un memorabile racconto pubblicato in Italia nel 1973, Woody Allen ironizzava sull'ossessione, in passato tutta accademica, per la ricerca di manoscritti, notarelle, inediti di varia natura, dal quale lo scrupoloso erudito potesse evincere una nuova prospettiva su tutta l'opera di un autore (nel caso si trattava delle "Note di Lavanderia" di Hans Metterling, indimenticato artefice di opere seminali come "Le Confessioni di un Formaggio Mostruoso" e "Pensieri di un pollo"). Da un po' di tempo tale ossessione si è allargata all'editoria di consumo, ovviamente non per una seppur discutibile brama di conoscenza, quanto per sfruttare il più possibile il nome di uno scrittore trapassato, nella speranza di vendere qualche copia in più; Cristina Taglietti, in un articolo del Corriere della Sera del 21 gennaio scorso, analizza il fenomeno con particolare riferimento alle recenti uscite di bestseller post mortem: Bolaño, Crichton, Mark Twain (un interessante caso di pubblicazione a cent'anni dalla scomparsa, ma su indicazione dello stesso autore) fino a Bjorn Larsson, la cui moglie ha appena dato alle stampe (non ancora in Italia) "Millenium, Stieg ed io", un libro di memorie che dovrebbe anticipare (c'è una battaglia legale in corso con il padre e il fratello dello scrittore, unici eredi) il quarto libro della saga intitolato (ironicamente?) "La vendetta". Vedo già disegnarsi un sorriso sul volto dello scafato appassionato di musica: dalla nascita della registrazione fonografica, con l'avvento del 33 giri, ogni artista degno di questo nome - ma anche no - è stato costretto a subire, alla sua scomparsa - ma a volte anche in vita, causa contratti discografici capestro - qualsivoglia tipo di riesumazione musicale. I concerti innanzitutto, parliamo di quelli non ufficiali (Charlie Parker tanto per fare un nome, fu ossessionatamente registrato da Dean Benedetti, che per motivi di scarsità di nastro tenne soltanto i suoi assoli, poi raccolti nel monumentale "The Complete Benedetti Recordings of Charlie Parker"), i cosiddetti bootleg, che impazzarono nei tardi '70, con la loro copertina bianca e un foglio incollato con i crediti, nascosti negli scaffali più inaccessibili dei negozi, dove chiunque poteva trovarli, per poi 'godere' del rumore di fondo e degli applausi dei vicini dello sconosciuto registratore. L'arrivo del cd, con la sua falsa promessa di miglioramento acustico, rinvigorì il fenomeno: oltre alla ripubblicazione di tutto quanto già esisteva in vinile, il mercato fu invaso da migliaia di concerti, "demos" e "rare and unreleased recordings". La stretta legale che li ha fatti nuovamente scomparire, è stata riassorbita dal mercato ufficiale, che ha compreso quale potenziale business si potesse celare nello sfruttamento della psiche del povero collezionista. Adesso i concerti e le tracce inedite saltano fuori, spesso anche impeccabilmente rieditati, in aggiunta a costosissimi box o de luxe edition curati dagli stessi artisti se ancora in vita o da Fondazioni dedicate, presiedute da madri, vedove e sorelle inconsolabili e insaziabili: così tocca riscrivere le intere discografie di Jimi Hendrix, di Frank Zappa, di Jeff Buckley (un solo disco in vita, decine dopo il misterioso annegamento del 1997), ma anche di King Crimson, Who, per non parlare di Beatles e Rolling Stones... Anche in Italia modestamente ci stiamo dando da fare, per adesso con Gaber e De Andrè, prossimamente con... bè, lascio immaginare o sperare a voi chi. Ma tutto questo migliora la conoscenza dell'opera di un musicista? O serve soltanto a sfamare il nostro bisogno di trovare conferme, a elaborare il lutto per i parenti più stretti o a rimpinguare le casse di avidi discografici? Difficile discernere tutte queste componenti, spesso simultaneamente presenti in parti più o meno uguali. Per i sempre più tartassati collezionisti (o per i semplici fedeli di un culto laico quale quello di "Faber" ad esempio), non resta che aggirarsi tra gli scaffali dei negozi dei dischi come in un cimitero vivente, alla scoperta di nuove lapidi che possano colmare il nostro desiderio d'infinito: "But in this ever changing world in which we live in, Makes you give in and cry, Say live and let die, Live and let die".

lunedì 21 febbraio 2011

Douce France, cher pays de mon enfance


Dopo il successo della manifestazione del 13 febbraio, da più parti si è auspicata una reiterazione delle iniziative atte a favorire le dimissioni del nostro (?) Primo Ministro. C'è chi ha parlato di riempire le piazze tutte le domeniche, chi ha proposto di preparare un'edizione indimenticabile dell'8 marzo. La maggioranza invece, dopo la giornata "In mutande ma vivi" organizzata da Giuliano Ferrara con grande consenso di pubblico (pagato), ha deciso di contrattaccare in maniera decisa con un evento programmato per il 10 marzo alle ore 21 al Teatro degli Arcimboldi. La discrezione con cui è presentato, sia sul sito del teatro milanese, sia sugli sparuti manifesti affissi sui muri in città, così come la falsa prevendita in atto (tra i 20 e i 45 euro), non inganna l'attento osservatore: non ci troviamo di fronte ad un semplice spettacolo al quale chiunque potrà intervenire. Il prossimo concerto di Mariano Apicella sarà, infatti, lo snodo politico della Seconda Repubblica (o Terza, decidete voi in quale ci troviamo). I meno avveduti potranno credere che quella sera il cantautore napoletano (figlio d'arte di papà Tonino, fan nientepopodimenoche di Peppino Gagliardi e che ha addirittura iniziato la carriera in un ristorante di Abu Dhabi: tutte notizie tratte dalle sue note biografiche) presenterà semplicemente le sue canzoni: quelle dei primi tre album nati dalla collaborazione con Silvio (nel 2003 "Meglio 'na canzone", nel 2006 "L'ultimo amore" e "Napoli nel cuore") e quelle del disco nuovo già annunciato per l'autunno scorso e di cui non si è saputo più nulla ("il disco ha un titolo provvisorio: «Con l'amore si può»; «Se tu non fossi tu» sarà il pezzo di punta della compilation, sarà venduto anche come singolo e con il presidente Berlusconi stiamo pensando anche ad un video"; virgolettato tratto da un articolo apparso su il Giornale in data 29 agosto 2010). Certo, nell'imponente Scala-bis disegnata dalla matita di Vittorio Gregotti, capace di contenere quasi 2.400 persone, risuoneranno le rime di tutti gli immortali successi cofirmati dal duo; ma quando si spegnerà l'eco degli ultimi versi, un improvviso cambio di luci illuminerà il Cavaliere seduto in prima fila, circondato dai suoi più cari amici (Lele, Giuliano, Vittorio, Emilio, per parlare solo degli uomini). Quasi ritroso Silvio ascenderà al palco per un discorso che risveglierà le coscienze della nazione in vista delle imminenti elezioni (o del colpo di Stato, decidete voi). Trionfo finale e, a gran richiesta del pubblico acclamante, ancora una canzone, accompagnato da Mariano e la sua chitarra: "Pigalle", la stessa con cui il nostro Premier si mantenne alla Sorbonna in anni non sospetti. "C'est le grand marché d'amour, C'est le coin où déambulent, Ceux qui prennent la nuit pour le jour... Girls et mann'quins, Gitan's aux yeux malins, Qui lisent dans les mains, Pigalle, Clochards, cam'lots, Tenanciers de bistrots, Trafiquants de coco, Pigalle". Proprio vero, un uomo che si è fatto da solo e che, fin da giovane, sapeva dove sarebbe andato a finire. Bravò Monsieur le President!

lunedì 14 febbraio 2011

... del bel paese là dove 'l sì suona


Non ci sono né Gaber (“io non mi sento italiano, ma per fortuna o purtroppo lo sono”), né Fabri Fibra ("voglio andare in Inghilterra, in Inghilterra sei al verde avrai un sussidio, in Italia sei al verde io non t’invidio”), ma nemmeno “Azzurro” e “Volare” che pure ben avrebbero rappresentato un’Italia che ancora credeva nei sogni. Stiamo parlando del Festival di Sanremo e della serata di giovedì 17 febbraio, Nata per unire,

dedicata ai 150 anni dell'Unità (dove avrebbero dovuto esserci l'inno partigiano “Bella Ciao” e quello fascista “Giovinezza”; ma, come ha affermato candidamente Gianni Morandi, “per non scontentare abbiamo deciso di toglierle tutte e due”). Quattordici canzoni, interpretate dai big in gara, scelte con criteri dettati dal più classico cerchiobottismo all’italiana, quasi un Manuale Cencelli della canzonetta, che ha ovviamente tagliato fuori una buona metà del paese (quella che davvero ascolta musica e che non guarda Sanremo). Vediamo le scelte e cerchiamo di comprenderne i reconditi motivi: si parte, in ordine cronologico (non sappiamo quello di presentazione al pubblico) dal 1842 con il “Va' pensiero” di verdiana memoria, che se pur cantato dagli Ebrei prigionieri in Babilonia è ormai l’inno ufficiale dell’Italia leghista (intona Al Bano, unico tenore leggero disponibile). Sempre a meta del XIX secolo si colloca “Addio,mia bella, addio”, inno patriottico per eccellenza (già remixato all’epoca da imboscati e disertori che cambiavano la terza strofa in “Addio mia bella addio,
che l’armata se ne va e però non parto io, ché invece resto qua”), scelto sicuramente per compiacere il ministro della Difesa La Russa (interpreta Luca Barbarossa, da sempre vicino al PD, per rimarcare che anche la sinistra è vicina ai nostri soldati). Sempre a metà ottocento risale “Mamma mia dammi 100 lire” (Max Pezzali),
un canto di emigrazione nato probabilmente in Veneto, molto diffuso in tutta l'area padana, ancora un gentile omaggio al fido alleato leghista. Del 1898 è invece “'O sole mio” di cui c’è poco da dire: scelta per compiacere forse Alessandra Mussolini o forse la vecchia DC di Rotondi, certamente tutto l’elettorato meridionalista in genere (canta Anna Oxa, di salde origini albanesi, perché terroni ed extracomunitari li rispettiamo entrambi). Nel 1915 Aniello Califano e Enrico Cannio scrivono “'O surdato 'nnammurato”, tono allegro e spensierato per la triste descrizione della vita di un soldato al fronte durante la Prima guerra mondiale, che soffre per la lontananza dalla donna di cui è innamorato. Ancora La Russa, magari in visita alle truppe italiane in Afghanistan. (Stendiamo un velo più che pietoso sul fatto che la canterà Roberto Vecchioni). Arriviamo al ventennio con “Parlami d'amore Mariù” (La Crus: era proprio necessaria la reunion?), resa immortale dalla voce di Vittorio De Sica, che la interpretò nel film “Gli uomini, che mascalzoni” di Mario Camerini. Siamo in piena era dei telefoni bianchi (lo status symbol del periodo); non ancora intercettati però, e qui il pensiero vola ai mille problemi del nostro Primo ministro con tutte le Mariù dei nostri giorni. Ancora ventennio con Patty Pravo (da non credere eh?) e “Mille lire al mese”, probabilmente voluta da Tremonti (ma a Confindustria e Marchionne non dispiacerebe, con l’inevitabile adeguamento in euro). Con “Mamma”, cantata all’epoca da Beniamino Gigli (e qui dalla neo-mamma Anna Tatangelo: lacrime a non finire) arriviamo al 1940; per la venerazione verso l’illustre genitrice del nostro premier non sembrano esserci dubbi sui motivi della scelta. Improvvisamente si salta di altri vent’anni ed ecco “Il cielo in una stanza”, l’amore bohémien con la canzone forse più celebre di Gino Paoli, parolata da Mogol, che in prima serata a Sanremo promette una bella mitragliata di SIAE per i due autori (Giusy Ferreri, speriamo non si lamenti come suo solito). Sei anni dopo ed è “La notte dell'addio” forse un monito per Fini, forse un regalo all’euro-parlamentare PDL Iva Zanicchi per una canzone di cui tutto si può dire, ma non che abbia fatto la storia d’Italia musicale (a cura del redivivo Luca Madonia con Franco Battiato). Del 1971 è “Here's to you” scritta da Ennio Morricone per i titoli di coda del film di Giuliano Montaldo “Sacco e Vanzetti”, dove la cantava Joan Baez: vocazione pacifista e cattolica (Modà-Emma). Ancora un Mogol, annata 1972, quando, appena separato dalla moglie, incontra il nuovo amore e lo consacra con “Il mio canto libero”, evidente anelito divorzista (arriverà qualche anno dopo in Italia), ma che testimonia anche di una destra laica che certo non vuol tornare indietro ai tempi dell’oscurantismo clericale. Il monumento alla paraculaggine è inconfutabilmente Davide Van De Sfroos con Viva l'Italia”: il cantautore, in passato al centro di polemiche per il dialetto lumbard e la sua presunta vicinanza alla Lega, si confronta con De Gregori (e cosa può dire qui la sinistra?) e la canzone che accompagnò i congressi del PSI per tutto il quindicennio di gestione craxiana. Omaggio inevitabile al leader maximo (del quale anche lo stesso De Gregori ha nostalgia: "se ripenso a Craxi credo che intellettualmente sia molto superiore a tanti politici di oggi”). Infine il titolo che più di ogni altro non rappresenta l’Italia (che evidentemente non è stata ancora fatta), ma “L'italiano”, in particolare quello fatto da sé: sarà
Tricarico a urlare a squarciagola, probabilmente con tutto l’Ariston in coro, quelle che potrebbero essere le parole pronunciate da Silvio Berlusconi di fronte ai giudici (se mai un giorno ci si troverà davanti): “Lasciatemi cantare
con la chitarra in mano,
lasciatemi cantare
una canzone piano piano.
Lasciatemi cantare,
perché ne sono fiero:
sono un italiano, un italiano vero”. Un’arringa difensiva al quale nessuno potrà resistere. E via, tutti in coro, per l’inno di Mameli finale. Il resto ovviamente è noia. No, non ho detto gioia.

lunedì 7 febbraio 2011

Sono solo canzonette


La consueta classifica annuale dei frequentatori del negozio e dei lettori del sito di Disco club ha visto trionfare l’inutile disco degli Arcade fire seguito da Beach House, National e Roky Erickson. A niente sono valse le richieste, più che motivate, di introdurre classifiche specifiche per generi, che avrebbero permesso visibilità a dischi meritevoli, ma che non dispongono dell’appeal ‘mediatico’, di un consenso generalizzato o trasversale necessario a entrare tra i piani alti della lista. Niente da fare, l’istanza è stata rintuzzata senza pietà, in ossequio a quel pensiero unico che da sempre pervade la comunità di cui sopra: unico il pensiero, unica la classifica. Niente a che vedere con gli Stati Uniti, il paese dove tutto è possibile, dove domenica 13 febbraio alle 20 (ora di Los Angeles) avrà inizio la cerimonia di premiazione dei Grammy Awards 2011, quelli che tutti per brevità chiamano gli Oscar della musica. Qui le categorie sono centonove (109), tra cui si segnalano una per le migliori note di copertina, una per i migliori box, una addirittura per il “Best New Age Album”, un genere di cui nessuno serbava ricordo e rimpianto (a una profonda analisi però, le categorie si riducono a centootto - 108 - perché nel 2010 il “Best Regional Mexican Album” non sarà attribuito per mancanza di concorrenti. Pazienza). Senza fare previsioni (chi è davvero in grado di sapere cosa pensano gli americani di musica, cinema e politica estera?) scorriamo alcune categorie: nel disco dell’anno troviamo sempre gli Arcade fire, presenti anche nel “Best Alternative Music Album” (ecco la cinquina completa: Band Of Horses, The Black Keys, Broken Bells, Vampire Weekend), oltre a un quartetto impresentabile composto da Eminem, Lady Gaga, Kate Perry e Lady Antebellum (due uomini e una donna, fanno country e ciò vi basti). Nel jazz la situazione non migliora: i candidati in lizza sono The Stanley Clarke Band, Joey DeFrancesco, Jeff Lorber Fusion, John McLaughlin, Trombone Shorty (vengono da New Orleans, ma sembrano i Raydio di Ray Parker jr.; se non sapete chi è, non indagate). Anche qui bisogna spulciare tra le tante righe per trovare “Historicity” di Vijay Iyer (il mio disco dell’anno) o Keith Jarrett (ma per il solo di “Body and soul” e non per l’intero “Jasmine”). Insomma la situazione è plumbea un po’ ovunque e anche l’estrema specializzazione non garantisce un livello qualitativo nella varietà proposta, a dimostrazione che il pensiero unico finisce per essere davvero un pensiero totalizzante. Non resta che fare da sé, ascoltando in giro e scegliendo quello che più ci aggrada, senza lasciarsi andare alla solita litania che non si sa dove ascoltare la buona musica: in rete tra YouTube, MySpace e le radio specialistiche (per gli amanti del jazz segnatevi questa per esempio: http://www.jazzradio.com/) c’è solo l’imbarazzo della scelta. Se poi sceglierete gli Arcade fire (che magari vinceranno anche un Grammy), peggio per voi; ma in fondo sono solo canzonette.

lunedì 31 gennaio 2011

L’importante è finire


Pur leggendo scrupolosamente il faldone delle intercettazioni e delle deposizioni, le dichiarazioni e le smentite, gli editoriali e gli articoli di fondo, i dibattiti televisivi e i tg, alla fine il dubbio resta: ma nelle serate di Arcore, quale colonna sonora faceva da sottofondo allo sfrenato Bunga Bunga del Basso Impero berlusconiano? Girellando sul web, ascoltando la radio, occhieggiando le tv, in molti si sono cimentati, con prevedibile successo in cover con il testo leggermente modificato, che ironizzano su quanto accadeva nelle feste stile “Eyes wide shut de noartri”. Nessuno ha però sollevato la decisiva questione di cui sopra; ce ne facciamo carico noi, con una serie di ipotesi che ci guideranno man mano verso l’accertamento della verità. Innanzitutto partiamo dalla domanda basilare: si ascoltava musica durante quelle serate? Certamente sì: siamo a conoscenza del passato di crooner da crociera del premier e sappiamo anche del suo sodalizio artistico con Michele Apicella, foriero di brani memorabili quali “Se tu non fossi tu”, “Ma se ti perdo”, “Quann 'o core”, “Stay with me”, “Tempo Di Rumba”; ma non crediamo fossero questi, a parte forse l’ultimo, i titoli proposti nel corso di quelle notti bollenti. Partiamo dall’altro dato sicuro in nostro possesso: l’età dei partecipanti di sesso maschile è piuttosto alta, il loro vissuto e il loro immaginario (ammesso che ne abbiano uno) è certamente quello degli anni ‘60. Il Resident DJ di Arcore è uomo navigato, che ben conosce le abitudini e i desideri dei suoi ospiti (le ragazze molto probabilmente sull’argomento - come su molti altri - non hanno voce in capitolo). Quando ancora nel salone si aggirano solo camerieri e maggiordomi, forse arrischia qualcosa di Otis Redding o Marvin Gaye; ma quando cominciano ad arrivare gli invitati si passa ad una ‘lounge music’ di sottofondo, ottima per le chiacchiere di riscaldamento su prezzi e prestazioni. All’entrata dell’ospite parte l’inno di Forza Italia (sempre meglio ribadire, in tempi incerti come questi, in cui il voto potrebbe arrivare da un momento all’altro) accolto da applausi, che sfumano lentamente; si passa ad una programmazione prevalentemente italiana, il Peppino Di Capri di “Roberta”, Fred Bongusto, il Califano di “Tutto il resto è noia”. L’atmosfera si scalda: arriva un microfono per il Cavaliere, che parte con un suo cavallo di battaglia, “Ne me quitte pas” (e chi ha orecchie per intendere intenda). Qualcuno si alza dai tavoli, facendo ampi gesti verso il dj, invocando la “Lambada”, buona per lo struscio d’approccio; qualcun’altro si sposta sopra i tavoli per “Twist and shout” (sempre in versione Di Capri), poi è la volta di “Disco Samba” dei Los Joao, per un trenino sudato e alticcio che porta dritti dritti nelle camere da letto. Il personale comincia a sgombrare le macerie, nel salone non c’è quasi più nessuno, è il momento dei lenti, la voce di Mina regna sovrana: “Adesso arriva lui, apre piano la porta, poi si butta sul letto…e poi e poi e poi e poi, spegne adagio la luce, la sua bocca sul collo, ha il respiro un po' caldo, ho deciso lo mollo, ma non so se poi farlo, o lasciarlo soffrire, l'importante è... finire”.

Se qualcuno desidera la compilation musicale delle serate nella villa di Arcore può richiederla alla mia mail; gli sarà inviato il link segreto per il download, ovviamente illegale. E che qualche giudice si provi a indagarci!

lunedì 24 gennaio 2011

I pericoli del web


Il mio blog ha due lettori fissi, la mia amica Marina, che vive a Boston e ha nostalgia di questo rottame di paese e Marco Cannibal kid, che non sono sicuro di aver capito chi sia. Dalla maggior parte dei miei lettori (sempre che la maggior parte non siano questi due, ma vogliamo essere fiduciosi) raramente arrivano riscontri o commenti, se non talvolta a voce quando li incontro da qualche parte; ma va bene, perché anch'io farei così. Però, in 75 numeri di questa sconclusionata rubrica, credo di aver dato un'idea della musica e del mondo che mi parrebbe e mi piacerebbe. Invece, dopo l'ultimo scritto dedicato alla scomparsa della recensione dalle pagine della rivista XL (rivelatasi temporanea, ma ne parleremo in occasione dell'uscita di febbraio dell’inserto di Repubblica), trovo addirittura due commenti: uno di Marco, ironico, l'altro di un anonimo che mi scrive: "Ciao, vorrei segnalarvi che Matteo Macchioni, un tenore che ha partecipato nel 2010 ad ‘Amici’ ha appena fatto uscire il suo singolo ‘Trasparente’, scritto da Pacifico. Potete ascoltarlo qui: www.youtube.com/watch?v=_g42QLsOVNM&N”. Sorvolando sull’immotivata mancanza di firma, non mi perdo d’animo e vado su YouTube pensando che la parola ‘tenore’ e la parola ‘Amici’ non devono condizionarmi. E poi Pacifico ha scritto anche belle canzoni; ma soprattutto, vista la rarità di commenti, non voglio credere che l’anonimo che ne ha lasciato uno (il 50% del totale), sia arrivato sul mio sito per puro caso, senza degnare di uno sguardo uno dei miei post, le recensioni che sono lì in bella vista di lato o gli elenchi dei dischi preferiti dell’anno e di ogni settimana. Il video parte: Gerry Scotti (ahia!) lo presenta mentre le telecamere inquadrano i genitori piangenti di una bambina che ha appena cantato. Macchioni siede al pianoforte, sembra appena uscito da un parrucchiere che ha esagerato col whisky, completo grigio con cravatta e camicia in tinta, inizia la sua esibizione: “Distratta sei, bellissima, guardami se puoi, arrendersi, cadere giù, io ci sarò per te”; qui arriva un accenno tenorile, parte l’orchestra con profluvio di violini (scopriremo che sono opera di Vincent Mendoza) e il brano si trascina per tre minuti e ventiquattro secondi senza alcun motivo plausibile. Improvvisamente comprendo i rischi e i pericoli che si nascondono nei meandri della ‘rete’; riguardo il mio blog con i due solitari commenti e decido di lanciare un appello: Anonimo, perché l’hai fatto?

giovedì 20 gennaio 2011

DISCHI ACQUISTATI PIU' O MENO LEGALMENTE O ASCOLTATI PIU' O MENO SBADATAMENTE TRA IL 7 E IL 20-1

Tor Lundvall Ghost Years
Amos Lee Mission Bell
Roky Erickson with Okkervil River True Love Cast Out All Evil
Scott Colley Empire
Janelle Monae he ArchAndroid
Vasco Rossi Ma cosa vuoi che sia una canzone
Colin Vallon, Patrice Moret, Samuel Rohrer Rruga
Gang Of Four Content

lunedì 17 gennaio 2011

XL: la musica è finita


L’edicolante me lo porge insieme a Repubblica; per una volta accetto l’inserto volentieri, anche se in copertina l’ovale di David Bowie post Ziggy Stardust (sguardo patetico e, forse all’epoca, ambiguo) non invita certo alla lettura. Si tratta del numero di gennaio di XL, il mensile ‘giovane’ del gruppo Editoriale L’Espresso s.p.a., un colosso che comprende quotidiani, settimanali, radio (Capital, DeeJav) e anche un accenno di TV, nel poco etere rimasto disponibile. Lo sfoglio distrattamente scorrendo la posta dei lettori, le ultime da New York, Londra e Berlino (la città cool del momento), gli editoriali delle firme di pregio: Bruce Sterling, Carlo Lucarelli, Niccolò Ammaniti, Mika, Carmen Consoli, il Trio Medusa. Poi parte la sezione Volume, che contiene classifiche, film, fumetti, libri, videogame e in ultimo Glam, la parte del giornale dedicata al fashion. Fine. A parte il profluvio di termini anglo-sassoni e la mancanza della basilare rubrica dello psicologo, sembra tutto normale. Almeno all’apparenza. Qualcosa non torna però. Lo risfoglio tutto, partendo dal fondo. Scopro la rubrica dei motori, che mi era sfuggita, ma non è certo lei che allevia un disagio cui non so dare risposta. Mi soffermo sulla recensione del bellissimo libro dedicato alle copertine black anni ’70 (Funk & Soul covers, Taschen, 29,99 euro: consigliatissimo) e vengo fulminato da un’illuminazione: in XL ci sono i protagonisti (rigorosamente divisi per pubblico: Bowie dedicato ai suoi coetanei sessantaquattrenni, i Grunge years per i trentacinque-quarantenni, i White Lies e i Quintorigo con Juliette Lewis per i ragazzi di oggi), ci sono le canzoni, i video, la playlist (sempre curiosa, di Emiliano Corretti), le copertine, le foto, ma mancano i dischi. Lo riguardo dall’inizio, ancora una volta: leggo ancora qualche articolo, ma non trovo traccia dello ‘scuro’ oggetto desiderio: il disco e non nel senso del vinile, figuriamoci, è scomparso o, per essere più precisi, è svanita nel nulla la recensione. Da sempre erano quelle venti/trenta righe a rappresentare il vero fulcro attorno al quale ruotava la rivista musicale, fosse Ciao 2001, Gong o Muzak, il luogo dove si consumavano misfatti, si collezionavano topiche, si scoprivano talenti, le prime pagine ad essere febbrilmente sfogliate per scovare il disco che avrebbe cambiato la nostra vita. Ora tutto questo non c’è più. Certo, in molte altre riviste la recensione continua a imperare, anzi le pagine dedicate si sono addirittura moltiplicate; ma se l’inserto musicale del principale quotidiano italiano decide di rinunciare alla recensione del disco/cd vuol dire che omai la musica si è definitivamente smaterializzata, ritornando in fondo alla sua dimensione originaria. Riprendo XL in mano; in una delle prime pagine, vicino al colofon, dove stanno i nomi di quelli che la rivista la fanno (ciao Flavio), c’è la pubblicazione delle sentenze della Procura di Roma contro Mansour Sambon, Modou Sow, Ndiaye Mamadou, Sow Thierno. Arrivati tutti dal Senegal, sono stati giudicati e condannati per aver venduto cd falsi: è l’unica traccia rimasta del nostro amato oggetto; per le recensioni invece, rivolgersi altrove.

venerdì 14 gennaio 2011

DISCHI ACQUISTATI PIU' O MENO LEGALMENTE O ASCOLTATI PIU' O MENO SBADATAMENTE TRA IL 7 E IL 14-1

The Ramones Brain Drain
Pearl jam Live On Ten Legs
Greg Allman Low country blues
Thurston Moore Suicide Notes For Acoustic Guitar
Maria Taylor Lady Luck
Asa Beautiful Imperfection
Jan Bang And Poppies From Kandahar
Punkt Crime Scenes
Who Who’s next (deluxe edition)
Original soundtrack I’m not here

martedì 11 gennaio 2011

Io e te (dove non si parla di Gianna Nannini e la figlia Penelope Jane, ma del suo nuovo disco)


Arrivo in ritardo, un dirigente della Sony sta già parlando, ovviamente con toni entusiasti, del disco che tra poco ascolteremo in anteprima, frutto di un periodo di 'straordinaria creatività' di Gianna. Applausi e urla dal secondo settore del Teatro Elfo/Puccini di Milano che ospita l'evento, quello in cui sono sono stipati i fan della community. Il primo è riservato ai media, anche se si mormora che alcune interviste siano date ad personam nel backstage e tra gli eletti si fa il nome di Signorini. Alle 11.10 si spengono le luci, quelle del secondo settore, il primo resterà illuminato per permettere ai giornalisti di scrivere. O di essere beccati se parlottano o si addormentano. Sul maxi-schermo una maxi-fotografia della Nannini, giubbotto di pelle, jeans con l'elastico, maglietta sollevata a mostrar la pancia che fu (ma la maternità non è argomento di conversazione ci diranno più tardi, la signora Nannini "è stata attaccata per aver strumentalizzato il suo lavoro a fini promozionali": un lapsus interessante, se si considera che il singolo ha l'ecografia di Penelope Nannini in copertina, mentre l'album porta la foto di cui sopra). Parte il primo brano e con lui i disegni, sulla foto, opera di Michelangelo Pistoletto, tanti ovali con due cerchi adagiati e un puntino al centro. Una linea lega tutti puntini e transita per l'ombelico della Nannini; ma sbagliate a pensare che c'entri la sua maternità. Il disco lo ascoltiamo per intero, mentre sull'immagine immobile continuano a gironzolare gli ovuloni di Pistoletto: undici brani che parlano tutti inderogabilmente d'amore, con frasi che sembrano uscite dritte dritte dai miei diari di terza media. Arrangiamenti monotoni del mago Will Malone che dà il meglio di sè nella cover di "Volare", resa con un zum-pa-pa di fondo e chitarre rock. Alle dodici in punto la musica finisce, si riaccendono le luci e arriva lei, intabbarata in un mantello che ruota teatralmente, getta per terra, rimanendo in smoking e camicia bianca. Entra una poltrona e partono le domande dei soliti giornalisti, poco più noiose e prevedibili delle canzoni. E le risposte non sono da meno, nonostante il cipiglio ribelle della Gianna che arriva a dire che "non bisogna pensare a destra e sinistra, se no non si viene a capo di niente". Salvo aggiungere che lei è comunque a favore delle differenze. In mezz'ora è tutto finito con un'ultima notazione sulla prossima tournée: inizierà da Milano a fine aprile e sarà preceduta da un evento privatissimo con il battesimo di Penelope da parte di alcuni padrini e madrine vip i cui nomi sono, per ovvi motivi, segretissimi. Ma non crediate che questo c'entri con la maternità della Nannini. Arrivano le rose dei fan con tanto di biglietto letto senza troppa convinzione, poi lentamente il teatro si svuota verso il buffet dove lei non ci sarà. Forse è l'ora della pappa: ma questo non c'entra con la presentazione del disco.

lunedì 10 gennaio 2011

Scrivere in musica: Sunset park



Benché uno dei protagonisti sia il batterista dei Mob Rule, un “roco, dissonante, improvvisato” gruppo (alla Lounge Lizard) che raccoglie in media due o tre date al mese, non c'è molta musica nell'ultimo, meraviglioso libro di Paul Auster, “Sunset Park”. Il romanzo ha inizio a Miami, in Florida, dove Miles Heller si è autoesiliato per un drammatico evento della sua infanzia, ma presto l'azione si sposta a New York, nell'amata Brooklyn di Auster (e Lou Reed tanto per fare un nome), intorno ad una casa occupata abusivamente nei pressi del cimitero di Green Wood. Ma quello che importa qui non sono le vicende dei protagonisti, che per le più disparate congiunture e circostanze si trovano intrecciate tra loro, quanto il fatto che il romanzo sia strutturato (o almeno, a noi piace pensarlo) come una grande suite jazz, divisa in quattro parti, per un gruppo di sette elementi. Il leader è sicuramente Miles (‘nomen omen’) Heller, che introduce la vicenda (il tema) per le prime cinquanta pagine. Poi tocca al batterista, Bing Nathan, che nel secondo capitolo, dopo un assolo di presentazione, duetta a turno con gli altri strumenti, Alice Bergstrom, Ellen Bruce e con lo stesso Heller. Nella terza parte è la volta di Morris Heller, il padre di Miles (Dewey Redman con il figlio Joshua? O Ellis Marsalis con Wynton?) fino alla lunga chiusura finale della parte conclusiva in cui a turno gli interpreti, con la novità della madre di Miles, Mary-Lee Swann, riprendono il tema per svolgerlo e portarlo a compimento. Trattandosi di Auster, l’idea melodica di fondo è quella di molti altri suoi libri: il caso come impareggiabile e decisivo artefice dei nostri destini (un suo romanzo del 1990 si intitola non a caso “The Music of Chance”), un avvenimento fortuito che cambia completamente la direzione di una vita, coinvolgendone e a sua volta modificandone altre. Come accade a volte nel jazz, dove l’improvvisazione durante un assolo può condurre il musicista (e di conseguenza tutto il gruppo) verso rotte inedite e inaspettate. Trovate voi il disco con il quale accompagnarvi nella lettura di questo libro; oppure sceglietelo a caso, potrebbe rivelarsi la soluzione migliore.

venerdì 7 gennaio 2011

Why Did We Have To Part


Il nuovo brano di Marianne Faithfull lo trovate qui in download gratuito e legale: http://www.megaupload.com/?d=0ZICMPNO

mercoledì 5 gennaio 2011

DISCHI ACQUISTATI PIU' O MENO LEGALMENTE O ASCOLTATI PIU' O MENO SBADATAMENTE TRA IL 30-12 E IL 7-1

Daft Punk Tron legacy
Stefano Bollani Falando de amor
Stefano Bollani I'm in the mood for love
Gotan project Tango 3.0
Marc Almond Varieté
Tindersticks Live In London 2010
Michel Portal Bailador
Marianne Faithfull Why Did We Have To Part
Moby iTunes Live from Montreal
Anika Anika
Brian Eno Small Craft on a Milk Sea
Jimi Tenor and Tony Allen Inpiration information

lunedì 3 gennaio 2011

Due o tre cose per il 2011


La vera questione è: ci rende uomini migliori sapere che Tommy Bolin diventa il chitarrista dei Deep Purple alla dipartita di Richie Blackmore nel 1975? E che proprio Bolin è l'autore di un fantasmagorico assolo in un disco di Billy Cobham? Quel Cobham che nel 1969 partecipa alle sessioni di un capolavoro di Miles Davis, giusto vent’anni dopo che questi aveva firmato alcune meraviglie del bop insieme a Charlie Parker? La risposta è certamente no, la conoscenza musicale non ci rende migliori (e anche provando a cambiare la materia in esame - dalla musica passate alla letteratura, alla pittura, all’architettura, al cinema, al web 2.0 - la situazione non cambia). D’altra parte pensate a quante persone spregevoli conoscete con un enorme bagaglio di nozioni musicali (o letterarie o artistiche o …) e non si potrà che condividere questa riflessione. Ampliando il concetto agli stessi artisti, il quadro globale non cambia: magari Cobham (che ho solo sfiorato ad un mediocre concerto al cinema Universale di Genova negli anni ’80 e di cui non conosco la vita privata: questo è solo un esempio), è un potente e talentuoso virtuoso della batteria, ma ha la brutta abitudine di picchiare le donne (e con quelle braccia…!). Oppure Tommy Bolin ha sempre omesso nella sua dichiarazione dei redditi i proventi derivati dalle sue sessioni con i Deep Purple. (Per evitare grane legali, mi limito a esempi, assolutamente arbitrari e privi di fondamento, fuori dall’Italia, ma è facile immaginare come traslare al Bel Paese quanto detto fino ad ora). La prima questione ci conduce ad una seconda domanda: ma perché lo Stato, quindi la comunità, vale a dire noi, dovrebbe finanziare la cultura nei suoi più disparati aspetti? Perché, direbbero in molti, pur non rendendoci migliori, rende la nostra vita migliore. Certo, non quella di tutti e non allo stesso modo. Probabilmente un concerto di Richie Blackmore sponsorizzato dal Comune di Genova lascerebbe buona parte della popolazione indifferente, contribuendo alla gioia di un ristretto numero di persone (tra cui l’organizzatore del concerto che ovviamente gestirebbe l’evento come un fatto privato, pensando al suo rendiconto). Allo stesso modo però “L’elisir d’amore” di Donizetti al Carlo Felice o una mostra come “Mediterraneo
da Courbet a Monet a Matisse” a Palazzo Ducale potrebbero passare senza lasciar traccia su centinaia di migliaia di persone (ma, forse, con il plauso di albergatori e ristoratori che avrebbero qualche turista in più). Allora la domanda diventa: chi decide cosa finanziare e perché? In attesa della risposta, riascoltatevi i Deep Purple di "Come taste the band" con Tommy Bolin alla chitarra in una fiammante deluxe edition; oppure “Spectrum” di Billy Cobham, seguito immediatamente da “Bitches brew” di Miles Davis, magari nella monumentale versione che vi sarete fatti regalare per Natale. Non sarete uomini migliori, ma la vostra vita vi sembrerà migliore… (continua)

mercoledì 29 dicembre 2010

DISCHI ACQUISTATI PIU' O MENO LEGALMENTE O ASCOLTATI PIU' O MENO SBADATAMENTE TRA IL 22 E IL 29 -12

Gorillaz The fall
AA. VV. Viaggi interstellari a bordo di limoni volanti
The Smiths Unreleased Demos & Instrumentals
Maxence Cyrin Novo piano
Medeski Martin & Wood The Stone-Issue Four
Kanye West My Beautiful Dark Twisted Fantasy [Dirty]
Flora Purim Encounter
Enrico Rava Ran Blake Duo en noir
Suzanne Vega Close-Up, Vol 1, Love Songs
The Black Keys Brothers
Lionel Loueke Mwaliko
Danilo Rea Piano Works X- A Tribute To Fabrizio De André At Schloss Elmau
Gil Scott-Heron I’m new here (deluxe edition)
Gonjasufi A Sufi And A Kil
ler

lunedì 27 dicembre 2010

I migliori album 2010 per me


VIJAY IYER, Solo
GIL SCOTT HERON - I'm New Here
NEIL YOUNG - Le Noise
PAUL MOTIAN, Lost In A Dream
YOUN SUN NAH, Same Girl
MYCALE, The Book Of Angels Volume 13
ISOBEL CAMPBELL & MARK LANEGAN, Hawk
LYDIA LUNCH, Big Sexy Noise
ANTONY AND THE JOHNSON, Swanlights
GOTAN PROJECT, Tango 3.0



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domenica 26 dicembre 2010

Racconto di Natale

Un Natale di molti, molti anni fa. Qualche giorno prima della fatidica data, mio padre mi porta in un enorme negozio di giocattoli, forse addirittura un grossista, dalle parti del quartiere di San Fruttuoso, vicino alla mia prima scuola elementare. Ho qualche vago ricordo degli scaffali stracolmi di giochi, di papà che mi guida, a sua volta intimorito, tra centinaia di possibili regali. Non ricordo bene il momento della scelta, ma ricordo perfettamente la pianola regolarmente impacchettata sotto l’albero, l’attesa della mattina del 25 e poi la delusione: la tastiera, probabilmente una Bontempi agognata su qualche pagina di Topolino, non funzionava. Due giorni dopo eravamo di ritorno nel negozio, ma le tastiere nel frattempo erano finite: impossibile aspettare e così optammo per un calcio-balilla, che per un bambino di sette anni, benché figlio unico, aveva il suo innegabile fascino. Questa storia, sepolta per molti anni in quel che resta della mia memoria, è riapparsa quando mi sono deciso a rispondere alla domanda che mi sono sentito spesso rivolgere in questi anni. “Ma non suoni nessuno strumento?”. Fino ad allora la mia replica standard, un secco e asciutto no, a volte seguito dalla ripetizione della domanda, ma in prima persona e senza la congiunzione avversativa, non prevedeva infatti alcun tipo di spiegazione. Poi con il tempo ho provato a cercare, almeno con me stesso, un plausibile motivo: mi rendo perfettamente conto che far ricadere la mia incapacità, su quel lontano e sventurato acquisto è una soluzione di comodo, indegna di una persona ormai adulta e con una collezione di migliaia di dischi. Ma riconoscerete il fascino notevolmente maggiore di ammettere che, forse, semplicemente non m’interessava suonare; e soprattutto la possibilità di non confessare di non avere probabilmente alcun talento.





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mercoledì 22 dicembre 2010

DISCHI ACQUISTATI PIU' O MENO LEGALMENTE O ASCOLTATI PIU' O MENO SBADATAMENTE TRA IL 15 E IL 21-12

Vijay Iyer & Rudresh Mahanthappa Raw materials
Jimmy Smith Respect/Livin' It Up
DJ Shadow Endtroducing… de luxe edition
Elliott Murphy Elliott Murphy
Alicia Keys The element of freedom (Japanese edition)
The Decemberists The King Is Dead
Lelio Luttazzi I successi
Deep Purple Come Taste the Band (35th Anniversary Remastered)
Paolo Conte Tournée 2
Nick Drake Pink moon
Clyde McPhatter and the Drifters White christmas
Bob Dylan Christmas in the heart
Aimee Mann One more drifter in the snow

lunedì 20 dicembre 2010

I have a dream


Sono solo tre anni, era il 14 ottobre 2007, ma sembra passato un secolo: alla Fiera di Rho, alle porte di Milano, il presidente del Consiglio Romano Prodi, al termine del discorso tenuto durante l'assemblea costituente del Partito Democratico invitava il sindaco di Roma a salire sul palco per l'investitura a segretario. Walter Veltroni, visibilmente commosso, era accompagnato dalle note di 'Mi fido di te' di Lorenzo Cherubini in arte Jovanotti ("cosa sei disposto a perdere, eh mi fido di te, mi fido di te, cosa sei disposto a perdere": non lo sapevamo, ma eravamo disposti a perdere tutto). Passavano solo diciassette giorni e sul sito www.veltronipresidente.it già si affacciava, sotto le sembianze di un semplice post redazionale, un atroce dubbio: "se, come crediamo, nelle parole cantate ci si può identificare col cervello e con il cuore, 'La storia siamo noi' di Francesco De Gregori potrebbe diventare l'inno del nuovo Partito Democratico". L'intervento continuava citando il testo ("nessuno si senta escluso") terminando con un afflato poetico che potrebbe far attribuire l'intervento allo stesso leader maximo: "La storia è nostra come la politica ci appartiene, ma l'inesplicabile superficialità dei nostri tempi ci fa continuare a vivere nell'indifferenza, sorretti dalla speranza, anzi dall'illusione, che le cose non ci tocchino mai veramente da vicino". Tuttavia, trattandosi di un partito e per di più democratico, il 13 novembre, probabilmente dopo un dilaniante dibattimento, si affacciava dalle pagine del sito la proposta di un popolare, libero ed egalitario sondaggio: "Quale inno per il Partito democratico? Quale canzone sceglieresti come inno del Partito Democratico?" (Due volte per la nota rigidità del lettore di sinistra post-comunista). Seguiva lista motivata: 'E la pioggia che va' dei Rokes (scelta da Edmondo Berselli), 'E se domani' interpretata da Paolo Fresu (scelta da Walter Veltroni), 'Il mio nome è mai più' di Jovanotti, Ligabue e Piero Pelù (inno pacifista), 'Imagine' dei Beatles (si commenta da sola) [anche il fatto che i Beatles non l'abbiano mai incisa; n.d.r.], 'La Storia siamo noi' di Francesco De Gregori (scelta dallo staff di VeltroniPresidente), 'Mi fido di te' di Jovanotti (colonna sonora della proclamazione di Veltroni come segretario del PD), 'Pensa' di Fabrizio Moro (inno all'impegno civile), 'Si può fare' di Angelo Branduardi (slogan campagna elettorale Pd 2008). A scanso di equivoci specifichiamo che i testi tra parentesi rotonda sono dell'anonimo estensore dell'avvincente sondaggio. bobby soloAd oggi i votanti sul sito risultano essere sette (7): in testa a pari merito con due voti il brano portato al successo da Mina, nella versione strumentale del jazzista Paolo Fresu (forse per evitare l'imbarazzo della prima strofa: "E se domani, e sottolineo se"); le rodate 'Mi fido di te' e 'La Storia siamo noi', seguite a un'incollatura da 'Si può fare'. Non è dato sapere quale inno accompagnò la trionfale campagna del Giovane Uolter dopo la sciagurata caduta del Governo Prodi II (in seguito al ritiro dell'appoggio dei Popolari-UDEUR di Clemente Mastella - cui era mancata la solidarietà politica e personale rispetto alla vicenda che lo vedeva indagato insieme alla moglie); le elezioni del 13 e 14 aprile 2008 vedranno il trionfo della coalizione di centro-destra con conseguente quarto governo Berlusconi. A Veltroni, dopo un'ennesima batosta alle Regionali sarde del 2009, succede Dario Franceschini che rimanendo in carica solo otto mesi non riesce a occuparsi del fondamentale problema dell'inno. Ma l'undici dicembre scorso, alla vigilia del voto di sfiducia che avrebbe dovuto mandare a casa il satrapo Silvio, il più operoso Bersani lancia una manifestazione che prevede una lettura di articoli della Carta costituzionale e tanta musica: due bande musicali, una dalla Basilicata, una dal Piemonte e un pullman-discoteca modello Gay Pride. Poi la multietnica Med Free Orkestra, Roy Paci, Nina Zilli, Simone Cristicchi. Infine posto d'onore al rapper Neffa che ha composto "Cambierà", la colonna sonora scelta dal segretario per chiudere le assemblee democratiche: "Anna non essere triste, presto il sole sorgerà ...non sarà così sempre perché tutto cambierà, sai che cambierà, tutto cambierà, vedrai che cambierà, vedrai che cambierà ". Non ce ne voglia il grande Tenco, ma l'omaggio non porta fortuna: il 14 dicembre sappiamo tutti com'è andata. Ad oggi, sul sito del PD, non si è ancora aperto un dibattito sul fallimento dell'inno prescelto: per i prossimi mesi proponiamo modestamente e sommessamente il vecchio, ma pur sempre valido Bobby Solo con la sua 'Non c'è più niente da fare': "Non c'è più niente da fare, e' stato bello sognare, la vita ci ha regalato, dei lunghi giorni felici, qualcosa che il tempo non cambierà mai". Grazie PD.

lunedì 13 dicembre 2010

DISCHI ACQUISTATI PIU' O MENO LEGALMENTE E ASCOLTATI PIU' O MENO SBADATAMENTE TRA IL 4 E IL 14-12

Sun Ra The Heliocentric Worlds of Sun Ra Box Set
Antonio Sanchez Live in New York at Jazz Standard
Peter Gabriel Birdy
R.Kelly Love Letter
Bill Kirchen Word To The Wise
Eumir Deodato The Crossing
Michael Jackson Michael
Geri Allen Flying towards the sound
The Jazz Passengers Reunited
Anika Anika
Orchestre National De Jazz Daniel Yvinec Shut up and dance
Marty Ehrlich Fables
Solomon Burke Like a fire
Syd Barrett The madcap laughs
John Zorn Interzone
John Zorn What Thou Wilt
M.I.A. - Maya

Michele, musica da intenditori


Avevo circa dodici anni, primi anni '70 dunque, e un giorno sì e uno no, a volte da solo, a volte con qualche amico, mi recavo con l'autobus in via Pre. Senza alcun timore - allora la strada era un susseguirsi di pescherie, macellerie, salumerie, intervallate da banchetti che vendevano sigarette di contrabbando, accendini e forse anche altro - mi dirigevo verso un paio di banchetti che mostravano la loro merce proprio sopra il vecchio mercatino, adagiati su una balconata che in tempi remoti affacciava sul mare il Palazzo Reale. Oltre ad una serie di grandissimi orologi dorati, faceva bella mostra di sé, un lunghissimo allineamento di musicassette. A quell'epoca non avevo ancora un giradischi e comunque i prezzi dei vinili non erano alla portata della mia magra tasca, provvista solo di una paghetta settimanale e di qualche regalo extra, da dividere peraltro con le squadre del Subbuteo (carissime anche loro) e i fumetti. Così non restava che ripiegare sulle cassette, per di più false. Allora pensavo che fossero false perché registrate da quelle vere e poi messe in vendita a prezzo calmierato; a volte era così, altre invece, erano gruppi misteriosi (adesso si chiamerebbero pomposamente cover-band), di cui si trovava il nome in piccolo da qualche parte, che rieseguivano impeccabilmente le versioni originali. Tanto per fare un esempio, per un paio di anni ho adorato l'assolo di George Harrison di "All my loving", salvo scoprire che a rifarlo nota per nota era un oscuro strumentista di un gruppo olandese di cui avevo comprato addirittura due cassette (che purtroppo non ho conservato). Ho ripensato a questo episodio quando ho letto del nuovo disco di Michael Jackson, intitolato banalmente, ma forse ironicamente "Michael", la cui veridicità è stata messa in discussione dai suoi stessi familiari: infatti i parenti, furiosi, affermano che quello che canta su alcuni dei brani in realtà non sarebbe Michael appunto, ma un bravo imitatore. Ascoltando il disco si resta un po' perplessi, ma visti i miei precedenti non sono certo la persona più indicata per decidere se la voce sia autentica o contraffatta; di certo i dieci brani avrebbero meritato una tranquilla sepoltura, ma si parla di un affare da oltre 140 milioni di euro e questo spiegherebbe qualche forzatura. Però qualche anno fa, in via Pre, avrebbero avuto la decenza di scrivere in piccolo qualcosa del tipo "canta Michele il figlio di Giacomo".

DISCHI ACQUISTATI PIU' O MENO LEGALMENTE E ASCOLTATI PIU' O MENO SBADATAMENTE TRA IL 26-11 E IL 3-12

Black Dub - Black Dub. Elis Regina - Elis. Maria Raducanu - Ziori. Mingus big band - Live at Jazz standard. Ronald isley - Mr I. SF Jazz collective - Live. Soft Machine - 4. Soft Machine - Same. Soft Machine - Volume 2. Tammi Terrell - Come and see me. Vanessa de Mata - Sim. Wison Pickett - Box con i primi cinque album Atlantic. Youn Sun Nah - Same girl. Zucchero - Chocabeck.

lunedì 6 dicembre 2010


Si continua a parlare di tagli alla cultura; prima della prima della Scala, il 7 dicembre, è prevista una nuova manifestazione contro il ministro Bondi: nonostante Pompei stia cadendo letteralmente a pezzi, nonostante il film "Goodbye Mama", quello girato dall'amica bulgara di Silvio Berlusconi - Michelle Bonev - per il quale il fido ministro si è inventato un premio-patacca al festival di Venezia (fiancheggiato da Vincenzo Mollica che in un servizio al TG1 ha definito l’opera “interessante”) sia costato all’Italia tra produzione e presenza in laguna un milione e quattrocentomila euro, nonostante l’assunzione del figlio della sua attuale compagna al Centro Sperimentale di Cinematografia senza alcun titolo (toh, il C.S.C. è finanziato dal Fondo Unico per lo Spettacolo, proprio quello che il nostro continua a tagliare imperterrito), l’ex Sindaco comunista di Fivizzano resta imperturbabile al suo posto, soprattutto, grazie alla sua migliore qualità, la mancanza di vergogna (una caratteristica ricercatissima per far parte dell’attuale Governo). Si continua a parlare di tagli alla cultura, ma sono pochissime le voci che si alzano in difesa della musica: venerdì 3 dicembre ha provato a farlo Maurizio Pollini dalle pagine di “Repubblica”, in particolare sottolineando come la televisione “abbia abbandonato quasi completamente l’interesse per ogni manifestazione musicale”. Attendiamo con ansia la partenza del palinsesto di Rai 5 (che intanto trasmetterà in diretta proprio il debutto scaligero con “Die Walküre” di Richard Wagner) per qualche auspicabile cambiamento; intanto non possiamo che concordare con l’insigne maestro, che ha appena eseguito a Roma il primo libro del “Clavicembalo ben temperato di Bach”, quando auspica un rinnovamento complessivo della nozione di stato sociale, in cui rientri anche una ridefinizione totale del concetto di finanziamento pubblico alla cultura. Sarebbe ora che anche attività musicali come il jazz e il rock rientrassero in questi finanziamenti, magari non con sovvenzioni a pioggia nelle mani dei soliti noti, ma con una politica mirata alla divulgazione e alla conoscenza, una programmazione (anche di scambio) con realtà straniere che potrebbe contribuire a far conoscere i nostri musicisti all’estero, proponendo al contempo artisti che da noi, per svariati motivi, difficilmente riescono a programmare vere e proprie tournée, ma soltanto saltuarie apparizioni. Fantascienza direte voi? Lo pensa anche Pollini se, riferendosi allo stato sociale in generale, gli sembra che “la sinistra non sia sorretta da un pensiero sufficiente a una realizzazione tanto complessa”. E come dargli torto!

Un Amore Supremo

In occasione dell'uscita in edicola di A Love Supreme, primo titolo della collezione I Capolavori del Jazz in Vinile, sono andato a ria...