mercoledì 28 aprile 2010


Rubando il titolo al primo film di Silvio Soldini, “Un’anima divisa in due”, Arcana finalmente pubblica (l’edizione originale, “Divided soul” è del 1985) la biografia di Marvin Gaye scritta da David Ritz, giornalista e suo confidente dal 1979 al 1983, quando dissapori per questioni di meriti e di soldi misero fine all’amicizia (nel 1987 Ritz ha vinto la causa per essere accreditato come co-autore di “Sexual healing”). Il libro ripercorre tutta la vita e la carriera di uno dei più grandi artisti del ‘900, una storia segnata dal drammatico rapporto con il padre (che lo ucciderà il primo aprile 1984; il giorno dopo avrebbe compiuto 45 anni) e da una serie infinita di successi. Il libro è costruito su una serie di interviste a personaggi famosi e sconosciuti. Come Maxine Powell, colei che Diana Ross nel 1977 da un palco di Broadway presentò come “la donna che mi ha insegnato tutto quello che so”; era una sorta di direttrice della scuola di perfezionamento della Motown oltre che la tour manager delle Supremes. Amaramente ricorda: ”Facevo loro da accompagnatrice, lustrando e lucidando le scarpe, rammentando addirittura i vestiti. In cambio di tutto ciò, mi restano anni di ricordi e nient’altro”. Basterebbe questo a sfatare il mito della Motown come la compagnia irreprensibile di cui parlava allora il “New York Times magazine” in un articolo intitolato “Il grande cuore pulsante e felice di Detroit”. In realtà Berry Gordy, fondatore della Tamla (nonché cognato di Gaye) era una sorta di padre-padrone che aveva pochi riguardi per i suoi artisti e per i suoi collaboratori e approfittò del momento storico favorevole ai diritti civili ignorandone (anche musicalmente) l’evoluzione, almeno fino ai tardi Sessanta (non stupisce la sua freddezza di fronte al progetto che sarebbe diventato “What’s Going On”, uno dei dischi fondamentali della storia del rock, un concept album sul Vietnam, le tensioni razziali e le prime istanze ecologiste). E il tipico sound dell’etichetta? Costruito ad hoc per le radio a transistor e le autoradio che all’epoca stavano invadendo il mercato. Ma perché stupirsi se uno dei primi successi della Motown nel 1959 cantato da Barrett Strong (e scritto da Gordy) si intitolava “Money (That's What I Want)”. Più chiaro di così! (E buon Primo Maggio a tutti).

martedì 20 aprile 2010

Anni di piombo


Benedetta Tobagi ha tre anni quando suo padre Walter, giornalista del Corriere della Sera, viene assassinato il 28 maggio 1980 da una sedicente Brigata XXVIII marzo, un gruppuscolo che con questa azione vuole ‘accreditarsi’ presso le più ‘importanti’ Brigate Rosse. Non lo ha praticamente conosciuto, se non attraverso i ricordi di chi lo ha incontrato – amici, colleghi, politici – i suoi scritti, i diari, gli atti processuali; una dolorosa ricerca diventata un libro – “Come ti batte forte il mio cuore. Storia di mio padre” edito da Einaudi – bello e necessario, se si vuole capire qualcosa dell’Italia di ieri e anche di oggi (come quando si ricordano gli anni dell’occupazione del Corriere da parte della P2 con l’untuosa intervista di Maurizio Costanzo – ovviamente tesserato della loggia – al venerabile Licio Gelli). Pagine che rievocano un’Italia che appare lontana, grigia come i documentari dell’epoca e di quel piombo che segnò gli anni ’70, un periodo (iniziato alla fine dei ’60 e scivolato oltre gli ’80), di cui si fatica a immaginare una colonna sonora. Eppure furono anni che traboccavano musica: il progressive (P.F.M, Banco, Orme…), i cantautori (Guccini, Bennato, De Gregori…), il jazz-rock (Area, Perigeo…), la riscoperta della musica popolare (il Nuovo Canzoniere Italiano, la Nuova Compagnia di Canto Popolare, il Canzoniere del Lazio…), il free - jazz italiano; anni in cui nacquero le prime radio libere, ricchi di festival e di riviste (Gong, Muzak, Re Nudo, Pop records…) sulle cui pagine si dibatteva il ruolo, la funzione, gli imperativi della musica del tempo. Ma ripensando, ricordando o scoprendo quegli anni italiani, sembra di sentire solo l’assordante fragore del silenzio. Nessuna canzone o nessun genere musicale sembra in grado di riportarci indietro a quel momento storico, come, tanto per intenderci, riesce a fare il rock’n’roll con l’America degli anni ’50 o il punk con l’Inghilterra pre-Tatcher. Che poi anche per questa prima parte del terzo millennio, si fatichi a trovare una ‘musica’, bè, questo è tutto un altro discorso.

lunedì 12 aprile 2010

Musica maestro



Il liceo musicale e coreutico, qualunque cosa voglia dire, introdotto dal regolamento Gelmini, ha fatto il pieno d’iscritti. Un vero e proprio boom ("Boum", avrebbe cantato Charles Trenet): nelle trenta sezioni previste in tutta Italia, il numero delle domande ha raggiunto il doppio dei posti disponibili, tanto da richiedere a fine maggio una prova selettiva che promuoverà soltanto chi dimostrerà di avere basi di cultura musicale ("Chiedi chi erano i Beatles"?). Nella stessa settimana Red Canzian (il bassista dei Pooh) ha lanciato la Fondazione Q: "Non è un talent show. Niente tv. Noi faremo gli album.
L'unica caratteristica per superare la selezione è l'eccellenza. Il talento vero. Quello non si insegna". Il programma, di basso profilo, ribadito nella home page del sito, è quello di trovare i nuovi Beatles; non si capisce se per partecipare si debba pagare oppure no; ma queste son bazzeccole, quisquilie, pinzellacchere, avrebbe detto Totò (che in un “Totò all’inferno”, il contrabbasso lo faceva letteralmente esplodere alla fine di un concerto in una cave esistenzialista). Di sicuro si paga al Centro Europeo di Toscolano, la scuola fondata da Mogol nel 1992 per formare interpreti, autori, compositori, arrangiatori tecnici del suono, “la prima che coinvolge l’interezza della persona: mente, anima e corpo”. (Ma mi faccia il piacere!). Per gli altri restano i desueti Conservatori e ovviamente “X factor” e “Amici”, sui quali Red ha parole durissime, inevitabilmente condivisibili: “Lì usano la musica per fare tv, lanciano artisti che per essere scelti devono avere caratteristiche adatte a passare attraverso il piccolo schermo. E se oggi arrivasse Dalla non lo prenderebbero mai. Come non passerebbe le selezioni neanche De Gregori". Vero, ma per Dalla non sarebbe stata una grande perdita e comunque ai ragazzi dei talent-show (e di quelli che si iscriveranno al liceo?) di essere musicisti non frega niente: a loro interessa diventare famosi. Chissà, forse hanno nelle orecchie quella vecchia sigla di Canzonissima ’70: “Ma che musica, che musica, che musica maestro. Hai trovato la via giusta per la celebrità!

lunedì 5 aprile 2010


Il nuovo cd di Franco Zaio (bizzarro “ircocervo”, animale mitologico, metà musicista, metà libraio), è totalmente autoprodotto e autodistribuito sul suo blog; sono cover di storici brani dei Clash per voce e chitarra: più che un disco vero e proprio, come il precedente “Last blues”, dedicato alle poesie di Pavese, “Know your Clash” è un documento, una traccia sonora di vita, resa possibile (o più facile) dall’era digitale in cui annaspiamo. Ma così come oggi non siamo in grado di riascoltare i rulli di cartone sui quali Scott Joplin incise i primi assoli di pianoforte, tra non molto non saremo nemmeno capaci di riprodurre il 45 giri che Elvis Presley fece a sue spese a Memphis, in tempi più recenti. Per le bobine sulle quali registravamo la voce della nonna, per riascoltarla tra lo stupore generale, è già troppo tardi; e anche per le musicassette siamo ormai agli sgoccioli. Tutto questo è accaduto nello spazio di un solo secolo; cosa accadrà fra trenta o quarant’anni? Quanto di quello che stiamo ansiosamente accumulando in ’tera-disk’, sarà riascoltabile dalle prossime generazioni? (Per approfondimenti vedi il bel libro di Maurizio Ferraris, “Documentalità”). Dopo aver passato la vita a iper-documentare le nostre passioni musicali, vere o presunte, ai nostri figli o nipoti (ammesso che siano minimamente interessati) forse non rimarrà niente, nemmeno una nota. È pur vero che in questo momento l’industria discografica si mantiene in vita proprio grazie alle ristampe (Hendrix dev’essere arrivato alla trentacinquesima rimasterizzazione!); ma chi decide cosa ripubblicare/salvare nei nuovi formati e perché? Due sono i soggetti deputati a scegliere: il mercato, nefasto o forse solo concreto e le Fondazioni, istituzioni che tramandano l’eredità di un’artista, anche a costo di travisarla e mummificarla. In Italia le più attive sono quella dedicata a Giorgio Gaber e a Fabrizio De Andrè: due artisti decisamente fuori dal coro, spesso costretti a rientrarvi proprio in occasione delle loro celebrazioni. Ma se la prima sembra impegnata a mantenere in vita lo spirito dell’artista milanese (e del suo alter-ego, ancora vivente, Sandro Luporini), la seconda (sia detto con il massimo rispetto) indugia in una rievocazione al limite dell’imbalsamazione. La mostra a lui dedicata (passata per Genova e Nuoro, attualmente all’Ara Pacis di Roma) era al limite; il libro pubblicato da Chiarelettere “Tourbook” il limite sembra decisamente oltrepassarlo (come sicuramente fa il racconto a fumetti di Berardi e Càlzia “Uomofaber”, al Museo Luzzati di Genova fino al 18 aprile). Ma forse siamo noi, che alla commemorazione preferiamo il soffio vitale della condivisione. Proprio come Franco Zaio.

Un Amore Supremo

In occasione dell'uscita in edicola di A Love Supreme, primo titolo della collezione I Capolavori del Jazz in Vinile, sono andato a ria...