domenica 27 dicembre 2009

Diz 'n' Bird


A pagina 318 della monumentale autobiografia di Dizzy GiIlespie – “To be or not to bop” – appena ripubblicata da minimum fax, uno dei più grandi trombettisti della storia del jazz ricorda che alla fine del 1945 si esibiva al Billy’s Berg a Los Angeles con un quintetto formato da Ray Brown, Al Haig, Stan Lewey e Charlie Parker. Poiché il proprietario gli faceva spesso notare l’assenza del sassofonista, Dizzy aggiunse Milt Jackson per presentarsi, come da contratto, sempre con cinque musicisti: ”Era il mio gruppo, il Dizzy Gillespie quintet, e Charlie Parker non era che un esponente di spicco”. Senza voler nulla togliere ad un genio un po’ troppo dimenticato (due dischi per rimediare: “Shaw ‘nuff”, registrazioni 1945-1946 ristampate da Musicraft e “Max + Dizzy In Paris 1989”, dove Max sta per Roach), molti, in quel dicembre californiano, accorrevano proprio per ascoltare Bird, colui che stava rivoluzionando il mondo del jazz. Tra i presenti, forse il più assiduo, era un musicista, figlio di un emigrante di Torre del Lago, Dino Alipio “Dean” Benedetti, arrivato in California con i “Barons of Rhythm”, il suo gruppo nel quale spiccava il trombonista Jimmy Knepper. Dean, una vaga rassomiglianza con Clark Gable, aveva scoperto Parker su un 78 giri, “Blue ‘n’ boogie” inciso il 28 febbraio 1945; da quel giorno iniziò un’ossessione che lo portò a seguirne i concerti, incidendo solamente gli assoli per risparmiare spazio, con un registratore portatile su vinile. 
Sono una vera e propria summa dell’arte parkeriana (spesso però al limite dell’udibilità) e, come avverte il sito della Mosaic che ne annuncia nuovamente la dal 2010, “this collection is not for dilettantes”. Per iniziare meglio “The Complete Dial Sessions”; e per la commovente storia di Dean Benedetti, morto a Torre del Lago il 20 giugno del 1957, al termine di una serie di fallimenti, minato dalla miastenia gravis, una terribile malattia che distrugge irreparabilmente i tessuti muscolari, leggete il commovente romanzo di Vittorio Giacopini “Il ladro di suoni” edito da Fandango. Un ottimo modo per iniziare il 2010.

lunedì 21 dicembre 2009


Le ultime parole di Nando dalla Chiesa (non abbiamo sbagliato a scrivere il ‘dalla’ minuscolo, si firma così anche sul suo blog, noblesse oblige) in veste di coordinatore alla promozione della città di Genova (dal tipo d'incarico s’intuisce che sarà un lutto difficile da elaborare) sono state in occasione della presentazione dell’offerta spettacolare per la notte del 31 dicembre. Tralasciando i grandi “eventi d’impatto visivo”, a scorrere i nomi dei gruppi musicali vengono i brividi: Marching Band Los Brutos, Marco Fusi and Ensemble, definito nel comunicato “figura emergente del jazz nostrano, non esente da contaminazioni balcaniche e arabe”, i Bit Nik con cover anni '60, '70, i Fratelli di Taglia, i Cartavetro e i Vicious. Tutta roba da far impallidire Umberto Smaila e la compagnia del Billionaire. Per gli amanti del rock niente paura: il sito ufficiale del Comune/Urban Lab comunica che sarà presente “direttamente da X-Factor 2008 il gruppo Valtellinese The Bastard Sons of Dionisio“ (peccato che i ragazzi siano della Valsugana e che il nome sia stato scelto in omaggio al dio Dioniso senza la i). No comment. Resta da capire come e perché ad un certo punto della nostra vita, improvvisamente, il Capodanno sia diventato ‘cosa pubblica’ e non più privata. Un tempo ci si organizzava con mesi d’anticipo oppure all’ultimo minuto, si riponevano speranze, puntualmente disattese, in feste danzanti, cenoni e veglioni, che terminavano all’alba in un bar a far colazione, circondati da facce assonnate e commenti senza tentennamenti: “il prossimo anno parto e torno quando tutto è finito”. Esattamente come avviene oggi; ma, allora, senza l’intervento di Comune, Camera di Commercio, Civ integrato, Parrocchia, Centro Sociale. Come se alla privatizzazione di quanto dovrebbe restare pubblico (sanità e scuola tanto per fare un esempio), si contrapponga una ‘pubblicazione’ di quanto dovrebbe essere invece privato, come il divertimento appunto. Sarà perché così è molto più facile esercitare il controllo?

mercoledì 16 dicembre 2009

Christmas in music


Vi sarete accorti che, anche quest’anno, sta arrivando Natale; poiché non è possibile sfuggire, cercate di trarne il massimo profitto segnalando ai vostri affetti più cari una lista di regali che vi farebbe molto piacere ricevere. Stiamo parlando di dischi ovviamente, per tutte le tasche e di tutte le taglie (nelle richieste considerate sempre che il regalo è proporzionale all’affetto che meritate). Sgomberiamo subito il campo da tutti quelli con la parola Christmas nel titolo; l’unico che valga la spesa è “Christmas In The Heart” dell’ineffabile Zinneman Bob in arte Dylan, una sorprendente raccolta ‘retro’ (cosa c’è di più nostalgico del Natale?) beffarda e rispettosa come solo a lui poteva riuscire. Tra i titoli che potrebbero esservi sfuggiti nel corso dell’anno, recuperate l’imperdibile “Around Robert Wyatt” dell’Orchestre Nationale du Jazz, omaggio alla musica del primo batterista dei Soft Machine; e se non avete preclusioni, ascoltate il blues – soul – garage di Don Cavalli, un parigino che con il suo primo disco, “Cryland”, ha rivitalizzato il genere come non succedeva da anni. Per doni più impegnativi, in ordine crescente, i tre cd del “Complete Commodore/Decca Masters” di Billie Holiday (solo 24,90 euro), i quattordici del “Complete Prestige” di Miles Davis (38 euro) e, sempre del più grande trombettista del dopoguerra, il monumentale “Complete Columbia Collection”, 70 cd (sì, settanta), un dvd, un libretto di 250 pagine con biografia, discografia e rare foto (sui 220 euro, che in fin dei conti non è nemmeno così tanto). Infine per gli amanti del buon vecchio e insuperato vinile, il box set di Tom Waits “Orphans” (antologia di inediti pubblicata in tre cd nel 2006): 7 lp da 180 grammi, libretto a prova di miopia e sei canzoni extra (125 euro; probabilmente non lo ascolterete mai, ma scartocciarlo e assaporarne il profumo non ha prezzo). E se qualcuno fra loro vi troverà da dire, rispondete con le parole di Midge Ure e Bob Geldof: “Hanno una minima idea del fatto che sia Natale?”

domenica 6 dicembre 2009

Il limite dei '60


Forse tutto ha avuto inizio con l’enorme successo di “2060 – American Graffiati” di Ivan Cattaneo, raccolta di canzoni anni ’60, in forma vagamente dada, pubblicata nel 1981 (a sua discolpa va detto che dopo altri due dischi di cover, il nostro, amareggiato e deluso per essere diventato solo un interprete di vecchi successi, si dedicò alla pittura). Il titolo, riferimento al film di George Lucas di qualche anno prima, ci riconduce al luogo d’origine dell’epidemia, gli States, dove però gli anticorpi punk, tipici di un organismo sano, reagirono egregiamente. In Italia invece, forse in virtù di una certa inclinazione revisionista, la diffusione della cosiddetta ‘sindrome del revival’ non si è mai estinta. Il virus, mutato geneticamente anche grazie a personaggi come Red Ronnie e Fabio Fazio, opera a 360 gradi, colpisce cinema, teatro, letteratura e ovviamente televisione, sviluppando un insano attaccamento al passato, anche prossimo, che trasforma la realtà in un incubo pervaso da un Blob appiccicaticcio, dolciastro e vagamente nostalgico. Negli ultimi anni il ‘fluido mortale’ ha prevalentemente dispiegato i suoi effetti sulla già malandata musica italiana: nel solo 2009 abbiamo avuto le “Musiche ribelli” di Luca Carboni, l’imbarazzante “Italian Songbook” di Morgan, il divertente “Combo” di Giuliano Palma, le “Fotografie” di Giusy Ferreri e il nuovo Francesco Renga, “Orchestra e voce” (di gran lunga il più interessante). Ma se torniamo indietro, troviamo anche la spocchiosa trilogia dei “Fleurs” di Franco Battiato, l’impacciato “Quelli degli altri tutti qui” di Claudio Baglioni, la riscrittura della “Beat ReGeneration” dei Pooh. L’elenco potrebbe continuare quasi all’infinito, comprendendo anche decine di dischi di jazz italiano che rimaneggiano faticosamente un successo di Mina o Battisti nella speranza di vendere qualche copia in più. Ma per un paese che naviga gioioso verso il suo iceberg, quale miglior colonna sonora di quella offerta dalla nostra musica italiana all’orchestra del Titanic?

Un Amore Supremo

In occasione dell'uscita in edicola di A Love Supreme, primo titolo della collezione I Capolavori del Jazz in Vinile, sono andato a ria...