lunedì 28 marzo 2011

Chi fermerà la musica


Da un paio di settimane il gruppo Espresso - Repubblica ha lanciato l'ennesima iniziativa editoriale relativa alla musica, un corso inedito e completo in dieci uscite per imparare a suonare quattro strumenti: chitarra, tastiere, basso, batteria. La pubblicità promette che "il metodo innovativo di Music Academy, in libro e DVD perfettamente integrati, vi insegnerà a suonare da soli e in una band". E aggiunge l'intelligentissimo 'claim': "Con Music Academy imparate suonando!", una vera rivoluzione rispetto alle masse di musicisti che, evidentemente, hanno imparato non suonando. Per una singolare coincidenza sul blog del giornalista Christian Rocca, il 20 marzo, è apparso un post dedicato a Garage band, un applicazione per iPad in grado di far comporre canzoni anche a chi non sa suonare una sola nota. Lui, che rientra in questa categoria, in qualche ora, ha composto tre brani ("It ain't over until is over", "It's over", "Arab unrest", idealmente raccolti nel primo EP dal titolo "Via Monterosa 91", purtroppo non disponibile al download), che ha immediatamente proposto ad amici e colleghi. Il cerchio, come in un terrificante incubo, è drammaticamente ed ermeticamente chiuso: da un lato (è un incubo, e quindi anche i cerchi hanno i lati) stormi di ragazzini che partecipano a X Factor, Amici e Ti lascio una canzone, inondando il mercato con i loro prodotti omologati, nella speranza che "uno su mille ce la fa"; dall'altro, moltitudini di analfabeti che armati di dispense, dvd e computer, producono felici e inascoltati, milioni di note. In una sconfortante giornata di marzo, mentre nel bagno di un ristorante, un altoparlante inserito nel soffitto, mi torturava con una terrificante versione pop di "Nessun dorma", ho pensato come in fondo sia proprio questa la musica della contemporaneità: quella che tutti suonano, cantano, improvvisano, imparano e nessuno ascolta, il riflesso dell'esasperato individualismo che contraddistingue questa malsana epoca in cui l'egocentrismo ha trionfato su ogni barlume di percezione collettiva. "È più facile farlo che suonarlo" insiste la geniale pubblicità del Music Academy. Certamente, ma bisognerebbe almeno sapere che cosa.

lunedì 21 marzo 2011

Talkin' World War III Blues


Il 18 marzo scorso, il giorno dopo l’approvazione da parte del Consiglio di Sicurezza dell'Onu della risoluzione che ha autorizzato l'imposizione della no-fly zone sulla Libia “con tutti i mezzi a disposizione”, il quotidiano francese Libération è uscito con una doppia copertina: in prima pagina la foto di Gheddafi e il titolo “La guerre”; in ultima pagina, una prima rovesciata, un’immagine di un elicottero sopra Fukushima e la scritta “La centrale infernale”. Un tragico, ma efficace riassunto di una settimana alla quale è difficile dare una colonna sonora, in cui verrebbe voglia di scrivere ‘chiuso per lutto’, limitarsi a copiare “Alle fronde dei salici "di Salvatore Quasimodo o rannicchiarsi sul divano ad ascoltare uno di quei dischi che si tirano fuori nelle occasioni che contano. E così ho fatto, pescando dal mucchio “The Freewheelin' Bob Dylan”, guidato nella scelta da un inconscio che quasi sempre si rivela molto più lungimirante dell’io che lo contiene. Ho guardato la foto di copertina, dedicando un ultimo pensiero a Suze Rotolo, l’allora fidanzata di Dylan ivi ritratta e scomparsa il 24 febbraio di quest’anno, mentre in sottofondo partivano le (arci)note di "Blowin' in the Wind". Dopo poco più di sei minuti, all’inizio del terzo brano, “Masters of War”, mi alzo ed estraggo dalla libreria un vecchissimo libro della Newton Compton, pagato all’epoca milleduecento lire, “Blues, ballate e canzoni”, i testi dei primi undici album di Robert Zimmerman da Duluth: “e spero che moriate, e che la vostra morte venga presto, seguirò la vostra bara, un pallido pomeriggio, e guarderò mentre vi calano, giù nella fossa, e starò sulla vostra tomba, finché non sarò sicuro che siete morti”. Ancora due canzoni che quasi non ascolto, ho ancora nelle orecchie l’invettiva contro i padroni della guerra e inizia “A Hard Rain's A-Gonna Fall”: “e cosa hai sentito, figlio dagli occhi azzurri, cosa hai sentito, dolce mio figlio, ho sentito il fragore di un tuono, e il suo rombo era un avvertimento, e ho sentito il fragore di un'onda, che potrebbe sommergere tutto il mondo, ho sentito cento tamburini, e le loro mani erano in fiamme”. Mi risveglia il tac della puntina sul solco finale, insistito, ripetuto, sempre uguale; mi alzo, sollevo con delicatezza il braccio del giradischi, mi siedo di nuovo resto lì, senza pensare a nulla.

lunedì 14 marzo 2011

Anema e core


Il mio amico Salvatore telefona tre - quattro volte l'anno: rispondo e lui, dall'altra parte, comincia a suonare il sax tenore, un Selmer Mark IV che tiene in negozio per esercitarsi; oppure mette un brano sul vecchio giradischi con cui ama riascoltare i suoi maestri. Poi scoppia a ridere e dice: "Danilo, come s'intitola questo pezzo? Ciao, sono Salvatore, come stai?". Dopo le abituali chiacchiere di riscaldamento arriva il momento del suo argomento preferito o, per meglio dire, del suo sospirato miraggio: invitare Sonny Rollins a Genova per insignirlo di una laurea ad honorem dall'Università o di un riconoscimento dal Comune o una qualunque cosa ufficiale che lo convinca ad attraversare l'Atlantico. Così mi racconta del suo ultimo incontro con il Magnifico Rettore che gli ha assicurato, pur non conoscendo il personaggio in questione, che farà tutto il possibile; con l'assistente del Sindaco, che gli ha garantito, pur non conoscendo il personaggio in questione, che vedrà di convincere il nostro primo cittadino; con un'importante esponente di Assindustria che si è detto certo, pur non conoscendo il personaggio in questione, che il presidente si adopererà sicuramente per trovare un degno sponsor per l'evento. E tutti - sembra di sentirli in coro - aggiungono che "proprio quest'anno"... "non ci sono nemmeno i soldi per gli asili"... "la crisi picchia duro"... e tutto un campionario di frasi di circostanza su cui si infrange la sua indomabile perseveranza. Questo succede ormai da più di dieci anni. Lui, nel frattempo, ha tallonato Rollins, in tutti i suoi concerti, in Italia e in Francia, presentandosi con la raccomandazione di un amico comune, Emilio Lyons da Boston, "the doctor", il più importante aggiustatore di sassofoni del mondo, con cui Salvatore ha intessuto negli anni un rapporto affettuoso, quasi filiale. Ormai anche il manager lo conosce, ci ha parlato spesso e lo ha quasi convinto; anche Rollins sembra possibilista; mancano solo i soldi, nemmeno tanti in fondo, un paio di biglietti aerei e un po' di buona volontà. Ma niente e il suo sogno resta ben lontano dal realizzarsi. Martedì scorso mi ha telefonato; le note di "Anema e core" hanno preceduto la sua voce, sempre allegra, che chiedeva come stavo; ci siamo salutati con la promessa di rivederci, prima o poi. Su Rollins nemmeno una parola. Pochi giorni dopo ricevo la newsletter mensile di Down Beat, la più importante rivista di jazz statunitense. Il titolo d'apertura è: "Sonny Rollins Awarded National Medal Of Arts". Nella foto un ottantenne 'Saxophone Colossus' sorride, capelli e barba grigi, elegantissimo, indossa una splendida giacca rossa, mentre il presidente Barack Obama gli consegna la medaglia. Ripenso a Salvatore, alle decine di volte in cui ha provato a spiegare chi sia Sonny Rollins e perché per Genova sarebbe stata un'occasione importante tributare un riconoscimento a un musicista che ha fatto la storia del jazz e della cultura del Novecento. So che sarà contento per Sonny, che brinderà ascoltando un suo disco (io sarei indeciso tra "Freedom suite" o il "Volume 1" della Blue Note), la prossima estate andrà a salutarlo in uno dei pochi concerti che terrà in Europa e si complimenterà per la medaglia; ma, quasi sicuramente, non avrà il coraggio di parlare ancora del suo progetto. Così, giorno dopo giorno, spegnendo entusiasmi, desideri, sogni e anche rendendo impossibile il lavoro a realtà concrete, fattive, positive, che rendono migliore la nostra vita, così, giorno dopo giorno, muore la cultura in Italia. (Scritto nella settimana in cui sono 'scomparsi' altri ventisette milioni dal già esangue Fondo Unico per lo Spettacolo, è stata finalmente varata l'ineludibile Grande riforma sulla Giustizia, il CdA Rai ha approvato l'arrivo di due nuove "stelle", entrambi dipendenti berlusconiani: Giuliano Ferrara, con la sua trasmissione "Qui Radio Londra", un milione e mezzo all'anno per due anni con l'opzione per il terzo; e Vittorio Sgarbi che da aprile avrà condurrà "Il bene e il male", compenso sconosciuto).

lunedì 7 marzo 2011

The perfect beat



Qualche giorno fa mi aggiravo tra le bancarelle di libri, come succede quando si ha tempo da perdere, in attesa che si faccia un'ora dignitosa per presentarsi a un colloquio di lavoro o, se si è ancora giovani, al primo appuntamento con una ragazza conosciuta su Facebook. Insomma era uno di quei momenti in cui se la vita fosse un romanzo, ecco quello sarebbe il momento cruciale, l’istante spettacolare in cui tutto finalmente sta per cambiare. Invece, trattandosi di vita vissuta, ogni cosa procede noiosamente come sempre e, in genere, anche l’ammucchiata di libri non provoca nessun sussulto. Questa volta, mi capita tra le mani "Slumberland" di Paul Beatty, pubblicato da Fazi nel 2010. Mi attira la foto di un ragazzo nero in copertina e il dialogo riportato sotto il titolo: "Allora? Cos'è un musicista jazz senza una donna bianca? Un senzatetto". Non proprio una battuta memorabile, ma la parola jazz è sufficiente per farmi aprire la prima pagina. Qui ci trovo Josephine Baker, la Montblanc, Langston Hughes e tanto basta, insieme ai cinque euro del prezzo, a convincermi all'acquisto. A casa il libro finisce dimenticato nella pila di quelli da leggere per qualche mese, fino all'altro giorno, quando salta fuori reclamando attenzione. Inizio a sfogliarlo, senza molta convinzione: un disc-jockey nero, dotato di una memoria fonografica perfetta, arriva a Berlino, nel 1989, alla ricerca di Charles Stone, detto lo Schwa, uno dei tanti geni sconosciuti e/o dimenticati del jazz. DJ Darky, l'io narrante, lo cerca perché lui è l'unico in grado di suonare il ‘beat’ perfetto, un ritmo assoluto di 2 minuti e 47 secondi composti accumulando tutti i suoni incontrati nella sua vita (che il brano abbia una sua efficacia lo dimostra il fatto che anche Blixa Bargeld, che abita al piano sotto del nostro protagonista, dimostri rispetto all’ascolto). In attesa dell'incontro, per guadagnarsi da vivere, lavora allo Slumberland, un bar che è "uno zoo degli accoppiamenti interrazziali". Forse lavoro è una parola grossa, perché chi non vorrebbe fare il ‘jukebox - sommelier’, cioè riempire un vecchio Wurlitzer di 45 giri scelti con maniacale attenzione, in modo che qualunque sia la casuale successione di ascolti non possa che risultarne una colonna sonora impeccabile? Ovviamente, in qualche serata speciale Darky sale in consolle, mettendo insieme Shuggie Otis e Bar-Kays, Slave e Gil Scott-Heron, “Sugar man” di Sixto Rodriguez con “Lizard” dei King Crimson (!). E chissà che a Kanye West l’idea di campionare “21st century schizoid man” in “My Beautiful Dark Twisted Fantasy”, non sia proprio venuta in mente leggendo queste righe. Nell’attesa di conoscere la risposta, provate a risolvere la legge GeorgeClintoniana del Funk Universale: F = (R m1 m2)/ r2. Buona lettura.

Un Amore Supremo

In occasione dell'uscita in edicola di A Love Supreme, primo titolo della collezione I Capolavori del Jazz in Vinile, sono andato a ria...