lunedì 31 gennaio 2011

L’importante è finire


Pur leggendo scrupolosamente il faldone delle intercettazioni e delle deposizioni, le dichiarazioni e le smentite, gli editoriali e gli articoli di fondo, i dibattiti televisivi e i tg, alla fine il dubbio resta: ma nelle serate di Arcore, quale colonna sonora faceva da sottofondo allo sfrenato Bunga Bunga del Basso Impero berlusconiano? Girellando sul web, ascoltando la radio, occhieggiando le tv, in molti si sono cimentati, con prevedibile successo in cover con il testo leggermente modificato, che ironizzano su quanto accadeva nelle feste stile “Eyes wide shut de noartri”. Nessuno ha però sollevato la decisiva questione di cui sopra; ce ne facciamo carico noi, con una serie di ipotesi che ci guideranno man mano verso l’accertamento della verità. Innanzitutto partiamo dalla domanda basilare: si ascoltava musica durante quelle serate? Certamente sì: siamo a conoscenza del passato di crooner da crociera del premier e sappiamo anche del suo sodalizio artistico con Michele Apicella, foriero di brani memorabili quali “Se tu non fossi tu”, “Ma se ti perdo”, “Quann 'o core”, “Stay with me”, “Tempo Di Rumba”; ma non crediamo fossero questi, a parte forse l’ultimo, i titoli proposti nel corso di quelle notti bollenti. Partiamo dall’altro dato sicuro in nostro possesso: l’età dei partecipanti di sesso maschile è piuttosto alta, il loro vissuto e il loro immaginario (ammesso che ne abbiano uno) è certamente quello degli anni ‘60. Il Resident DJ di Arcore è uomo navigato, che ben conosce le abitudini e i desideri dei suoi ospiti (le ragazze molto probabilmente sull’argomento - come su molti altri - non hanno voce in capitolo). Quando ancora nel salone si aggirano solo camerieri e maggiordomi, forse arrischia qualcosa di Otis Redding o Marvin Gaye; ma quando cominciano ad arrivare gli invitati si passa ad una ‘lounge music’ di sottofondo, ottima per le chiacchiere di riscaldamento su prezzi e prestazioni. All’entrata dell’ospite parte l’inno di Forza Italia (sempre meglio ribadire, in tempi incerti come questi, in cui il voto potrebbe arrivare da un momento all’altro) accolto da applausi, che sfumano lentamente; si passa ad una programmazione prevalentemente italiana, il Peppino Di Capri di “Roberta”, Fred Bongusto, il Califano di “Tutto il resto è noia”. L’atmosfera si scalda: arriva un microfono per il Cavaliere, che parte con un suo cavallo di battaglia, “Ne me quitte pas” (e chi ha orecchie per intendere intenda). Qualcuno si alza dai tavoli, facendo ampi gesti verso il dj, invocando la “Lambada”, buona per lo struscio d’approccio; qualcun’altro si sposta sopra i tavoli per “Twist and shout” (sempre in versione Di Capri), poi è la volta di “Disco Samba” dei Los Joao, per un trenino sudato e alticcio che porta dritti dritti nelle camere da letto. Il personale comincia a sgombrare le macerie, nel salone non c’è quasi più nessuno, è il momento dei lenti, la voce di Mina regna sovrana: “Adesso arriva lui, apre piano la porta, poi si butta sul letto…e poi e poi e poi e poi, spegne adagio la luce, la sua bocca sul collo, ha il respiro un po' caldo, ho deciso lo mollo, ma non so se poi farlo, o lasciarlo soffrire, l'importante è... finire”.

Se qualcuno desidera la compilation musicale delle serate nella villa di Arcore può richiederla alla mia mail; gli sarà inviato il link segreto per il download, ovviamente illegale. E che qualche giudice si provi a indagarci!

lunedì 24 gennaio 2011

I pericoli del web


Il mio blog ha due lettori fissi, la mia amica Marina, che vive a Boston e ha nostalgia di questo rottame di paese e Marco Cannibal kid, che non sono sicuro di aver capito chi sia. Dalla maggior parte dei miei lettori (sempre che la maggior parte non siano questi due, ma vogliamo essere fiduciosi) raramente arrivano riscontri o commenti, se non talvolta a voce quando li incontro da qualche parte; ma va bene, perché anch'io farei così. Però, in 75 numeri di questa sconclusionata rubrica, credo di aver dato un'idea della musica e del mondo che mi parrebbe e mi piacerebbe. Invece, dopo l'ultimo scritto dedicato alla scomparsa della recensione dalle pagine della rivista XL (rivelatasi temporanea, ma ne parleremo in occasione dell'uscita di febbraio dell’inserto di Repubblica), trovo addirittura due commenti: uno di Marco, ironico, l'altro di un anonimo che mi scrive: "Ciao, vorrei segnalarvi che Matteo Macchioni, un tenore che ha partecipato nel 2010 ad ‘Amici’ ha appena fatto uscire il suo singolo ‘Trasparente’, scritto da Pacifico. Potete ascoltarlo qui: www.youtube.com/watch?v=_g42QLsOVNM&N”. Sorvolando sull’immotivata mancanza di firma, non mi perdo d’animo e vado su YouTube pensando che la parola ‘tenore’ e la parola ‘Amici’ non devono condizionarmi. E poi Pacifico ha scritto anche belle canzoni; ma soprattutto, vista la rarità di commenti, non voglio credere che l’anonimo che ne ha lasciato uno (il 50% del totale), sia arrivato sul mio sito per puro caso, senza degnare di uno sguardo uno dei miei post, le recensioni che sono lì in bella vista di lato o gli elenchi dei dischi preferiti dell’anno e di ogni settimana. Il video parte: Gerry Scotti (ahia!) lo presenta mentre le telecamere inquadrano i genitori piangenti di una bambina che ha appena cantato. Macchioni siede al pianoforte, sembra appena uscito da un parrucchiere che ha esagerato col whisky, completo grigio con cravatta e camicia in tinta, inizia la sua esibizione: “Distratta sei, bellissima, guardami se puoi, arrendersi, cadere giù, io ci sarò per te”; qui arriva un accenno tenorile, parte l’orchestra con profluvio di violini (scopriremo che sono opera di Vincent Mendoza) e il brano si trascina per tre minuti e ventiquattro secondi senza alcun motivo plausibile. Improvvisamente comprendo i rischi e i pericoli che si nascondono nei meandri della ‘rete’; riguardo il mio blog con i due solitari commenti e decido di lanciare un appello: Anonimo, perché l’hai fatto?

giovedì 20 gennaio 2011

DISCHI ACQUISTATI PIU' O MENO LEGALMENTE O ASCOLTATI PIU' O MENO SBADATAMENTE TRA IL 7 E IL 20-1

Tor Lundvall Ghost Years
Amos Lee Mission Bell
Roky Erickson with Okkervil River True Love Cast Out All Evil
Scott Colley Empire
Janelle Monae he ArchAndroid
Vasco Rossi Ma cosa vuoi che sia una canzone
Colin Vallon, Patrice Moret, Samuel Rohrer Rruga
Gang Of Four Content

lunedì 17 gennaio 2011

XL: la musica è finita


L’edicolante me lo porge insieme a Repubblica; per una volta accetto l’inserto volentieri, anche se in copertina l’ovale di David Bowie post Ziggy Stardust (sguardo patetico e, forse all’epoca, ambiguo) non invita certo alla lettura. Si tratta del numero di gennaio di XL, il mensile ‘giovane’ del gruppo Editoriale L’Espresso s.p.a., un colosso che comprende quotidiani, settimanali, radio (Capital, DeeJav) e anche un accenno di TV, nel poco etere rimasto disponibile. Lo sfoglio distrattamente scorrendo la posta dei lettori, le ultime da New York, Londra e Berlino (la città cool del momento), gli editoriali delle firme di pregio: Bruce Sterling, Carlo Lucarelli, Niccolò Ammaniti, Mika, Carmen Consoli, il Trio Medusa. Poi parte la sezione Volume, che contiene classifiche, film, fumetti, libri, videogame e in ultimo Glam, la parte del giornale dedicata al fashion. Fine. A parte il profluvio di termini anglo-sassoni e la mancanza della basilare rubrica dello psicologo, sembra tutto normale. Almeno all’apparenza. Qualcosa non torna però. Lo risfoglio tutto, partendo dal fondo. Scopro la rubrica dei motori, che mi era sfuggita, ma non è certo lei che allevia un disagio cui non so dare risposta. Mi soffermo sulla recensione del bellissimo libro dedicato alle copertine black anni ’70 (Funk & Soul covers, Taschen, 29,99 euro: consigliatissimo) e vengo fulminato da un’illuminazione: in XL ci sono i protagonisti (rigorosamente divisi per pubblico: Bowie dedicato ai suoi coetanei sessantaquattrenni, i Grunge years per i trentacinque-quarantenni, i White Lies e i Quintorigo con Juliette Lewis per i ragazzi di oggi), ci sono le canzoni, i video, la playlist (sempre curiosa, di Emiliano Corretti), le copertine, le foto, ma mancano i dischi. Lo riguardo dall’inizio, ancora una volta: leggo ancora qualche articolo, ma non trovo traccia dello ‘scuro’ oggetto desiderio: il disco e non nel senso del vinile, figuriamoci, è scomparso o, per essere più precisi, è svanita nel nulla la recensione. Da sempre erano quelle venti/trenta righe a rappresentare il vero fulcro attorno al quale ruotava la rivista musicale, fosse Ciao 2001, Gong o Muzak, il luogo dove si consumavano misfatti, si collezionavano topiche, si scoprivano talenti, le prime pagine ad essere febbrilmente sfogliate per scovare il disco che avrebbe cambiato la nostra vita. Ora tutto questo non c’è più. Certo, in molte altre riviste la recensione continua a imperare, anzi le pagine dedicate si sono addirittura moltiplicate; ma se l’inserto musicale del principale quotidiano italiano decide di rinunciare alla recensione del disco/cd vuol dire che omai la musica si è definitivamente smaterializzata, ritornando in fondo alla sua dimensione originaria. Riprendo XL in mano; in una delle prime pagine, vicino al colofon, dove stanno i nomi di quelli che la rivista la fanno (ciao Flavio), c’è la pubblicazione delle sentenze della Procura di Roma contro Mansour Sambon, Modou Sow, Ndiaye Mamadou, Sow Thierno. Arrivati tutti dal Senegal, sono stati giudicati e condannati per aver venduto cd falsi: è l’unica traccia rimasta del nostro amato oggetto; per le recensioni invece, rivolgersi altrove.

venerdì 14 gennaio 2011

DISCHI ACQUISTATI PIU' O MENO LEGALMENTE O ASCOLTATI PIU' O MENO SBADATAMENTE TRA IL 7 E IL 14-1

The Ramones Brain Drain
Pearl jam Live On Ten Legs
Greg Allman Low country blues
Thurston Moore Suicide Notes For Acoustic Guitar
Maria Taylor Lady Luck
Asa Beautiful Imperfection
Jan Bang And Poppies From Kandahar
Punkt Crime Scenes
Who Who’s next (deluxe edition)
Original soundtrack I’m not here

martedì 11 gennaio 2011

Io e te (dove non si parla di Gianna Nannini e la figlia Penelope Jane, ma del suo nuovo disco)


Arrivo in ritardo, un dirigente della Sony sta già parlando, ovviamente con toni entusiasti, del disco che tra poco ascolteremo in anteprima, frutto di un periodo di 'straordinaria creatività' di Gianna. Applausi e urla dal secondo settore del Teatro Elfo/Puccini di Milano che ospita l'evento, quello in cui sono sono stipati i fan della community. Il primo è riservato ai media, anche se si mormora che alcune interviste siano date ad personam nel backstage e tra gli eletti si fa il nome di Signorini. Alle 11.10 si spengono le luci, quelle del secondo settore, il primo resterà illuminato per permettere ai giornalisti di scrivere. O di essere beccati se parlottano o si addormentano. Sul maxi-schermo una maxi-fotografia della Nannini, giubbotto di pelle, jeans con l'elastico, maglietta sollevata a mostrar la pancia che fu (ma la maternità non è argomento di conversazione ci diranno più tardi, la signora Nannini "è stata attaccata per aver strumentalizzato il suo lavoro a fini promozionali": un lapsus interessante, se si considera che il singolo ha l'ecografia di Penelope Nannini in copertina, mentre l'album porta la foto di cui sopra). Parte il primo brano e con lui i disegni, sulla foto, opera di Michelangelo Pistoletto, tanti ovali con due cerchi adagiati e un puntino al centro. Una linea lega tutti puntini e transita per l'ombelico della Nannini; ma sbagliate a pensare che c'entri la sua maternità. Il disco lo ascoltiamo per intero, mentre sull'immagine immobile continuano a gironzolare gli ovuloni di Pistoletto: undici brani che parlano tutti inderogabilmente d'amore, con frasi che sembrano uscite dritte dritte dai miei diari di terza media. Arrangiamenti monotoni del mago Will Malone che dà il meglio di sè nella cover di "Volare", resa con un zum-pa-pa di fondo e chitarre rock. Alle dodici in punto la musica finisce, si riaccendono le luci e arriva lei, intabbarata in un mantello che ruota teatralmente, getta per terra, rimanendo in smoking e camicia bianca. Entra una poltrona e partono le domande dei soliti giornalisti, poco più noiose e prevedibili delle canzoni. E le risposte non sono da meno, nonostante il cipiglio ribelle della Gianna che arriva a dire che "non bisogna pensare a destra e sinistra, se no non si viene a capo di niente". Salvo aggiungere che lei è comunque a favore delle differenze. In mezz'ora è tutto finito con un'ultima notazione sulla prossima tournée: inizierà da Milano a fine aprile e sarà preceduta da un evento privatissimo con il battesimo di Penelope da parte di alcuni padrini e madrine vip i cui nomi sono, per ovvi motivi, segretissimi. Ma non crediate che questo c'entri con la maternità della Nannini. Arrivano le rose dei fan con tanto di biglietto letto senza troppa convinzione, poi lentamente il teatro si svuota verso il buffet dove lei non ci sarà. Forse è l'ora della pappa: ma questo non c'entra con la presentazione del disco.

lunedì 10 gennaio 2011

Scrivere in musica: Sunset park



Benché uno dei protagonisti sia il batterista dei Mob Rule, un “roco, dissonante, improvvisato” gruppo (alla Lounge Lizard) che raccoglie in media due o tre date al mese, non c'è molta musica nell'ultimo, meraviglioso libro di Paul Auster, “Sunset Park”. Il romanzo ha inizio a Miami, in Florida, dove Miles Heller si è autoesiliato per un drammatico evento della sua infanzia, ma presto l'azione si sposta a New York, nell'amata Brooklyn di Auster (e Lou Reed tanto per fare un nome), intorno ad una casa occupata abusivamente nei pressi del cimitero di Green Wood. Ma quello che importa qui non sono le vicende dei protagonisti, che per le più disparate congiunture e circostanze si trovano intrecciate tra loro, quanto il fatto che il romanzo sia strutturato (o almeno, a noi piace pensarlo) come una grande suite jazz, divisa in quattro parti, per un gruppo di sette elementi. Il leader è sicuramente Miles (‘nomen omen’) Heller, che introduce la vicenda (il tema) per le prime cinquanta pagine. Poi tocca al batterista, Bing Nathan, che nel secondo capitolo, dopo un assolo di presentazione, duetta a turno con gli altri strumenti, Alice Bergstrom, Ellen Bruce e con lo stesso Heller. Nella terza parte è la volta di Morris Heller, il padre di Miles (Dewey Redman con il figlio Joshua? O Ellis Marsalis con Wynton?) fino alla lunga chiusura finale della parte conclusiva in cui a turno gli interpreti, con la novità della madre di Miles, Mary-Lee Swann, riprendono il tema per svolgerlo e portarlo a compimento. Trattandosi di Auster, l’idea melodica di fondo è quella di molti altri suoi libri: il caso come impareggiabile e decisivo artefice dei nostri destini (un suo romanzo del 1990 si intitola non a caso “The Music of Chance”), un avvenimento fortuito che cambia completamente la direzione di una vita, coinvolgendone e a sua volta modificandone altre. Come accade a volte nel jazz, dove l’improvvisazione durante un assolo può condurre il musicista (e di conseguenza tutto il gruppo) verso rotte inedite e inaspettate. Trovate voi il disco con il quale accompagnarvi nella lettura di questo libro; oppure sceglietelo a caso, potrebbe rivelarsi la soluzione migliore.

venerdì 7 gennaio 2011

Why Did We Have To Part


Il nuovo brano di Marianne Faithfull lo trovate qui in download gratuito e legale: http://www.megaupload.com/?d=0ZICMPNO

mercoledì 5 gennaio 2011

DISCHI ACQUISTATI PIU' O MENO LEGALMENTE O ASCOLTATI PIU' O MENO SBADATAMENTE TRA IL 30-12 E IL 7-1

Daft Punk Tron legacy
Stefano Bollani Falando de amor
Stefano Bollani I'm in the mood for love
Gotan project Tango 3.0
Marc Almond Varieté
Tindersticks Live In London 2010
Michel Portal Bailador
Marianne Faithfull Why Did We Have To Part
Moby iTunes Live from Montreal
Anika Anika
Brian Eno Small Craft on a Milk Sea
Jimi Tenor and Tony Allen Inpiration information

lunedì 3 gennaio 2011

Due o tre cose per il 2011


La vera questione è: ci rende uomini migliori sapere che Tommy Bolin diventa il chitarrista dei Deep Purple alla dipartita di Richie Blackmore nel 1975? E che proprio Bolin è l'autore di un fantasmagorico assolo in un disco di Billy Cobham? Quel Cobham che nel 1969 partecipa alle sessioni di un capolavoro di Miles Davis, giusto vent’anni dopo che questi aveva firmato alcune meraviglie del bop insieme a Charlie Parker? La risposta è certamente no, la conoscenza musicale non ci rende migliori (e anche provando a cambiare la materia in esame - dalla musica passate alla letteratura, alla pittura, all’architettura, al cinema, al web 2.0 - la situazione non cambia). D’altra parte pensate a quante persone spregevoli conoscete con un enorme bagaglio di nozioni musicali (o letterarie o artistiche o …) e non si potrà che condividere questa riflessione. Ampliando il concetto agli stessi artisti, il quadro globale non cambia: magari Cobham (che ho solo sfiorato ad un mediocre concerto al cinema Universale di Genova negli anni ’80 e di cui non conosco la vita privata: questo è solo un esempio), è un potente e talentuoso virtuoso della batteria, ma ha la brutta abitudine di picchiare le donne (e con quelle braccia…!). Oppure Tommy Bolin ha sempre omesso nella sua dichiarazione dei redditi i proventi derivati dalle sue sessioni con i Deep Purple. (Per evitare grane legali, mi limito a esempi, assolutamente arbitrari e privi di fondamento, fuori dall’Italia, ma è facile immaginare come traslare al Bel Paese quanto detto fino ad ora). La prima questione ci conduce ad una seconda domanda: ma perché lo Stato, quindi la comunità, vale a dire noi, dovrebbe finanziare la cultura nei suoi più disparati aspetti? Perché, direbbero in molti, pur non rendendoci migliori, rende la nostra vita migliore. Certo, non quella di tutti e non allo stesso modo. Probabilmente un concerto di Richie Blackmore sponsorizzato dal Comune di Genova lascerebbe buona parte della popolazione indifferente, contribuendo alla gioia di un ristretto numero di persone (tra cui l’organizzatore del concerto che ovviamente gestirebbe l’evento come un fatto privato, pensando al suo rendiconto). Allo stesso modo però “L’elisir d’amore” di Donizetti al Carlo Felice o una mostra come “Mediterraneo
da Courbet a Monet a Matisse” a Palazzo Ducale potrebbero passare senza lasciar traccia su centinaia di migliaia di persone (ma, forse, con il plauso di albergatori e ristoratori che avrebbero qualche turista in più). Allora la domanda diventa: chi decide cosa finanziare e perché? In attesa della risposta, riascoltatevi i Deep Purple di "Come taste the band" con Tommy Bolin alla chitarra in una fiammante deluxe edition; oppure “Spectrum” di Billy Cobham, seguito immediatamente da “Bitches brew” di Miles Davis, magari nella monumentale versione che vi sarete fatti regalare per Natale. Non sarete uomini migliori, ma la vostra vita vi sembrerà migliore… (continua)

Un Amore Supremo

In occasione dell'uscita in edicola di A Love Supreme, primo titolo della collezione I Capolavori del Jazz in Vinile, sono andato a ria...