lunedì 24 novembre 2014

La Musica del Natale

Manca ormai un mese al Santo Natale, santo soprattutto per le case discografiche che tentano in questo periodo di arginare l’endemica crisi che attanaglia il loro prodotto, sia esso in cd, vinile o liquido mp3. Ironicamente la stagnazione generale finisce per favorire proprio il ‘disco’, un modo economico e dignitoso per sfangare la mesta e doverosa litania del regalo natalizio. Fioccano le antologie, magari risuonate come nel caso di De Gregori (che detto per inciso avrebbe fatto meglio a lasciar stare le sue vecchie canzoni) o i dischi in edizione delac (de-luxe per chi non conosce il lessico del ‘Pluriespulso’), come quello di Mario Biondi che a un anno esatto dall’uscita di “Mario Christmas” (attenzione alla finezza: in inglese il nome del Biondi suona come “merry”) manda sugli scaffali “A Very Special Mario Christmas”, un cofanetto cd+dvd che raccoglie il vecchio album con l’aggiunta di tre nuovi brani e le immagini dell’emozionante concerto di Natale del “Sun Tour”. Insomma si riciccia quel poco che si ha (d’altronde le canzoni in tema quelle sono) e si spera che qualcosa succeda. E poiché non si butta via niente, fioccano anche i Concerti a tema: il primo ad essere annunciato, per ora, è quello che si terrà il 13 dicembre all’Auditorium Conciliazione a Roma. Presentati da Max Giusti (una sicurezza) sul palco si alterneranno GRANDI ARTISTI (maiuscolo nel comunicato) italiani e internazionali: in rigoroso ordine alfabetico Alessandra Amoroso, Renzo Arbore, Chiara, Dolcenera, Alice Mondìa, Mariella Nava, Daniele Ronda, Sugarpie & The Candymen, Suor Cristina e per i più piccini, dal mondo dei cartoni animati Le Winx. La créme de la créme della musica italiana, in particolar modo Le Winx che probabilmente si annunciano come il momento più interessante della serata. Inevitabile il coro gospel e quello di voci bianche e ciliegina sulla torta la “sacerdotessa del rock” (trattandosi di Natale meglio rimanere sull’ecclesiastico) Patti Smith, da sempre vicina alle istanze di rinnovamento portate avanti da nostro signore Gesù. Di cui si celebra la nascita, lo ricordiamo per i distratti.  Naturalmente il ricavato (esclusi i costi, è ovvio) finirà in beneficenza e per godere del tutto basterà accendere la tv la sera del 24 e gustarsi la registrazione di siffatto avvenimento epocale. Ancora un mese, tenete duro.


lunedì 17 novembre 2014

Aston Villa, Walter Benjamin e l’Atomium di Bruxelles


Sabato 15 novembre avrei dovuto presentare un incontro con Jonathan Coe nell’ambito della benemerita rassegna Genova Legge. Avrei, perché l’incontro non c’è stato a causa dell’ennesima alluvione che ha funestato la città. Ovviamente l’annullamento non è stato che un infinitesimo accadimento tra i mille e ben più gravi che sono avvenuti. Ma non nego che alla notizia ho provato una particolare delusione per l’occasione sfumata. Perché Coe è uno degli scrittori con cui condivido le principali passioni, la musica e il cinema. I suoi libri ne sono intrisi: spesso i suoi protagonisti fanno i critici cinematografici o musicali (il Doug Anderton di “La Banda dei Brocchi” che capita ad uno dei primi concerti dei Clash a Fulham nel ’76 o Terry di “La Casa del Sonno” che passa la sua vita a cercare la prova dell’esistenza di un film neorealista di Salvatore Ortese); e la musica può servire da introduzione (come accade con “Questa notte mi ha aperto gli occhi” in cui ogni capitolo è preceduto da una citazione di una canzone degli Smiths); e il cinema da asse portante di tutta la narrazione (“La Famiglia Winshaw” gira tutta intorno a una scena di “Sette Allegri cadaveri”). Insomma mi ero immaginato un incontro con un amico se non addirittura con un fratello separato alla nascita (accade in “La Casa del Sonno”) con il quale parlare di Hitchcock (indubbiamente uno dei suoi amori come dimostra l’esergo di “Expo 58“) o degli High Llamas, uno dei gruppi preferiti da Coe, tanto che un articolo scritto in occasione di un’antologia del 2003 – “Retrospective, Rarities and Instrumentals” - è stato poi incluso nel booklet del cd. Soprattutto, durante la cena prevista al termine dell’incontro, avrei tirato fuori dal mio sacchettino verde (di Disco Club, c’erano dubbi?) “Different Every Time Vol. 1 Ex Machina” (o il “Vol. 2 Benign Dictatorships”?) di Robert Wyatt, appena acquistati in vinile; e gli avrei chiesto di dedicarmelo. Sì, perché Jonathan Coe ha firmato l’introduzione a una biografia autorizzata su Robert Wyatt, appena pubblicata in Inghilterra (“Different Every Time“, si chiama come le due antologie, disponibile su Amazon anche in versione Kindle) e in un’intervista che avevo trovato per prepararmi avevo letto una limpida dichiarazione dei suoi gusti musicali: “Sono un ascoltatore eccentrico. So chi sono i più bravi, per esempio Bob Dylan o Beethoven, ma io preferisco la seconda divisione. Per questo amo Debussy, Ravel e per il rock, Robert Wyatt“. Insomma, io adoro questo scrittore e spero prima o poi di riuscire ad incontrarlo; gli do un consiglio intanto, cerca di arrivare a Genova prima che la pioggia cada.
ps il titolo dell’articolo, apparentemente bislacco, è ispirato ai temi di tre domande che avrei voluto fargli. Le tengo per la prossima volta Jonathan.


lunedì 10 novembre 2014

Ascoltare


All’epoca dei miei tredici anni avevo un amico che strimpellava il pianoforte e si dilettava con Bach; ogni tanto andavamo a casa sua per ascoltare la Toccata e Fuga in Re minore che ci sembrava un miracolo di bellezza. Poi finivamo regolarmente a sentire qualcosa col mangianastri, così si chiamava allora (anche perché ogni tanto il meccanismo di rotazione il nastro se lo mangiava davvero, aggrovigliandolo a volte senza rimedio). Un giorno arrivò non so da dove una cassetta di Bruno Lauzi; in copertina c’era la Lanterna e un disegno della nostra città. Il disco si chiamava Genova per Noi, c’era la canzone di Paolo Conte, brani in dialetto (tra cui “O’ Frigideiro” e “Ma se ghe penso”) e “Vicoli”, un toccante ricordo del centro storico. Insomma era un disco, già all’epoca, intriso di nostalgia per un mondo che non c’era più (come la spiaggia della Foce rievocata in un altro titolo). Ignoravo che s’inserisse in qualche modo nella rinascita del folk del periodo e per anni non l’ho più né rivisto né riascoltato; fino all’altro giorno quando girellando su eBay mi è capitato sotto gli occhi e non ho resistito. 
Ho fatto un’offerta e mi sono aggiudicato (senza molti rivali a esser sinceri) la copia promo con etichetta bianca della Numero 1. Il disco è sempre bello e cospargendo di melassa la nostalgia che già lo contraddistingue (a dimostrazione, se mai ce ne fosse bisogno, che ogni tempo ha la sua nostalgia) mi ha fatto tornare in mente quei pomeriggi di ascolti casuali in casa con gli amici in cui ognuno metteva a disposizione quei pochi dischi che aveva. Per evitare di impiastricciarmi troppo coi ricordi (e consapevole che i giovani di oggi avranno i loro modi per socializzare e influenzarsi a vicenda sui gusti musicali), scopro (grazie a un’amica, ancora una volta le migliori scoperte vengono da loro) che la Bowers & Wilkins, un marchio storico dell’alta fedeltà soprattutto per quel che riguarda i diffusori, organizza il primo festival di musica riprodotta in Europa. In pratica nel prossimo week end si potrà andare all’Auditorium Parco della Musica, a Roma, e partecipare a sessioni di ascolto guidate da giornalisti ed esperti di musica e collezionismo. A confronto vinile, CD e musica e anche se vincerà inevitabilmente il vinile, il confronto si annuncia interessante. Al di là dello scopo commerciale dell’evento – provare a riportare in voga l’acquisto di un ‘qualcosa’ per ascoltare la musica che non siano le asfittiche cuffiette di un iPod o peggio l’altoparlantino di un cellulare – in pratica si tratta di ritrovarsi con gli amici per ascoltare i propri dischi preferiti. Sarò nostalgico, ma ci farei volentieri un salto, magari portando il mio vinile di Bruno Lauzi. Che tra l’altro suona benissimo…

lunedì 3 novembre 2014

Italians Do It Better

Due notizie apparentemente distanti tra loro hanno agitato il placido mondo della musica italiana: la prima è l’annuale e inesorabile proposta del Mei, il Meeting delle etichette indipendenti, di un vincolo che preveda una quota pari al 40% di musica italiana prodotta in Italia, all'interno dei programmi Radio e Tv. Ne avevamo parlato l’anno scorso (Disco Mix 187), in occasione della raccolta di firme sulla piattaforma Change.org (l’iniziativa, lanciata il 14 ottobre 2013, al 28 dicembre aveva già raggiunto la strabiliante cifra di 1000 firme): le obiezioni che sollevavamo ci sembrano ancora valide e ragionevoli, per cui non stiamo qui tediosamente a ripeterle. La novità di quest’anno è il sostegno nientemeno che di Roy Paci, uno che alla musica italiana ha dato tanto e, legittimamente, si adopera per restituire quello che ha avuto. La seconda notizia arriva in forma di appello da Mario Lavezzi che a margine della X Conferenza Internazionale della Comunicazione Sociale organizzata da Pubblicità Progresso a Milano (un appuntamento che dà un brivido solo a nominarlo) ha chiamato a raccolta i cantanti italiani: “Date una mano alla battaglia per la parità di genere”, una campagna che la Fondazione sta portando avanti per combattere gli stereotipi che impediscono ancora alle donne di raggiungere la parità con gli uomini. Già, ma come? Presto fatto: un concorso per una canzone sul tema riservato (chissà perché?) agli iscritti alla SIAE, ha visto la partecipazione di ben (!?!) 130 autori e la vittoria della canzone “Punto su di te”. Ma non basta, e allora prosegue il Lavezzi “chiediamo ora ai più famosi cantanti italiani di rendersi disponibili a partecipare alla realizzazione di un videoclip in cui due gruppi di maschi e femmine si rivolgano l’un l’altro cantando ‘Punto su di te’, la canzone vincente, sul tema della parità di genere; ancora, ci sentiamo di chiedere loro, conoscendone la sensibilità sociale, di voler partecipare ad un grande concerto per raccogliere fondi da destinare a borse di studio per ragazze meritevoli senza mezzi”. Nei nostri cuori brilla ancora il ricordo di MusicaItalia Per L'Etiopia la cui versione di Volare’  - era il 1985 – fece impallidire Stevie Wonder, Ray Charles e Michael Jackson che con Springsteen e qualche altro disperato avevano partecipato a ‘We Are The World’. Insomma i segnali ci sono, la musica italiana sta finalmente uscendo dal guado in cui si era impantanata e finalmente potrà riavere il posto che merita nei nostri cuori e soprattutto nella programmazione di radio e TV.
PS Le ‘femmine’, come le chiama Lavezzi, con il concerto ‘Amiche per L’Abruzzo’ a dire il vero nel 2009 qualcosa erano riuscite a fare e senza l’aiuto dei maschi.
PPS Il titolo di questo post non cita il video di ‘Papa Don’t Preach’ in cui Madonna indossa una maglietta con quella scritta, bensì l’ultimo singolo di Roy Paci che si esprime in inglese (o in spagnolo) pur rimanendo un musicista autenticamente italiano, sia ben chiaro!








Un Amore Supremo

In occasione dell'uscita in edicola di A Love Supreme, primo titolo della collezione I Capolavori del Jazz in Vinile, sono andato a ria...