lunedì 19 dicembre 2011

Racconto di Natale numero 2


Il giorno è un sabato che si avvicina al Natale, freddo come dev'essere un pomeriggio in cui si cammina controvoglia alla ricerca di regali che si trasformeranno in pacchi da scartocciare mostrando sorpresa, gioia autentica o contraffatta. Il luogo è un negozio di dischi, come non ce ne sono più: piccolo, stipato fino all'inverosimile di musica blues, rock, country, folk, jazz, metal, progressive (quello degli anni '70, non quel sottogenere dance contemporaneo che chissà perché ha lo stesso nome). Inutile cercare la Pausini o l'ultima compilation, il proprietario, sempre lo stesso da tempo immemorabile, si potrebbe irritare. Come mosse da fili invisibili, decine di persone cominciano a confluire verso il luogo in questione, mentre il sole decide di scomparire definitivamente, almeno per quel giorno. Davanti al negozio una ragazza comincia a cantare, si fa accompagnare dalla sua chitarra, da un tastierista barbuto e simpatico e da un violoncellista, schivo come si confà allo strumento. Si sta un po' fuori ad ascoltare, si saluta qualcuno, poi si entra dentro per riscaldarsi. Ci si incontra, favoloso verbo fatto di tre preposizioni, semplici.

Ritrovo il direttore del personale di una grande azienda con il quale condivo un paio di passioni musicali e di amici; il medico, che ogni mattina dopo aver fatto il giro dei prelievi per l'ASL, viene a discutere di calcio e musica; il bancario amante del jazz al quale rubo un cd di Sidney Bechet che cercava da tempo; la coppia appena tornata da un flash-mob in mountain bike; Francesca, che non vedevo da quindici anni e adesso ne ha diciotto, oltre a un fidanzato che sembra più giovane di lei e un papà complicato che mi passa al telefono per parlarmi di Pat Metheny. Adesso sta suonando un'altra ragazza, ancora più giovane, infine arriva il momento del blues, chitarra e fisarmonica; nel frattempo qualcuno si è rifugiato al bar di fianco, ma poi torna fuori, nel vapore dei respiri infreddoliti, restando avvinghiato alle ultime note. Quando anche l'ultima sarà svanita nel ruomore quotidiano, bisognerà tornare ai regali, ai parenti, alle cene coi colleghi, ai pranzi in famiglia, al Natale di cui non frega più niente a nessuno. Ma qui sembra tutto vero, ancora ci si incontra, meraviglioso verbo fatto di tre preposizioni, semplici.

Colonna sonora a cura di Roberta Barabino (Magot, Egea) e Paolo Bonfanti (Takin' a break, Club de Musique)

lunedì 12 dicembre 2011

Racconto di Natale anticipato


Mi ricordo di aver mangiato in tutta fretta, appena tornato da scuola; di aver aspettato che mia madre mi desse l'anticipo del regalo di natale di quell'anno e di aver aggiunto quei pochi soldi ai miei altrettanto irrisori risparmi per correre al Cinema Teatro Genova, proprio di fianco alle carceri e allo stadio di Marassi e comprare l'agognato biglietto. Il concerto iniziava alle ore 16, non ricordo se andai da solo o con uno dei miei abituali compagni d'avventura, Mino o Alberto; non ricordo nemmeno se Antonello Venditti fosse accompagnato dal gruppo (magari lo stesso con il quale nel settembre dello stesso anno aveva pubblicato "Lilly"; c'era anche il fratello di Little Tony che suonava la dodici corde nel brano omonimo). MI ricordo invece di Saro Liotta, virtuoso chitarrista palermitano che aprì il concerto con un set da solo e di un pianoforte a coda che troneggiava sul palco. Poi le canzoni, "Lilly" certo, ma soprattutto "Penna a sfera", polemicamente dedicata a un giornalista di Ciao 2001, "Compagno di scuola" (uscita in versione censurata: la RCA si rifiutò di pubblicare il disco con il verso "quella ragazza che l'ha data a tutti meno che a te", modificato con "filava tutti meno che te") e la mia preferita, "Lo stambecco ferito". Era il 15 dicembre 1975, quella sera Venditti avrebbe suonato nuovamente alle 21 (per i miei tredici anni il concerto della sera era un sogno impossibile, per anni ho sempre vissuto col dubbio che fossero diversi, quello della sera più entusiasmante e coinvolgente) e sarebbe tornato a Genova in febbraio per altri due date, l'11 al Teatro Ambra di Nervi e l'altro il 12 al Teatro Roma di Sestri Ponente. Mi ricordo di essere tornato a casa e di aver messo il disco sul mio Stereorama 2000 de luxe, me lo aveva regalato mio zio quando aveva cambiato il suo impianto, e di averlo riascoltato per intero. Poi mio padre era tornato dal lavoro, ci eravamo messi a tavola e avevamo cenato in silenzio, come ogni sera.

lunedì 5 dicembre 2011

Bontà loro



Tv Talk è una trasmissione di critica e analisi televisiva che va in onda su RAI 3 il sabato pomeriggio. La scorsa settimana in scaletta è prevista la partecipazione di Enzo Iachetti per presentare il suo nuovo disco, un cd il cui ricavato sarà interamente devoluto ad AMREF per la costruzione di una diga in Kenya. La registrazione (che si effettua il venerdì) fila liscia, se non fosse che qualcuno si ricorda che ogni 'lancio di beneficenza' deve essere, per ovvi motivi, approvato e concordato con il Segretariato Sociale RAI: per controllare la bontà del progetto e per evitare una sovraesposizione di alcune iniziative a scapito di altre. In mancanza di tale autorizzazione, la produzione – RAI Educational - deve tagliare la parte con Iachetti, che il giorno dopo non perde occasione di gridare alla censura contro di lui. La settimana seguente, approvata regolarmente la partecipazione, Iachetti è in onda a TV Talk. Il presentatore spiega l'accaduto e la telecamera inquadra il conduttore di Striscia la Notizia con il disco in mano che, visibilmente infastidito, ironizza sull'accaduto. Poi attacca i commercianti di dischi che sono gli unici a non rinunciare al guadagno, poiché trattengono la loro percentuale sulle vendite (affermazione tutta da verificare: gli studi di registrazione sono stati ottenuti gratuitamente, la stampa del cd, il packaging, la grafica, la spedizione, nessuno ha chiesto niente?). Al di là del fatto che bisognerebbe spiegare al signor Iachetti che la beneficenza, per definizione, non può essere obbligatoria, ma deve essere decisa liberamente e volontariamente dal singolo soggetto, resta il fatto che il conduttore di Striscia la Notizia non è un cantante (la precedente incisione dedicata ai vecchi successi di Gaber, se ascoltata con attenzione, conferma questa tesi); cioè non sta facendo beneficenza con il frutto del suo lavoro, ma semplicemente con i soldi di coloro che decideranno di acquistare il suo disco. Un equivoco questo piuttosto radicato nel mondo dello spettacolo italiano, sempre pronto a lanciarsi in iniziative in cui i protagonisti della beneficenza si limitano a metterci la faccia o tutt'al più a divertirsi giocando a pallone all'Olimpico (dove normalmente non riuscirebbero mai a mettere piede), devolvendo l'incasso, pagato dagli spettatori, a qualche meritevole associazione. Forse, visti i redditi dei protagonisti, per ottenere gli stessi obbiettivi sarebbe sufficiente che la beneficenza decidessero di farla con i loro soldi. Meglio se in silenzio e nell'anonimato totale.

and when I die...


Correva l'anno 1988 quando Clint Eastwood diresse la biografia di Charlie Parker, "Bird" con Forest Whitaker; l'avventura del compact disc era appena iniziata e la pulizia del suono che il nuovo formato sembrava poter garantire era la parola d'ordine. Così nacque l'idea di incidere la colonna sonora utilizzando gli assoli originali di Parker risalenti agli anni '40 e '50, debitamente restaurati, sostituendo le altri parti con registrazione nuove e tecnicamente impeccabili. Una profanazione che fece gridare allo scandalo i puristi, un espediente che non ebbe seguito e che non giovò particolarmente alle vendite. Chi invece dal punto di vista delle vendite ottenne uno straordinario successo fu Natalie Cole che, utilizzando più o meno lo stesso sistema, nel 1991 incise "Unforgettable" insieme al padre Nat, o meglio insieme alla sua voce visto che il cantante all'epoca da era già morto circa ventisei anni. Da quel giorno periodicamente qualcuno ci riprova (la stessa Natalie, sempre col padre nel 2008) con alterne fortune. Ora è la volta di Fabrizio de Andrè, la cui voce è stata prestata a Geoff Westley e alla London Symphony Orchestra: il risultato sono dieci canzoni (di cui due duetti, con Capossela e Battiato), provenienti dagli album più disparati, da "La Buona Novella" ad "Anime Salve", restituiti in maniera troppo uniforme, piacevole, ma prevedibile. Al di là del giudizio estetico è interessante notare come in queste operazioni, in parte sicuramente commerciali, si riproponga un antico leit-motiv della registrazione e cioè la capacità di dare voci ai (nostri) fantasmi. In effetti quando si parla di musica registrata stiamo sempre parlando di una cosa che nel migliore dei casi non esiste più o che non è mai esistita (furono i Beatles i primi a incidere in studio canzoni che all'epoca non sarebbero stati in grado di riprodurre in concerto; oggi le tecniche di registrazione permettono di incidere la ritmica in un continente, gli assoli di chitarra in un altro e poi rimixare il tutto con una voce che non ha mai visto in faccia gli altri partecipanti). Fantasmi appunto, che si materializzano al momento dell'ascolto e solo in quell'istante, sensazione oggi aggravata dalla scomparsa del supporto con conseguente smaterializzazione della musica. Non restano che i concerti, non a caso la musica 'dal vivo'; sempre ammesso che non siano proprio i morti quelli che vorremmo continuare ad ascoltare...

lunedì 21 novembre 2011

I sogni son desideri


Ormai è un'emorragia: dopo i R.E.M., forse gli U2 e Ivano Fossati, anche Francesco Guccini ha annunciato che si ritirerà dalle scene musicali. Certo, a far da contraltare ci sono quelli che non mollano, Rolling Stones e Dylan su tutti, ma anche i nostri: Antonello Venditti sta per uscire con un nuovo album, Fabrizio De Andrè ne ha appena pubblicato uno con le sue più belle canzoni reinterpretate orchestralmente da Geoff Westley (il mago inglese del suono che curò il restyling di Battisti di "Una donna per amico) e anche Lucio Dalla è sempre prodigo di composizioni in ogni ambito dello scibile musicale, tutte accomunate dal fatto di non lasciare alcuna traccia nell'etere. Poi ci sono quelli che ci riprovano: i Litfiba, di nuovo insieme, stanno per uscire con un nuovo disco anticipato da un singolo "Lo Squalo", che già dal titolo sembra di vedere il video. Infine quelli che non mollano mai, da Little Tony a Ornella Vanoni, fino al sempre verde duo Apicella-Berlusconi. Ripetutamente annunciato e rinviato (con in mezzo lo spiacevole annullamento del concerto previsto per lo scorso 10 marzo al Teatro degli Arcimboldi del solo Apicella, causa prevendita zero) il 22 novembre prossimo su tutti gli scaffali dei migliori negozi di dischi campeggerà "Il vero amore", undici canzoni interamente composte dall'ex-premier (scusate, lo riscrivo, ex-premier) tra cui, commenta il guitar-hero napoletano, "la novità di un samba e di un brano latino-americano". La scorsa settimana il sito di scommesse inglese Puddy Power quotava 33 a 1 un tour europeo, 100 a 1 la possibilità di vederli al prossimo Glastonbury e 5 a 2 la caduta del governo entro la fine dell'anno. Vi lasciamo la soddisfazione di controllare da soli se le quote siano rimaste inalterate: nonostante il tempo libero del nostro ex-premier (mi ripeto, lo so) i bookmaker inglesi potrebbero forse aver considerato che se qualche processo andasse a buon fine, dalle patrie galere sarebbe difficile uscire anche per un tour musicale. Difficile, lo so, ma la musica serve soprattutto a sognare.

lunedì 14 novembre 2011

You Can't Get Always Get What You Want


"I primi a comparire erano stati Martha Reeves and the Vandellas. Avevano suonato Dancing In The Street e quando avevano attaccato la strofa Baltimora e il D.C. Il pubblico si era acceso. La ragazza con il top scollato ballava davati a loro, ancheggiando, e i ragazzi se l'erano immaginata nell'atto restando paralizzati. Dopo aveva fatto la sua comparsa Stevie Wonder, aprendo stranamente con Rockin' Robin, un successo di Michael Jackson di quell'anno, poi aveva fatto muovere la folla proseguendo con il suo repertorio. Durante Signed, Sealed, Delivered (I'm yours) era uscito un accompagnatore per far girare Stevie visto che, senza rendersene conto, stava cantando rivolto verso la parte vuota della tribuna. Dopo un momento morto, in cui la gente si era fatta ancora più ubriaca, disinibita e stravolta gli Stones erano saliti sul palco, e Mick Jagger, magro per via della cocaina, con una tutina bianca e una sciarpa di seta rossa, aveva gridato 'ciao campeggiatori' facendo partire il gruppo con Brown Sugar. Quarantamila persone si erano alzate in piedi, alimentate da alcol, anfetamine, acidi, marjuana e giovinezza. Un agente di polizia faceva ruotare il manganello al ritmo della musica. Il gruppo aveva suonato brani da Exile on Main Street, che era uscito da poco. L'assolo di chitarra di Mick Taylor in You Can't Get Always Get What You Want era stato epico".
È un brano trato dall'ultimo romanzo di George Pelecanos, "Il sognatore", autore noir di cui abbiamo già parlato in occasione del precedente "Il giardiniere notturno". Anche in questo libro la musica è una sorta di punteggiatura, un sottofondo ideale a una scrittura sempre avvincente, nonostante "The turnaround", questo il titolo originale, non sia la miglior prova dello scrittore di noir preferito da Barack Obama. Ma al di là di questo, viene un po' di nostalgia a pensare a quel concerto del 4 luglio 1972 al Robert F. Kennedy Memorial Stadium di Wahington, una delle tappe del The Rolling Stones American Tour con Stevie Wonder che di lì a poco avrebbe pubblicato un capolavoro come "Superstition". Chissa che per il quarantennale ormai prossimo non salti fuori un cd con annesso dvd; e magari dal MIT di Boston arriverà la buona notizia e per quella data avranno inventato una comoda macchina del tempo. Anche se "non è possibile sempre ottenere quello che vuoi".

lunedì 7 novembre 2011

This is the end


La notizia che la divisione discografica della EMI, ufficialmente messa in vendita da Citigroup dallo scorso febbraio, fatica a trovare acquirenti non ha trovato grande riscontro sui media. Così anche l'annuncio che l'Intenational Media Services di Caronno Pertusella, storica produttrice di cd e dvd, ha da poco fatto richiesta di messa in liquidazione (i lavoratori hanno ottenuto la solidarietà prima di Vasco Rossi e successivamente dalla EMI italiana, storico cliente dell'azienda) è affogato tra i mille altri che funestano la cronaca di tutti i giorni (solo la Stampa – mi sembra – gli ha dedicato due articoli). Le due notizie però, associate tra loro, conducono ad un'unico risultato: entro la fine del 2012 le major discografiche abbandoneranno definitivamente il formato del compact disc in favore del download/stream. Un articolo apparso su www.side-line.com specifica inoltre che il CD continuerà ad esistere solo in limited edition o in versioni deluxe. insieme probabilmente alle esigue tirature in vinile per le nicchie di appassionati rimaste (all'insegna di non si butta via neppure la più piccola possibilità di guadagnare). Toccherà farsene una ragione, anche se in fondo non succederà niente che non sia già accaduto: gli innamorati della musica-oggetto continueranno a comprare i dischi nel formato che più gli aggrada fino alla naturale estinzione della (loro) specie; e le nuove generazioni ascolteranno in modalità random la musica che più gli aggrada (in molti casi la stessa dei loro avi). È solo una questione di tempi che passano, di tecnologie che cambiano, di cose che scompaiono, di ricordi che svaniscono. E di gente che rimane senza lavoro, ma di questo ovviamente non frega niente a nessuno. Beautiful Friend, This Is The End.

lunedì 31 ottobre 2011

L'orrore, l'orrore


Sono abbonato a una non modica quantità di newsletter teatrali nella speranza, quasi sempre frustrata, che il teatro italiano dia segni di vita. Tra le tante quella dell'Eliseo di Roma, un teatro che riceve dallo stato contributi annuali per 1 milione 386 mila 572 euro, soldi ben spesi e giustamente sottratti ad altre realtà, considerando l'altissimo livello delle produzioni in cartellone. Il 25 ottobre scorso nella casella di posta elettronica ricevo una mail che all'oggetto riporta: "Le gemelle Kessler cantano Amy Winehouse!". Sarebbe sufficiente per farle prendere immediatamente la via del cestino, ma come sapete l'orrore ha un suo fascino e decido di aprirla: in una foto le due settantacinquenni tedesche (ancora ben conservate a dire il vero, ma in questo caso la grafica potrebbe aver fatto miracoli) sorridono dandosi la mano. L'audace copy spara tutte le sue cartucce: "Vi aspettavate di vedere le gemelle Kessler cantare Amy Winehouse e Lou Reed?". Francamente no ci viene da rispondere. Ma il testo continua imperterrito: "Succede in Dr Jekyll e Mr Hyde, il nuovo musical di Giancarlo Sepe! Dall'autore di Napoletango (che purtroppo ci è sfuggito, ndr), un musical coinvolgente con brani di Radiohead, Moby, Gorillaz, James Blake, Howie B e molti altri!" Basta l'orrore è diventato un vero horror (ma in questo caso Robert Louis Stevenson non c'entra, perché, cito sempre testualmente, il musical è ideato e diretto dal Sepe di cui sopra: la SIAE pagherà felice i diritti d'autore). Invece l'anonimo redattore implacabile continua: "Alice ed Ellen Kessler tornano alle scene a distanza di 30 anni e si cimentano con "I Know I'm no good" di Amy Winehouse, "Perfect Day" di Lou Reed, "Silence is sexy" degli Einstürzende Neubauten. Al loro fianco Alessandro Benvenuti, Rosalinda Celentano e 15 giovani appassionati attori." Come avrete notato ce n'è per tutti i gusti, difficile mettere assieme un coacervo così strampalato di generi musicali, gruppi e cantanti. Pur non avendo visto lo spettacolo (facciamo ammenda, ma recupereremo nella tournée mondiale) siamo certi che il debutto del 18 ottobre sia stato un trionfo (anche grazie alle quattro pagine che il settimanale di tendenza Vanity fair non ha mancato di dedicare all'evento). Di una sola cosa ci rallegriamo: è evidente che per il ritorno delle Kessler in Italia Berlusconi deve aver ottenuto in cambio dalla Merkel la salvezza dell'Italia. Almeno di quella che lavora (anche teatralmente parlando). Non resta che sperare che per quella che recita a soggetto il default prima o poi arrivi davvero.

lunedì 24 ottobre 2011

La mummia


Cera una volta. Sì, non avete letto male e non c'è nessun errore di battitura. Così infatti comincia la storia di Stefano D'Orazio "musicista, cantante, scrittore e autore di canzoni e musical". Vai a capire perché nell'invito all'inaugurazione della statua di cera del suddetto D'Orazio, il suo premuroso ufficio stampa (già, non quello del museo, ma quello del musicista, che si è fatto carico di mandare in giro una simile notizia) abbia evitato di nominare i Pooh di cui il nostro è stato per trentotto anni il valido batterista. Certo gli autori di "Pensiero" e "Chi fermerà la musica" non saranno stati i Cream o i Soft Machine e il nostro D'Orazio né Ginger Baker e né John Marshall; però questa omissione sa molto di rimozione, dopo l'abbandono del gruppo per stanchezza nel settembre di due anni fa. Tanto più in un giorno di assoluta consacrazione come mercoledì 19 ottobre quando, presso il Museo delle Cere in piazza SS. Apostoli, 68 a Roma, è stato effettuato "il taglio del nastro" (testuale) con tanto di brindisi con tutti i presenti. Dobbiamo ammettere la nostra ignoranza: nel primo viaggio oltremanica non avevamo rinunciato a una visita al Madame Tussauds (ultime entrate del museo delle cere di Londra: Colin Firth, Rihanna e Kate Winslet); e anche all'ombra della Tour Eiffel avevamo santificato il Grévin (qui sono stati appena incerati Sebastien Loeb, Brad Pitt e Cecilia Bartoli); ma non avevamo mai sentito parlare di quello di Roma, che pure porta nel suo logo l'imperiale scritta "since 1938".
Nostra mancanza; di certo ora ci sarà un motivo in più per recarsi nella caput mundi e anche i black bloc avranno un obiettivo ben più nobile per le loro proteste. Tra l'altro si potranno anche ammirare dal vivo (?) Ligabue, Gigi D'Alessio e Andrea Bocelli. Con l'auspicio che presto la misteriosa frattura si ricomponga e anche i restanti Pooh raggiungano il nostro D'Orazio nel pantheon. C'era una volta e cera per sempre.

lunedì 17 ottobre 2011

Io canto


Sembrava che il punto più basso della musica in televisione fosse stato raggiunto con i vari talent-show; ma lì, in fondo, si trattava solo di aspiranti cantanti gettati nell'arena, nella speranza che tra giudici, vocal coach e concorrenti prima o poi accadesse qualcosa di mediaticamente succulento (della musica ovviamente non fregava niente a nessuno). In questa nuova stagione, al decadimento di questi programmi (X factor su Sky ha perso molto del suo fascino, Star Academy raggiunge percentuali d'ascolto che ad altri programmi sono stati letali dopo una puntata, di Amici di Maria De Filippi preferirei non parlare) si contrappone il felice esperimento a tarda notte su Rai 3 di "Sostiene Bollani", la conferma che la musica in televisione ci può stare eccome; tutto sembrerebbe andare per il meglio quando, un sabato qualunque zappingando qua e là, mi sono imbattuto in un horror di rara potenza. Presentato da Antonella Clerici, infagottata in un roboante vestito-caramella, una specie di Michael Bublé in scala 1:2 distruggeva "Moondance", ovviamente a insaputa di Van Morrison (che da tipetto nervoso qual è, probabilmente ucciderebbe di fronte a un simile scempio). Come tutti i prodotti di serie Z è stato difficile allontanarsi dalla morbosità dell'immagine; quando infine sono riuscito a schiacciare il telecomando, sono rimasto inebetito a lungo prima di riprendermi, ripensando allo Zecchino d'oro e a semplici bambini che cantavano belle e divertenti canzoni per bambini. Passano alcuni giorni e per gli imprescindibili motivi della vita giovedì sera sono di nuovo sul divano che scanalo qua e là. Gasparri su La 7 mi costringe a cambiare, su Canale 5 c'è Gerry Scotti, tanto e troppo come sempre, vicino ad Alessandro Preziosi, un filo di barba, camicia bianca aperta e completo grigio. Ma c'è anche una bambina, nove-dieci anni, alla quale viene chiesto di mostrare la lunga chioma ruotando di fronte alle telecamere; poi il "signor Scotti" si allontana e la regia inquadra la bambina in primo piano, lo sguardo sognante e adorante verso l'attor giovane. Parte l'orchestra e l'impavido inizia a cantare; dopo la prima strofa la parola passa alla bambinetta che, ignara di quello che dice, si impegna nel raccontare la storia di Reginella, signorina che da ragazzina mangiava "pane e cerase" e adesso gira "con la vesta scollata, in mezzo a tre-quattro sciantose". Il tutto di fronte allo sguardo adorante dei genitori, quello compiaciuto dello Scotti Gerry e del Preziosi Alessandro (che non aveva dimenticato di presentare la sua ultima fiction prossimamente in tv), tutti complici nel far cantare a una bambina la storia di una escort, probabilmente minorenne, che "a volte, distrattamente" pensa ancora al suo primo amore. Una trasmissione davvero esemplare di questi orribili tempi.

lunedì 10 ottobre 2011

Un bel tacer

Ci sono musicisti che hanno smesso di suonare dopo un disco, alcuni dopo tre, altri che si ritirano e poi miracolosamente riappaiono, pochi che, fortunatamente, non smettono mai. Ovviamente tutto questo succede all'insaputa del soggetto in questione: per intenderci, Tim Buckley non ha mai saputo di aver inciso l'ultimo album nel 1970 (era "Starsailor") così come Neil Young è all'oscuro di essere stato a riposo tra il 1980 e il 1985; e via così. Ci sono poi i musicisti consapevoli, che coscientemente comunicano il loro ritiro: è capitato a Ivano Fossati (con qualche anno di ritardo a dir la verità, rientrando nel caso di chi aveva già smesso senza rendersene conto), che ha scelto la canonica intervista a "Che tempo che fa" per l'annuncio, giusto in occasione dell'uscita del suo ultimo "Decadancing". Tanto che c'era. nel corso della trasmissione ha presentato anche il libro "Tutto questo futuro", edito da Rizzoli per la modica somma di 40 euro, uscita ampiamente anticipata dal settimanale del Corriere della Sera "Sette" con ampi stralci in anteprima. La notizia del ritiro, che tanto ha scosso l'ineffabile Fazio, è stata poi ampiamente ripresa da tutti i quotidiani italiani, insieme alle date del tour che debutta da Milano il 9 novembre, fino agli inizi di dicembre e poi una seconda parte a gennaio e febbraio 2012. Nel frattempo un po' di presentazioni del libro, tra cui una la settimana scorsa a Roma con Ernesto Assante che, nel suo blog, ha sottolineato il gesto che "in un paese come il nostro, dove nessuno si dimette mai, è comunque ammirevole". Premesso che non abbiamo ascoltato il disco (che, per sicurezza, contiene un brano che si intitola proprio come il libro, "Tutto questo futuro") e detto che siamo certi della sincerità del cantautore genovese (in una conferenza stampa il giorno dopo ha ribadito che "se dovessi scrivere qualche canzone che merita di uscire dal cassetto, magari telefonerò a qualche amico" e "se tra cinque anni un artista mi chiedesse un assolo di chitarra gli direi di si, ma di cantare non se parla"), avremmo preferito che l'annuncio non arrivasse con tutto questo clamore. Ivano avrebbe potuto evitare di dirlo a uno sgomento Fabio, avrebbe potuto evitare di lanciare un disco, un libro e un tour tutto insieme. Lui, forse avrebbe potuto scegliere di dirlo nel bel mezzo di un mese qualunque, senza dover promuovere niente, senza chiasso, così come ci saremmo aspettati da chi, proprio nella seconda canzone dell'ultimo disco, ci ricorda che "Quello che manca al mondo, è un poco di silenzio".

lunedì 3 ottobre 2011

Back to the future


Un po' di anni fa un gruppo americano, i Big Daddy, avevano dato alle stampe un disco in cui nel retro di copertina si raccontava la loro improbabile storia: inviati nel Sud Est asiatico nel 1959 per un tour tra le truppe statunitensi, erano stati catturati dai "Comunisti rivoluzionari" e tenuti prigionieri per 24 anni. Tornati in patria si erano ritrovati con la musica completamente cambiata e per sbarcare il lunario non avevano potuto fare altro che provare a interpretare i successi degli anni '80 nell'unico genere che sapevano suonare, il rock 'n' roll. Così "Billie Jean" di Micheal Jackson suonava come "Be-Bop-a Lula e "Dancing in the dark" di Springsteen come un brano di Pat Boone. Ovviamente la storia era una divertente trovata, ma il disco del 1985 - "Meanwhile...back in the States" - un piccolo gioiellino. Immaginate di riprovare oggi a fare la stessa cosa: un gruppo prigioniero, diciamo in Afghanistan dal 1985, ritorna dopo ventisei anni e cosa ritrova: scomparsi i dischi, le cassette e tra poco anche i cd, la musica si ascolta soprattuto nei telefonini o negli iPod, si compone con l'iPad o con Garage band, magari pubblicandola anche in forma di app per iPhone. Ma il suddetto gruppo, una volta trasformato il proprio repertorio in un maneggevole mp3, non avrebbe alcun problema a inserirsi nello show-business come se niente fosse. Anzi, il 'vintage' che emanerebbe dagli strumenti o dai vestiti, non sarebbe che un ulteriore tocco di classe. La musica invece sarebbe perfettamente attuale, tanto poco è cambiata in questi ultimi venticinque anni, come dimostrato dal fatto che Springsteen è sempre lì, Michael Jackson ci sarebbe ancora se non avesse sbagliato medico e Bob Dylan è più o meno da allora in tour senza dare la sensazione di volersi o potersi fermare. E la musica di oggi? Forse da qualche parte sta suonando, ma chissà se nel fragore assordante della contemporaneità, qualcuno riuscirà ad accorgersene.

(Articolo scritto con il sottofondo del primo album di King's Daughters & Sons, "If Then Not When" e anche dei Big Daddy ovviamente)

Succ. >

lunedì 26 settembre 2011

Dear Biork


Mia amatissima Bjork, ho letto la tua mail questa mattina, sabato 24 settembre intorno alle ore dieci e trenta (ho visto che me l'hai spedita a mezzanotte e quarantatré, ma a quell'ora dormivo profondamente e quindi ti rispondo solo adesso). Ti ringrazio per avermi tempestivamente avvisato che il tuo prossimo album uscirà un po' in ritardo (invece di lunedì prossimo, il dieci ottobre). Capisco che aver suonato "Biophilia" per qualche settimana a Manchester abbia migliorato alcuni brani, tanto da convincerti a inserire le versioni live nel disco. Ma non è di questo che vorrei parlare: ho acquistato le app per iPhone e iPad (una per ogni canzone), ho religiosamente guardato il video di Michael Gondry e ho anche comprato su iTunes tutte le versioni remix uscite fino a oggi (Matthew Herbert e Serban Ghenea mi hanno deluso, ma la versione di "Crystalline" di Omar Souleyman è davvero straordinaria, non smetterei mai di ascoltarla). Ma non è di questo che vorrei parlare: quando a fine luglio avevo scoperto che avresti pubblicato insieme al cd normale, anche una "Ultimate Edition", non avevo resistito. Un contenitore in rovere laccato con coperchio incernierato e serigrafato, un manuale completo della 'guida' a "Biophilia"e dieci diapason cromati, anch'essi serigrafati su un lato, in altrettanti diversi colori, stampati sul retro e sistemati su un vassoio, regolati sulla tonalità di ciascun brano dell'album, un volume di 48 pagine cartonato, con copertina di stoffa cucita a mano, 2 CD (uno con le canzoni dell'album e un altro con registrazioni inedite) e una serie di saggi esclusivi sul tema del disco, tutto realizzato dal designer parigino M/M, valevano bene le 500 sterline(all'epoca 573 euro, ora non so). Non che sapessi chi sia M/M, né cosa fare con dieci diapason, con un contenitore laccato e con ilibri, che probabilmente avrei letto forse una volta e di sfuggita. Ma non è di questo che vorrei parlare: tutto questo accadeva prima della scoperta che l'Italia era un paese in crisi, a rischio 'default', che le manovre economiche si succedessero una via l'altra, portando l'IVA al 21%, rendendomi infine un pochino più povero. Insomma, my dear Bjork, so che tu mi puoi capire perché qualche anno fa anche la tua amata Islanda si è trovata nella stessa situazione, ma io avrei cambiato idea e ti chiedevo se fosse possibile recedere dall'acquisto. Sono certo che per te non sarebbe un grande danno: probabilmente in molti sono rimasti fuori dalla prenotazione e sarebbero ben felici di riuscire ad accaparrarsi una simile chicca. Puoi immaginare quanto mi costi rinunciare, ma se mia moglie sapesse che, pur essendo in cassa integrazione da maggio, spendo una simile cifra in un disco (alla fine di questo si tratta) non credo capirebbe e i nostri già tesi rapporti potrebbero forse peggiorare irrimediabilmente. Attendo una tua risposta, spero comprensiva e ti saluto caramente.

ps ho scaricato illegalmente l'album giovedì notte (tanto ho pensato che poi l'avrei comprato e quindi non ti procuravo alcun nocumento); non so se sia quello 'vecchio' o l'edizione da te modificata. In ogni caso l'ho trovato mortalmente noioso, ma non pensare che sia questo il motivo per cui rinuncio alla Ultimate edition.

lunedì 19 settembre 2011

Musica sui generis


Grazie a un comunicato di Radio Monte Carlo che annunciava il nuovo programma radiofonico di Alfonso Signorini con sigla di Fabri Fibra composta ad hoc per, avevo trovato senza troppo sforzo l'argomento per il Disco Mix di questa settimana. Poi, come quasi ogni settimana, ero andato a leggermi il blog di Aldo La Stella, un giornalista di Repubblica con la passione della musica. E cosa trovo? Quindici righe impeccabili da non dover aggiungere niente, se non riportarle integralmente, per condividerle: "Capisco: è un po' sparare sulla croce rossa visto lo spessore delle persone di cui si parla. Ma insomma, c'è gente che si sciacqua la bocca con proclami bellicosi di anticonformismo, sparacchiando un po' di qua e di là. Prendiamo il rapper Fabri Fibra, che ha addirittura titolato Controcultura un suo album, se non ricordo male, e non perde occasione per chiamarsi fuori dal coro. Poi m'arriva questa nota trionfalistica di Radio Monte Carlo: secondo la quale proprio il cattivissimo e alternativissimo rapper ha composto ed esegue la sigla del nuovo programma radiofonico di Alfonso Signorini. Signorini? Proprio il direttore di Chi e Sorrisi e Canzoni, invischiato in alcune trame e tramette che hanno inevitabilmente al centro Berlusconi? Già proprio lui. Ora, non si tratta di fare i moralisti, anche se guardare al mondo e soprattutto alle nostre cose con un poco di moralismo non mi pare così disdicevole. Ma chiedere pudore e rispetto per le parole, questo bisogna farlo. Soprattutto a chi campa cavalcando la rabbia e la voglia di cambiare il mondo dei ragazzi". La Stella ha anche un podcast, Musica sui generis, una sorta di trasmissione radiofonica di una ventina di minuti, generalmente monografica, sempre interessante, colta e approfondita, senza essere paludata o saccente: la trovate su iTunes o dal sito di Repubblica. Buon ascolto.

lunedì 12 settembre 2011

Silent music


Se appartenete alla schiera di coloro che hanno sempre trovato incomprensibile il fenomeno delle drag queen - camalli travestiti da vecchie zie che in playback scimmiottano improbabili canzoni - probabilmente di fronte alla nuova moda del momento, il Lip Dub, comincerete a rimpiangere i Gibson Brothers e i Boney M, gruppi che esistevano solo in studio e i cui produttori mandavano in giro controfigure di bell’aspetto a raccattare un po’ di popolarità e dollari. In pratica funziona così: si muovono le labbra, ma senza emettere un sussurro e si doppiano i video dei rocker più famosi realizzandone di nuovi. Su You Tube, ovviamente, il fenomeno ha assunto proporzioni gigantesche, tanto che quando cercate il video di uno dei vostri cantanti preferiti, cinquanta volte su cento salta fuori un brufoloso studente di un college americano che nella sua cameretta ha pensato bene di riprendersi mentre si dava al Lip Dub (e non si capisce per la gioia di chi). Mtv, ancor più ovviamente, ne ha tratto un format sul quale preferiamo non indagare. Come sappiamo bene noi italiani, il fondo del barile non esiste: così in Finlandia, nella città di Oulu, addirittura dal 1996, si affrontano i migliori specialisti di Air Guitar una specialità che consiste nel fingere di suonare e cantare la chitarra lanciandosi in spericolati assoli, generalmente heavy-metal o comunque hard-rock, mimando meticolosamente tutta la gestualità degli originali sonori (per chi interessasse c’è anche un campionato italiano). Il nostro pensiero non può che andare a Sanremo 1964 quando Roberto Satti, in arte Bobby Solo, ciuffo alla Elvis ma repertorio ben saldo nel melodramma italico, spopolò con “Una lacrima sul viso”, ma fu squalificato perché nella serata finale, a causa di una faringite, aveva cantato in play-back. Inconsapevole, aveva semplicemente anticipato i tempi. E ormai lo abbiamo capito, dopo aver toccato il fondo, per anticipare i tempi, basta raschiare. Anche senza aprire bocca.

lunedì 5 settembre 2011

Music voyager


Il 5 settembre 1977 la sonda spaziale Voyager 1 veniva lanciata da Cape Canaveral. Lo scorso agosto, poco prima di compiere trentaquattro anni e dopo aver sfiorato Giove e Saturno, abbandonava il Sistema Solare per inoltrarsi nella Via Lattea nella speranza di incontrare una qualunque forma di vita aliena alla quale far ‘ascoltare’ il "Golden record", un disco che custodisce gelosamente al suo interno. Si tratta di un ellepi di rame placcato in oro, inciso a 16 giri e chiuso in un cofanetto sigillato, con testina e puntina incluse, nella speranza che tra Vega e Orione qualcuno abbia ancora un giradischi che gira a quella velocità. E nell’auspicato caso, che cosa vi troverebbe il nostro simpatico extra-etraterrestre? Una varietà di 115 immagini, un gran numero di suoni naturali (onde, vento, tuoni, il canto degli uccelli e quello delle balene), i saluti in 55 lingue diverse (dall’Accadico alla lingua Wu, quella parlata nella municipalità di Shanghai) e il messaggio dell’allora presidente degli U.S.A. Jimmy Carter e del Segretario generale delle Nazioni Unite Kurt Waldheim. Niente d’interessante, almeno per chiunque abbia ancora in casa (o nella sua navicella spaziale) un Lenco o un Thorens; se non fosse per una singolare compilation musicale, forse la più variegata mai immaginata da mente umana (la quasi coeva “Mixage Inverno 1983” che comprendeva Gazebo, Los Joáo, Cless, Madeleine Uzho è stata evidentemente assemblata da una scimmia, nemmeno particolarmente intelligente). Tanta classica - Bach, Mozart, Beethoven, Stravinsky - molta world music (ante litteram: la canzone della casa dell'uomo della Nuova Guinea, la canzone dell'iniziazione delle donne pigmee, un canto matrimoniale del Perù e così via) un classico del blues di Blind Willie Johnson come "Dark Was the Night, Cold Was the Ground", uno del jazz come "Melancholy Blues" nella versione di Louis Armstrong e gli Hot Seven e uno del rock ‘n’ roll come "Johnny B. Goode" di Chuck Berry (nemmeno un brano dal paese del Bel Canto, un’onta dovuta esclusivamente al fatto che il nostro Presidente del Consiglio all’epoca non aveva ancora inciso il suo immortale album in duo con Apicella). La sonda adesso si sta dirigendo verso la costellazione dell'Ofiuco e tra circa 40.000 anni passerà ad una distanza di circa 1,6 anni luce dalla stella AC+793888. Ma forse una tempesta magnetica interstellare potrebbe modificarne la rotta e farla rientrare lentamente verso la Terra. E chissà che nel 33457 un nostro discendente, con un disco a 16 giri in mano, riesca ad ascoltare stupefatto "Johnny B. Goode". Sempre che non ce l’abbia già ovviamente.




lunedì 11 luglio 2011

A love supreme


Non ricordo quanti anni avessi. Compravo Musica jazz, oltre a molte altre riviste (Gong, Re Nudo, Muzak, Stereoplay, tutte finite nella spazzatura, allora non differenziata, alla mia prima bocciatura liceale), che allora presentava la classifica dei dischi jazz più venduti. Al primo posto quell'anno era balzato "Interstellar space", un disco in duo di John Coltrane e il batterista Rashied Alì, che era stato pubblicato per la prima volta, primo di una fortunatamente lunga serie di inediti riscoperti. Preso dall'entusiasmo l'avevo acquistato subito, anche affascinato dalla splendida copertina e dopo un primo ascolto l'avevo accuratamente riposto, in attesa di tempi migliori, per tornare ai Deep Purple, a Neil Young e agli Wings. La voglia di distinguermi da tutti coloro che ascoltavano banale rock, mi aveva portato ad insistere: non ricordo se trascinato dal successo dell'inedito o perché anch'esso ristampato, in classifica era apparso anche "A love supreme"; stavolta mi ero premunito e dopo aver computato "Jazz" di Arrigo Polillo all'apposito capitolo, avevo deciso che lo avrei acquistato e che mi sarebbe anche piaciuto. Se qualcuno mi avesse chiesto qualcosa avrei potuto rispondere con le parole dell'insigne critico, in attesa di elaborare una dignitosa posizione personale. Avevo accumulato le 4.500 lire necessarie e alfine mi ero recato ovviamente da Disco club in via San Vincenzo; ero entrato e dopo aver bofonchiato un buongiorno timido e vergognoso mi ero aggirato alla ricerca del disco (mai avrei domandato dove fosse col rischio di uno sguardo compassionevole o peggio di una replica). Infine ero tornato a casa e in tutta fretta ero andato in sala dove riposava il mio misero impianto (lo Stereroama 2000 deluxe comprato da Selezione del Reader's digest). Avevo estratto il disco che in un picosecondo mi era scivolato e si era frantumato a terra. Non ricordo la mia reazione, ma non escludo le lacrime. Avevo raccolto i cocci e avevo cercato conforto in "Interstellar space". Lungi dal sembrarmi un segno negativo la sciagura si trasformò in un'esortazione all'ascolto di Coltrane. Qualche tempo dopo ricomprai "A love supreme", che diventò il secondo di una lunga serie di titoli che comprende oramai tutta la discografia ufficiale del sassofonista di Philadelphia (più qualche bootleg, certo). Non sono certo l'unico fan, né il più accanito: anzi è di questi giorni la notizia che un certo Steve Fulgoni sta cercando di salvare la casa di Coltrane dall'abbattimento, a Dix Hills non lontano da New York; e dopo essere riuscito a farla acquistare dal Comune sta cercando un milione di dollari per trasformarla in un centro dedicato alla memoria di John e della musica nera. Sempre di amore supremo si tratta e se non l'avete ancora fatto, leggetevi il bel libro di Ashley Kahn edito dal Saggiatore dedicato alla storia del capolavoro di John Coltrane. E ovviamente buon ascolto (facendo attenzione a estrarre il disco dalla copertina).

lunedì 4 luglio 2011

SuperHeavy?


Di gruppi costruiti a tavolino è piena la storia del rock (e della musica in generale). Tutte le anime candide che adesso si stupiscono di “X factor” o di “Amici”, fanno finta di non sapere (o forse non sanno) che, ad esempio, i Monkees furono costruiti dalla bella idea di un produttore americano - Don Kirshner - ansioso di contrapporsi al sorprendente e inaspettato successo dei Beatles. Dopo aver organizzato un concorso a mezzo stampa, nel 1965 scova quattro bellocci, produce una serie di telefilm trasmessi dalla NBC con grande successo e finalmente l’anno dopo pubblica il primo disco in cui trovano posto “Last train to Clarksville” scritta dal duo Tom Boyce e Bobby Hart e “I’m a believer” dalla penna di Neil Diamond. Altra storia per i ‘Supergruppi’, a volte un vero e proprio ricovero per anziane rockstar spompate e in crisi di idee (una specie di legge Bacchelli che non ricade ‘direttamente’ sulle schiene della comunità), altre una geniale intuizione, generalmente destinata ad avere vita effimera per le ingombranti personalità dei partecipanti. Difficile dire, in attesa del primo singolo che uscirà il prossimo 12 luglio o dell’album previsto per settembre, se i “SuperHeavy” appartengano a una di queste due categorie o se siano qualcosa d’altro ancora. Difficile perché le parole che ne preannunciano l’arrivo sono a dir poco entusiastiche: “una bomba” è l’incipit di Videtti su Repubblica che, forse influenzato dall’inaspettata trasferta nell’estate californiana, racconta che fin dalle prime note “è come se Rolling Stones, Eurythmics, Bob Marley e Aretha Franklin si fossero dati convegno con Nusrat Faateh Ali Khan per creare una nuova forma di canzone pop per uscire dall’impasse di questi anni”. Non c’è che dire, un’aspettativa gravosa, anche se ti chiami Mick Jagger (68), Dave Stewart (59), A. R. Rahman (45, doppio Oscar per “The Millionaire”), Damian Marley (33) e Joss Stone (24). (Tra parentesi gli anni dei protagonisti, che, certamente per caso, coprono i decenni di coloro che ancora acquistano musica legalmente). Disco registrato in diciotto mesi tra Cipro, Istanbul, Chennai, Caraibi, Miami, Costa Azzurra e Los Angeles, per la gioia della torma di producer, esecutivi e segretarie, che avranno dovuto organizzare il tutto senza irritare la fragile psiche delle star, spesso sconvolte dal non trovare il loro amato Sancerre alla giusta temperatura o gli asciugamani esattamente della morbidezza e del colore richiesto. Detto questo, può darsi che il miracolo avvenga (“Miracle worker” è infatti il titolo di singolo e album), il disco sia bellissimo e che nel 2012 (quando le vendite avranno fatto capire se ne vale davvero la pena) li vedremo sul palco tutti insieme. Magari con un’ulteriore guest, un hip-hopper di colore, massimo quindici o sedici anni, tanto per essere sicuri di coinvolgere col merchandising e i concerti, anche coloro che la musica se la scaricano solo illegalmente. E nella speranza che la conferenza stampa di presentazione del tour sia d’inverno, ma in un bel posto di mare nell’altro emisfero.

lunedì 27 giugno 2011

People are strange


È uscito al cinema il 21 giugno, sarà in tv il 3 luglio su Studio Universal e dal 6 in homevideo, in un cofanetto Feltrinelli comprendente anche il libro “I giorni del Caos” di John Delmonico, accurata analisi dei file declassificati da Cia e Fbi sul ‘caso Morrison’. Si tratta di "When You're Strange", documentario realizzato da Tom DiCillo, operatore e direttore della fotografia del primo Jarmush e poi regista di un giovanissimo Brad Pitt in “Johnny Suede”. Ma per la stampa italiana l’argomento clou è stato il coinvolgimento, come voce narrante, di Morgan, avvenimento che ha meritato un’anteprima speciale lunedi 20 giugno a Roma, con una serata in cui la visione del film è stata preceduta da un mini concerto di Morgan, quattro pezzi in cui il musicista ha suonato lo stesso organo Fender Rhodes Bass che fu di Ray Manzarek, il tastierista dei Doors (dal resoconto non si capisce se si tratta dello “stesso” strumento, ho semplicemente dello stesso modello, che sarebbe come parlare di Maradona, vedendo palleggiare Ranocchia con le stesse scarpe, le Puma nello specifico). Nella conferenza stampa, oltre ad aver confermato il desiderio di ritornare a X-Factor 6 - che visto il grande successo di audience finirà a Sky - ha ricordato un episodio saliente della sua vita, quando adolescente andò al cinema a vedere il film di Oliver Stone sui Doors e, uscì dalla sala con “cinque canzoni nuove pronte”. Purtroppo non ha voluto fornire I titoli, ma almeno da oggi sappiamo quanta male può fare un film noioso e improbabile come quello di Stone. Infine, a conferma della sua innata modestia, ha dedicato un pensiero agli altri tre Doors: "Non so cosa volesse dire per loro avere a che fare con una personalità come Morrison. Forse si potrebbe chiedere ai Bluvertigo cosa ha significato per loro avere a che fare con me". Non risulta invece che abbia fatto dell’ironia sul fatto che dell’attesissimo seguito di “Italian Songbook Vol.1”, l’album del 2009 che doveva rappresentare l’inizio di un ciclo di riletture della musica italiana, non risulta esserci alcun segno all’orizzonte (fortunatamente aggiungiamo noi e anche la Sony, che deve ancora riprendersi). Ai distributori del film consigliamo, per il futuro, di limitarsi a sottotitolare il film, con il doppio beneficio di poter ascoltare la voce originale di Johnny Deep e silenziare quella del Jim Morrison “de noartri” (mi perdoni Jim, ma tanto è vivo da qualche parte a spassarsela con Elvis e chissà chi altro).

lunedì 20 giugno 2011

Musica(l)mente


È una notizia d’agenzia uscita la scorsa settimana, ma mettetela da parte perché nelle lunghe giornate d’agosto potrebbe saltar fuori su qualche quotidiano in cerca di notizie (nella speranza che non ci siano efferati delitti a riempire le pagine). Gli esperti americani Gregory Berns e Sara Moore si sono guadagnati le pagine della rivista scientifica “Journal of Consumer Psychology” grazie al loro particolarissimo esperimento: nel 2006, avevano selezionato 120 canzoni dalle pagine di artisti sconosciuti su MySpace. Poi avevano chiesto a 27 volontari fra i 12 e i 17 anni d'età di ascoltare i brani in cuffia, mentre veniva scansionata la loro attività cerebrale attraverso la risonanza magnetica funzionale. Tre anni dopo, mentre guardava il programma tv 'American Idol' con le sue due giovani figlie, Berns si è accorto che la presentatrice Kris Allen intonava una delle canzoni sconosciute che erano state utilizzate per la sua indagine scientifica. Si trattava di “Apologize”, degli One Republic. Lo scienziato ha quindi pensato: "Beh, abbiamo usato questo brano nella nostra ricerca. Quindi abbiamo a disposizione dati unici sulle risposte dei ragazzi a canzoni non popolari. Potremmo verificare se è possibile predirne il successo". L'esperto ha quindi organizzato un'analisi comparativa, rilevando che, effettivamente, i dati sulla risposta cerebrale dei teenager alle canzoni consentono di predire la popolarità di una canzone. Certo, ammette Berns, “questa scoperta accidentale ha i suoi limiti: è stata rilevata studiando solo 27 persone”. E, aggiungiamo noi, il campione avrà tenuto conto degli ambienti sociali da cui provenivano i ragazzi, delle influenze e delle preferenze musicali, dell’umore del momento? E poi una canzone su centoventi, non sembrerebbe proprio una percentuale a prova di idiota. Insomma, non proprio una dimostrazione scientifica impeccabile; ma il fatto che i ragazzi prescelti avessero tutti tra i 12 e 17 anni, potrebbe essere un’occasione per approfondire un po’ l’esperimento: è altamente probabile che i soggetti in questione non abbiano mai ascoltato “Like A Rolling Stone” di Bob Dylan, “Whats Going On” di Marvin Gaye, “A Change Is Gonna Come” di Sam Cooke, “My generation” degli Who per non parlare di un qualsiasi pezzo jazz o di musica classica o contemporanea. Allora si potrebbe provare a farglieli sentire “per vedere l’effetto che fa” o, per essere più scientifici, “la loro attività cerebrale attraverso la risonanza magnetica funzionale”. Certo a Berns non gliene frega molto in quanto "il mio obiettivo a lungo termine è comprendere i fenomeni e le tendenze culturali. Voglio sapere da dove vengono le idee, e perché alcune diventano popolari e altre no. In definitiva, sto cercando di prevedere la storia". O, meno pomposamente, sta cercando di prevedere come scegliere un cavallo sicuramente vincente e guadagnarci su. Ma se anche uno solo dei ventisette ragazzi, rimanesse a bocca aperta durante l’ascolto, questo sì, che meriterebbe una pagina di giornale.

lunedì 13 giugno 2011

Una vita spericolata


Mentre Vasco Rossi, il vero artista “contro” che non ha paura di sfidare l’impopolarità, si è dichiarato a favore del nucleare con la solita penosa motivazione che “La Francia ha le centrali nucleari vicine ai nostri confini quindi…”, l'Heineken Jammin Festival 2011 (al Parco San Giuliano di Mestre) si è meritato un articolo di Repubblica, dopo solo due delle tre date previste, per segnalare il calo della metà degli spettatori. Evidente il tentativo di correre ai ripari per l’ultima serata (toh, proprio con Vasco Rossi), mascherato da analisi sul fatto che la “la grande kermesse rock nel nostro paese non funziona più”. E chi può analizzare la crisi meglio degli operatori del settore? (Certo ci sarebbero gli spettatori, ma nell’articolo si sono dimenticati di interpellarli). Così i vari soloni (da Corrado Rizzotto, patron dell'I-Days di Bologna a Claudio Trotta di Barley Arts) puntano il dito contro la burocrazia e “la mentalità conservatrice del pubblico, schiavo dell'artista preferito o dell'headliner; atteggiamento fighetto del popolo del rock in Italia che ha paura di vivere l'esperienza del festival, anche se questo prevede i disagi di una giornata di pioggia; e infine le location sbagliate”. Sorvoliamo sulla burocrazia (peraltro vigente anche per i fruttivendoli e per gli affollati festival della letteratura), la soluzione ideale a quanto pare dovrebbe essere un pubblico demente che va a vedere un artista di cui non gli frega niente, anche in una giornata di tregenda, in una location che lo stesso organizzatore definisce sbagliata. Nemmeno una breve accenno al prezzo da pagare: parliamo proprio del Jammin festival che, pur ampiamente sponsorizzato dalla birra di cui sopra, propone un abbonamento a tre giornate a 150 euro più diritti di prevendita: che fanno 172,50 euro totali da pagare in anticipo senza aver alcun diritto ad un posto o a un settore preferenziale. A questi bisogna aggiungere il viaggio, due notti in tenda (per rimanere bassi), due colazioni, due pranzi e tre cene. Più la birra per dissetarsi (la roba da fumare facciamo che ve la portate da casa). Fate voi la somma e ditemi voi se non è un miracolo che ci siano ancora decine di migliaia di persone che possono permettersi una simile trasferta, soprattutto per vedere i Coldplay (la sera di giovedì) preceduti da Cesare Cremonini (l’ex leader dei Lunapop!), da Echo & the Bunnymen (bravi ai loro tempi, cioè quando la maggior parte del pubblico potenziale non era ancora nato) ed Erica Mou. Un cast messo insieme probabilmente con l’estrazione del Lotto, sistema confermato per la serata di venerdì (in ordine di salita sul palco Verdena, Interpol, Fabri Fibra, Negramaro; tutta roba da far invidia a una Festa dell’Unità) e sabato (Pretty Reckless, Noemi, All Time Low e Vasco Rossi). Non sappiamo quanti spettatori abbia totalizzato l’ultima serata, né se qualcuno abbia fatto notare a Vasco Rossi che il suo sillogismo a favore del nucleare non risolve il problema dei rifiuti tossici, anzi lo aggrava (più centrali ci sono…); e che comunque in Francia i festival sono meglio organizzati, costano meno e fortunatamente Vasco Rossi non sanno nemmeno chi è.

lunedì 6 giugno 2011

What’s going on



Forse qualcuno dovrebbe dirlo a D’Alema e Veltroni, ma durante la festa spontanea, lunedì sera in piazza Duomo, che ha celebrato la vittoria di Pisapia a Milano, il trionfo di De Magistris a Napoli, la sconfitta della destra un po’ ovunque, da Cagliari a Trieste, da Novara a Casoria tutti hanno compreso che qualcosa è definitivamente cambiato: per la prima volta dalle elezioni politiche del 1948, a dirigere la musica dal palco non c’era la nomenklatura del PD. Di conseguenza niente Jovanotti (“Mi fido di te” utilizzata nel 2007 per invitare a salire sul palco il neo-segretario Walter Veltroni da parte di Romano Prodi), niente Francesco De Gregori (“La Storia siamo noi”, proposta dallo staff di VeltroniPresidente quale inno del nuovo partito prima della solenne batosta che lo condusse alle dimissioni), niente Fossati con la “Canzone popolare”. E anche se a un tratto sembrava di essere tornati indietro di trent’anni - sul palco, in carne e ossa, Ricky Gianco e addirittura gli Stormy Six con “Stalingrado” - era come guardare un album di famiglia, con un pizzico di nostalgia, che non riusciva a indebolire, negli sguardi degli incontri, l’euforia contagiosa di una speranza finalmente plausibile. Tanto che Nichi Vendola a un certo punto mollava anche un’intervista in diretta per fermarsi a intonare in coro e a squarciagola “What's up (What's Going On)” dei Four Non Blondes. Certo, dagli altoparlanti arrivavano anche le note di “Bella ciao” nella deprecabile versione dei Modena City Ramblers, ma nemmeno questo riusciva a rovinare la festa. Più di ogni altra canzone era “Tutta mia la città”, versione di Giuliano Palma and the Bluebeaters (di cui si sentiva anche “Wonderful life”, la cover del brano di Black del 1985) a rappresentare al meglio lo spirito del momento. Il brano, originariamente una sorta di addio al passato inciso nel 1968 dai Move di Roy Wood (la futura Electric Light Orchestra), ripreso dall’Equipe 84 per il Cantagiro del 1969, è una bellissima canzone sulla fine di un amore. Ma quella sera è stata trasformata in un Inno alla Gioia (che Ludwig Van ci perdoni), in cui di tutte le parole contava solo il ritornello: la folla aveva operato una specie di sampler collettivo e spontaneo che ne aveva - forse con scorno di Mogol, paroliere italiano, non esattamente un simpatizzante della sinistra extra-parlamentare - riconfigurato il significato: “Tutta mia la città / questa notte un uomo piangerà”, in cui peraltro il termine uomo si può cambiare a piacimento con Nano o Silvio mantenendo salva la metrica. E allora chiediamo ufficialmente al PD di fare un passo indietro e abbandonare definitivamente le mire egemoniche sulle opzioni musicali della sinistra tutta. Lasciamo all’infinita varietà del caso e delle proposte che arrivano dal basso, il compito di accompagnarci nei prossimi possibili successi. Se poi questa vi sembra anche un’opzione politica, decidetelo voi!

lunedì 30 maggio 2011

Il silenzio è d’oro

Scrivo queste righe nel pieno del silenzio pre-elettorale, dopo il chiassoso concerto di piazza Duomo di giovedì 26 dedicato al candidato sindaco Letizia Moratti. Sul palco, oltre a Brian Ferry (inutile ogni commento), è toccato all’eurodeputato Iva Zanicchi sostituire in corsa il rinunciante Gigi D’Alessio, che a telefono con Red Ronnie ha spiegato i motivi del suo forfait (ma il giorno dopo a Napoli era a fianco di Berlusconi per cantare “O’ surdato innamorato”; se il padrone chiama…). Non sappiamo se l’aquila di Ligonchio abbia cantato “Zingara”, non proprio il titolo ideale per la candidata che ha fatto della questione nomadi - con la n minuscola, non quelli di Augusto Daolio - uno dei punti centrali della sua campagna; è invece certo che il nostro amato August Darnell in arte Kid Creole (un altro cresciuto in una zingaropoli come il Bronx) sia stato arruolato facendogli credere che avrebbe partecipato a un revival-party anni ’80, come ha prontamente scritto sulla sua pagina Facebook quando ha scoperto il trucchetto. Sempre per amore di precisione anche la cantante italo-somala Saba Anglana, che avrebbe dovuto essere presente come da comunicato stampa, ha confermato di essere stata invitata senza specificare la vera natura dell’evento e “tutto ciò mi ha portato a rifiutare con fermezza la proposta. Pertanto ribadisco la mia totale estraneità allo spettacolo”. Un bel tacer non fu mai scritto e allora tanto vale restare in silenzio con qualche classico del genere: da “The Sound of Silence” di Simon & Garfunkel (“E le insegne dissero: Le parole dei profeti, sono scritte sui muri della metropolitana, e nei corridoi delle case popolari e sussurrate nel suono del silenzio”) a “Enjoy The Silence” dei Depeche Mode (“Le parole sono del tutto inutili, possono solo fare del male”) fino a “Silence” di Charlie Haden (consigliamo la versione incisa per la Soul Note con Billy Higgins, Enrico Pieranunzi e Chet Baker). Se poi volete esagerare procuratevi il sempreverde John Cage: benché del 1952, il suo 4'33” composto per qualsiasi strumento (l'opera consiste nel non suonare lo strumento) rappresenta un silenzio inarrivabile.

lunedì 23 maggio 2011

Si cambi musica, maestro


Girando per Milano, orecchiando qua e là i discorsi della gente, non sembrerebbero esserci dubbi: la musica sta per cambiare e tutti se ne rallegrano. Uno dei pochi a rattristarsi sembra essere Red Ronnie, consulente di Letizia Moratti a centocinquemila euro all’anno, che sul suo sito di Facebook annuncia che LiveMi, la rassegna dedicata ai giovani musicisti organizzata dallo stesso critico musicale, sarebbe stata cancellata da Giuliano Pisapia come “effetto del vento che sta cambiando a Milano”. Purtroppo Gabriele Ansaloni (questo il vero nome del conduttore televisivo di "Roxy Bar") ha dimenticato che il nome del nuovo sindaco di Milano sarà noto solo il 29 maggio e il suo LiveMi era originariamente previsto per il 21 maggio. Risultato: la sua pagina Facebook intasata di messaggi ironici - da venerdì a domenica più di settemila - sulle colpe presunte di Pisapia. Sul sito della manifestazione, oggi, prudentemente, si comunica solo la sospensione dell’evento, ma resta il messaggio augurale di Letizia Moratti: "Milano è città leader della musica. C'è la Scala per la classica e San Siro per il rock. A questi si aggiungerà LiveMi, che diventerà punto di riferimento per la moltitudine di giovani musicisti e cantanti che, magari, in futuro riempiranno San Siro". Il progetto musicale è fin troppo delineato: vada per la Scala, vada ogni tanto per San Siro, quando il mio padrone e mio cognato ci danno il permesso, per il resto ci si arrangi pure come capita. Eppure la biografia di Red non lascerebbe dubbi: “Ronnie rappresenta da sempre l’eccellenza più prestigiosa nel campo della musica emergente” tanto che “nel primo mensile in DVD al mondo, Roxy Bar, ha ritagliato uno spazio per gli artisti emergenti”. È con trepidazione quindi che si aspetta l’uscita del nuovo numero del primo mensile in dvd e nel contempo il risultato di un ballottaggio che potrebbe avere inaspettati riflessi su tutta la politica italiana. Per quel che riguarda la musica, dopo aver goduto della serata del 17 maggio dove sul palco, in appoggio a Pisapia, si sono alternati Ministri, Dente, Samuel e Max dei Subsonica, gli Afterhours, Marta sui Tubi, Casino Royale, Roy Paci, si attende di scoprire il cast di quella che lancerà il rush finale, il 27 in piazza Duomo. Per adesso solo indiscrezioni e una certezza: non ci sarà Red Ronnie, impegnato a cancellare i post dalla pagina Facebook.

lunedì 16 maggio 2011

Jazz or not to Jazz


Per circa cinque anni ho lavorato in un negozio di dischi dedicato al jazz e ai vinili usati di ogni genere; spesso capitava qualcuno che, con l’aria più naturale del mondo, mi poneva la più temuta delle domande: “Vorrei cominciare ad ascoltare il jazz, mi consiglia un disco?”. Caparbiamente cercavo di approfondire l’argomento, domandando quali generi ascoltasse l’incauto postulante, spiegando che il jazz racchiude una molteplicità di musiche, anche molto diverse tra loro, che bisognerebbe forse partire da qualcosa che si è già ascoltato e che ci ha colpito e poi da lì proseguire per collegamenti e connessioni. Tutto vano, l’acquirente insisteva irremovibile: “Sì, va bene, ci sarà un disco però che bisogna assolutamente avere?”. Sì, diceva avere e non ascoltare, ma pur sussultando nel mio intimo e non essendo un autentico venditore (che gli avrebbe affibbiato una qualunque raccolta o un titolo impolverato e abbandonato da tempo immemorabile), piegavo il capo nei cassetti e ne estraevo “Kind of blue” di Davis o “Giant Steps” di Coltrane. In genere la cosa finiva lì, nel senso che il cliente nelle sue visite successive si guardava bene dal mostrare una qualunque reazione all’ascolto: o abbandonava del tutto il tentativo o si consegnava alle confortevoli enciclopedie a fascicoli da edicola (nemmeno malaccio a vederle col senno di poi). Sono passati più di dieci anni da quando ho abbandonato il mio lavoro più amato e molte cose sono inevitabilmente cambiate (perlomeno in campo musicale, in politica stiamo ancora aspettando). Adesso si compra sempre meno musica, sempre meno nei negozi e in sostituzione di Curcio e De Agostini, sono gli stessi quotidiani e settimanali a proporre ogni tipo di disco in allegato. Da questa settimana ad esempio, il Sole 24 Ore allega al quotidiano, al prezzo di 9,90 euro (folle, se consideriamo che il prodotto è esente IVA e che con 5 euro oggi si compra un qualunque capolavoro del jazz), il primo volume di “I miti del jazz”; duecentoquarantasette euro virgola cinquanta per venticinque cd-book (ma se ordinate l'intera collana scendete a 199) di cui purtroppo non sono specificati i dettagli: ci sono i nomi ovviamente (tutti i principali, più qualcuno superfluo e qualche grossa dimenticanza: c’è Phil Woods e non c’è Dizzy Gillespie, ci sono Glenn Miller e John Abercrombie, ma non c’è traccia di Hancock e Shorter), ma non si riesce a scoprire quali siano i brani scelti. Insomma, bisognerebbe acquistare al buio e, di questi tempi, Confindustria, l’editore del giornale, non è esattamente l’interlocutore più sicuro e affidabile. Per chi volesse decidersi a compiere il grande passo nel rutilante universo afro-americano meglio allora spostarsi sul sito del benemerito Folkways Smithsonian (http://www.folkways.si.edu/), un vero e proprio “paese dei balocchi” dove è racchiusa tutta la musica americana dalle sue origini ad oggi e dove è possibile ordinare qualunque cd in catalogo nel enorme archivio o farsene fare addirittura uno con la propria track-list. La pubblica istituzione (sì, avete letto bene, è un’istituzione pubblica nella patria del liberismo; andatelo a spiegare a quei cialtroni di economisti di casa nostra) ha appena approntato un cofanetto - “JAZZ: The Smithsonian Anthology” - di sei cd con un libretto di 200 pagine, di cui potete trovare i dettagli e che potete farvi spedire a casa per la modica cifra di 99.98 dollari, 70,0214 euro alla chiusura dei mercati di venerdì scorso. Ovviamente anche tra i 111 brani ci sono alcune assenze eccellenti, però ci trovate anche Medeski, Martin & Wood, Martial Solal, John Zorn e Pat Metheny. Insomma se volete farvi un’idea o un bel regalo, l’occasione è ghiotta. Sempre che invece non preferiate cercare la vostra vittima di turno in un dei pochi negozi di dischi rimasti; allora potreste entrare, dare un’occhiata in giro, alle copertine appese alle pareti, ai cd accumulati ovunque e con aria ingenua e interessata domandare: ““Vorrei cominciare ad ascoltare il jazz, mi consiglia un disco?”

lunedì 9 maggio 2011

Sid and my mother



Non ho speso una parola per quello che in molti si sono affrettati a contrabbandare per l’evento del secolo, il matrimonio di Prince Harry e Kate Middleton. Al mio inalienabile disgusto per ogni forma di nobiltà (sì, anche quella d’animo) e di matrimonio, si aggiungeva un aspetto musicale pressoché nullo. Così almeno credevo fino a quando nella mia cassetta-mail si è materializzato un comunicato in cui l’etichetta discografica Decca annunciava, “per la prima volta in assoluto”, la pubblicazione dell’intera colonna sonora del matrimonio. L’edizione in cd - esiste la possibilità anche del solo download - comprende “a special edition booklet” nel quale è possibile trovare “the complete order of service, the readings, vows, hymns and blessings, and all the music from the ceremony”. Ho cercato di immaginare a chi potesse interessare una cosa del genere, ma poi non avendo nemmeno dedicato un secondo della mia vita a tale risibile evento, ho capito che non ero la persona adatta per rispondere; per dovere di cronaca segnaliamo che nel cd non appare la cover di “You and I” di Stevie Wonder che George Michael ha dedicato ai due sposi e che la pubblicazione è prevista per il 10 maggio, genetliaco, oltre che della mia mamma che compie 81 anni, di Sid Vicious: per una volta di due si sarebbero trovati d’accordo sul giusto commento da dare all’evento. Per restare nell’ambito dei fatti ininfluenti sulla nostra vita, spendiamo due parole sull’Eurovision song contest che si terrà a Dusseldorf il 10, 12 e 14 maggio prossimi. Dietro la pomposa definizione si cela il solito Eurofestival, manifestazione canora lanciata nel 1956 (vinse la svizzera Lys Assia con “Refrain”; in quell’anno, tanto per fare un esempio Edith Piaf cantava “Les amants d’un jour”, “Albergo a ore” nella versione nostrana di Herbert Pagani e Chuck Berry incideva “Roll over Beethoven”) e mai troppo amata neppure da noi, forse perché abbiamo trionfato solo con Gigliola Cinquetti nel 1964 con “Non ho l’età” e con Toto Cotugno nel 1990 con “Insieme: 1992”. L’Italia, dopo dodici anni e grazie al rinnovato interesse da parte del direttore di Rai 2 Massimo Liofredi e soprattutto delle case discografiche, che non sanno più a che santo votarsi, torna nell’agone con Raphael Gualazzi e “Follia d'amore”, il brano vincitore di Sanremo giovani. Per l’alto numero dei partecipanti (quest’anno ritorna addirittura anche San Marino con una certa Senit) si disputeranno due semifinali dove si afffronteranno, tra gli altri, il bosniaco Dino Merlin che interpreta “Love in rewind”, il gruppo gypsy-punk moldavo Zdob şi Zdub con “So Lucky”, la bielorussa Anastasia Vinnikova con “I love Bielarus”, gli azeri Ell e Nikki che in inglese cantano “Running scared”, i Sigurjón's, trionfatori nella selezione islandese Söngvakeppni Sjónvarpsins 2011 con “Coming home”. Non abbiate paura per il nostro Raphael perché insieme ai rappresentanti di Spagna, Francia, Germania e Regno Unito, di diritto arriverà in finale permettendo così a Raffaella Carrà di tifare per lui quando, sabato 14 maggio alle ore 21 su Rai 2, commenterà dall’Italia con una “diretta parallela” (qualunque cosa voglia dire) l’imperdibile manifestazione. Apprendiamo anche che “per celebrare questo momento musicale, anche il programma pomeridiano di Rai Due “Top of the pops” dedicherà due puntate all’Eurovision Song Contest, il 7 e il 14 maggio. La trasmissione del sabato pomeriggio, condotta da Ivan Olita e Gaia Ranieri, ha deciso di ospitare alcuni degli artisti che vedremo sul palco, per far conoscere meglio al pubblico italiano le canzoni in gara”. Anche qui Sid e mia mamma si troverebbero infine d’accordo. God Save the Queen and the Rai too.

lunedì 2 maggio 2011

Primo Maggio, su coraggio.


Mentre scrivo queste righe il concertone del Primo Maggio non è ancora iniziato. E nemmeno la tanto attesa beatificazione di Karol Wojtyła, curiosamente collocata nello stesso giorno e nella stessa città (anche se non nella stessa nazione a voler essere precisi). La strana coincidenza, a parti invertite, avrebbe sollevato un gigantesco polverone: immaginate la reunion dei Pink Floyd che apre il concerto dei Rolling Stones con Paul McCartney al basso, su un gigantesco palco davanti al Colosseo la domenica di Pasqua. Il cardinal Bagnasco avrebbe inveito contro la musica del diavolo (sì, più o meno siamo sempre lì), La Russa in qualità di Ministro della Difesa avrebbe strenuamente attaccato i rappresentanti della perfida Albione (sì, più o meno siamo sempre lì), qualche leghista cretino (sceglietene uno, c’è solo l’imbarazzo) avrebbe strepitato contro l’ennesima invasione straniera; e il PD, per non esser da meno, avrebbe detto che forse, per ragioni di opportunità, sarebbe stato meglio spostare ovviamente il concerto a un’altra data. Invece il fatto che uno spettacolo per cui si attendono circa un milione di persone, sia stata collocato lo stesso giorno di una festa che in Italia celebriamo dal 1891 non ha turbato l’animo di alcuno. È pur vero che il Concertone - quest’anno presentato da Neri Marcorè, che forse per l’occasione rivestirà i panni di Giovanni Paolo I - è ormai diventato una stanca replica di se stesso: Luca Barbarossa (che dev’essere una specie di tassa sull’utilizzo di Marcorè), Gino Paoli che intonerà (speriamo lo intoni) il “Va’ Pensiero”, Edoardo Bennato per cui il Primo Maggio o una festa dei giovani di Alleanza Nazionale sono la stessa cosa, i Modena City Ramblers che, proviamo a indovinare, ci proporranno “Bella ciao”, non sono un cast che si possa definire stellare; forse gli organizzatori avranno pensato che molti dei partecipanti alla beatificazione, che probabilmente non avranno visto o ascoltato niente bloccati in qualche ingorgo umano, si sarebbero spostati a S. Giovanni per consolarsi con Subsonica, Caparezza o Daniele Silvestri. In caso non bastasse, tutti potranno comunque fermarsi un giorno in più, per la gioia degli albergatori e ristoratori romani, e recarsi il 2 maggio in Campidoglio alle 19 dove, con gli auspici e i soldi del sindaco Alemanno, potranno assistere a un concerto di musica sacra e all’esibizione di alcuni “veterani della musica italiana, tra cui Amedeo Minghi, Tosca, i Matia Bazar, Roby Facchinetti e la Premiata Forneria Marconi”. Sì, avete letto bene, la PFM. E se il vostro pensiero corre a De Andrè, non vi preoccupate, lassù c’è un nuovo beato che provvederà a consolarlo.

lunedì 25 aprile 2011

Bella, ciao.


Nella settimana di Pasqua, per una pseudo-rubrica di musica sarebbe d’obbligo parlare dell’ultima provocazione di Lady Gaga, il suo nuovo singolo "Judas", pubblicato proprio durante la Settimana Santa. Ma dopo tre righe dell’ennesima polemica montata ad arte e tre note dell’ennesima scopiazzatura di un qualunque pezzo di Madonna, in cui la pseudo-signora, pseudo-canta il suo innamoramento per il traditore di Cristo, l’idea viene già a noia. Così ci salva il calendario, che nel 2011 situa la dipartita del figlio di Nostro Signore verso la destra del Padre, in coincidenza con l'anniversario della liberazione dal nazifascismo. E i ricordi tornano ai 25 aprile di qualche anno fa, quando nella piazza delle scuole (così lo spazio antistante elementare e media di quartiere: asfalto, platani e panchine, periodicamente dotato di giostra) la locale sezione del PCI (o era il PSI? o, forse, addirittura insieme?) allestiva quattro, cinque stand con la pesca di beneficenza, la libreria, i friscieu (le frittelle, spesso regalate dai corpulenti cuochi, impietositi dalle nostre facce sbavanti) e i megafoni appesi agli alberi, che inesorabilmente diffondevano “El pueblo unido” e “Bella ciao”, ancora fortunatamente non in versione Modena City Ramblers. Proprio ripensando alla colonna sonora di quei giorni, nel ricordo sempre soleggiati, miti e spensierati, e ritrovando in settimana il valoroso Gianni Morandi alle prese con la promozione del suo ‘attesissimo’ nuovo album (in realtà la solita raccolta con l’aggiunta dell’inedita “Rinascimento”), mi è tornata alla mente la serata del Festival di Sanremo dedicata ai 150 anni dell’Unità d’Italia. Proprio in quell’occasione, grazie all’ineffabile coppia Mazzi - Morandi, tra le quattordici canzoni che avrebbero dovuto celebrare l’importante anniversario, non si trovò posto per “Bella Ciao”, sicuramente la canzone che nell’immaginario nazionale più di ogni altra celebra la vittoria sul fascismo e la nascita della nuova Italia repubblicana e democratica. Lo stratagemma usato per eliminarla è un vero e proprio marchio di fabbrica della destra populista berlusconiana: si contro-propone un’assurdità (nello specifico a Sanremo l’esecuzione bipartisan dell’inno fascista “Giovinezza”) e poi si rimuove tutto, in un impeto di magnanimità, che finisce invece per raggiungere il vero scopo: “per non scontentare abbiamo deciso di toglierle tutte e due” dichiarò Morandi all’epoca, fingendo di non sapere che così si accontentava solo la parte che non voleva la canzone partigiana sul palco di Sanremo (nell’ultima puntata di Anno Zero Marco Travaglio ha spiegato perfettamente il meccanismo, parlando del tentativo di bloccare il processo Ruby attraverso il ricorso al conflitto di competenza). Quella stessa sera Morandi cantò proprio “Rinascimento”: “Questo mondo tende la sua mano/ forse cerca Dio … questa sete di potere, di potere e denaro, un destino troppo amaro. La soluzione forse è pregare”. Giusto per sapere chi si nasconde, dietro quella faccia da eterno bravo ragazzo. Resistere, resistere, resistere e buon 25 aprile a tutti.

lunedì 18 aprile 2011

Let’s Face(book) the music and dance


La puntata di Report del 10 aprile scorso ha suscitato sgomento e ansia tra gli utenti Facebook, quando hanno improvvisamente scoperto che affidare la propria mail o il proprio numero di cellulare alla ‘Rete’, comporta qualche rischio: nel peggiore dei casi potrebbero violare il vostro account, impadronirsi del profilo e provare a clonarvi la carta di credito riducendovi sul lastrico nel giro di poche ore (se leggete questo post, sicuramente non avete una carta di credito che possa minimamente interessare a un pirata informatico dotato di un minimo raziocinio); nel minore, incroceranno i vostri dati (più ne mettete e più possibilità gli date) per scoprire i vostri interessi, le vostre propensioni, i vostri amici e usarli per farvi sganciare qualche soldo. Niente di grave occhio e croce, non più del rischio che correte quotidianamente entrando in un tabacchino o peggio in una ricevitoria abilitata alle scommesse. In genere basta girare al largo dalla pagina di destra del vostro profilo, quella in cui Facebook vi consiglia le “Persone che potresti conoscere” (di regola gente che conosci benissimo e che eviti con estrema consapevolezza) o vi segnala il nuovo ‘game’ del momento (“Gioca a Glory of Rome. Forma un esercito, estendi il tuo impero e prova il gioco più avanzato di Facebook!”. C’è qualcuno sano di mente che può essere attirato da una cosa del genere?) per evitare qualunque pericolo. Certo, le menti raffinate di Facebook ne sanno una più di Goebbels e riusciranno ugualmente a farvi cadere in trappola. L’altro giorno, pur avendo rivisto ancora una volta la trasmissione della Gabanelli su Rai Replay prima di accedere al perfido social-network, di fronte alla scritta che mi occhieggiava dallo schermo - “ti piace Bob Dylan, visita la pagina di Adriano Tarullo” - ho ceduto anch’io. Dopo qualche minuto di esitazione, in cui ho provato a immaginare il legame tra il menestrello di Duluth e il Tarullo in questione, guardandomi bene in giro e riconfigurando tutte le opzioni di privacy del mio account (Se vedi "http:" invece di "https:" allora tu NON hai una sessione protetta e può essere violata. In ogni caso Vai ad Account - Impostazioni account - Protezione Account - fare clic su CAMBIA. Casella di controllo - navigazione protetta - fai clic su Salva), ho cliccato. La pagina si è aperta con la rassicurante foto di un’anziana signora, evidentemente abruzzese, seduta su una panchina con una chitarra elettrica in mano, vicino ad un ragazzo in piedi. Entrambi ridono. Spostandosi sull’immagine parte l’audio di un brano ovviamente in dialetto abruzzese; più sotto una scritta: “Compilando il modulo qui sotto con il tuo nome (non occorre il cognome) e la tua e-mail principale, potrai scaricare (GRATIS) l'intero contenuto dell'album ‘Sacce cu è ju bblues’ e il singolo della canzone ‘Tutte le fundanelle’ dell'album ‘I vuojjie bbene a nonnate’.” Atroce dilemma degno di una tragedia shakesperiana. Compilare e poter godere di ‘Tutte le fundanelle’ o fuggire a gambe levate da un possibile hacker? Ai posteri l’ardua sentenza.

martedì 12 aprile 2011

Glocal hero



Venerdì 8 aprile alla Salumeria della Musica di Milano, il concerto di Aloe Blacc, la stella nascente del new-soul (“Good things” l’album, “I need a dollar” il singolo): quattrocento persone, pubblico di trenta-quarantacinquenni, molte ragazze, look casual, ma ricercato; il bar offre taglieri misti, accompagnati da vino o birra. Sabato 9 aprile, il PalaSharp, di Milano ospita il suo ultimo concerto (sarà abbattuto per ricavare spazio per il sempre più misterioso Expo 2015; intanto la città perde l’unico luogo capace di ospitare eventi musicali a capienza medio-alta). Sul palco il rapper Nas insieme all’enfant de famille Damian Marley (“Distant relatives” il loro disco insieme): quattromila persone circa, moltissimi giovani, arrivati anche da lontano (Puglia, Veneto), no-look, tra il centro sociale e la moda di periferia, colori giamaicani e afrori dolciastri. Le baracchette fuori arrostiscono birra e salciccia. Si potrebbe continuare a lungo ricordando il recente concerto di Mariza, la cantante nata in Mozambico che presenta il suo nuovo cd, “Fado tradicional”, in uno dei templi della musica classica, il Teatro dal Verme; o gli Eels all’Alcatraz, il luogo per eccellenza dell’ indie-rock. Pubblici diversi, fortemente caratterizzati, immediatamente riconoscibili, ma soprattutto raramente permeabili: molto difficilmente lo spettatore di uno dei concerti citati ha assistito anche ad uno degli altri (non solo per motivi economici); molto probabilmente lo spettatore di uno dei concerti citati non ha mai nemmeno sentito nominare uno degli altri nomi citati. In epoca di globalizzazione (o presunta tale) sembra che la musica abbia completamente perso la sua capacità di attirare trasversalmente le persone: i tanto vituperati generi hanno creato, sempre più, altrettante nicchie in cui gli ascoltatori si rifugiano confortevolmente, accontentandosi di ritrovare all’infinito le sonorità che più riconoscono. Tutto lecito ovviamente; se non fosse che dopo la sbornia degli anni ’70 in cui addirittura il rock e la classica o il rock e il jazz provavano a confrontarsi vicendevolmente, dopo la ‘world music’ che sembrava affermare la possibilità di una musica universale (quanto feconda è un altro discorso, ovviamente) assistiamo sempre più a quello che i sociologi - in tutt’altro campo - chiamano ‘glocalizzazione’, una crasi tra globale e locale applicata ai generi musicali. C’è da dire che questo fenomeno riguarda più il pubblico che i musicisti: Kanye West nel suo ultimo album “My Beautiful Dark Twisted Fantasy” campiona i King Crimson di “In the court of the Crimson King” e Nas il giro di basso di In-A-Gadda-Da-Vida; ma quanti tra i loro fan se ne rendono conto? E nel caso, quanti sarebbero minimamente incuriositi da quei dischi? Crediamo pochi e non prendiamo nemmeno in considerazione l’idea opposta, cioè che il seguace di Robert Fripp o degli Iron Butterfly sia men che lontanamente interessato a scoprire cosa si agita nel mondo rap per esempio. Tutti al sicuro nella loro tranquillizzante celletta in cui non entrano i rumori del mondo. Forse anche così, ci s’impoverisce giorno dopo giorno.

lunedì 4 aprile 2011

Songs for Japan?


Le cose devono essere andate più o meno così: 11 marzo 2011, alla scrivania di un ufficio, in uno degli ultimi piani di un qualche grattacielo di New York, un uomo di mezza età in impeccabile completo grigio sta guardando la CNN e le terrificanti immagini del terremoto e del conseguente tsunami in Giappone. Dalle vetrate s’intravede una brulicante umanità che si affanna dietro le ineludibili quotidianità della vita. L’uomo, stipendio da qualche milione di dollari all’anno più benefit ed eventuali dividendi, alza il telefono e impartisce alcuni ordini secchi. Ai piani inferiori un po’ d’agitazione: altre conversazioni si rincorrono nell’etere, tutte più o meno di questo tenore: “bisogna fare qualcosa per questa tragedia, abbiamo pensato a una compilation, non devi mica incidere un pezzo nuovo, basta che ci dai i diritti di uno vecchio, non vorrai mancare proprio tu no?”. All’altro capo del telefono Bono, Bob Dylan, John Frusciante, Lady Gaga, Michael Stipe, Bruce Springsteen, Sting, probabilmente anche loro con lo sguardo incollato su qualche schermo di tv, iPad o computer, che restituisce ogni possibile riflesso filmato del dramma. In pochissimi giorni si allestisce un cast degno: la macchina si mette in moto e già a fine mese su iTunes si può acquistare, alla modica somma di 9 euro e 90 centesimi, “Songs for Japan”, 38 canzoni, i cui proventi saranno devoluti alla Croce Rossa giapponese. Per la grafica si fa una scelta essenziale, i cartonati da piazzare in vetrina saranno pronti in pochi giorni. Intanto, in qualche fabbrica strategicamente collocata in nazioni dove il costo del lavoro e i sindacati non intralciano troppo la sacrosanta ricerca del profitto, si comincia a produrre il cd doppio, che dal 5 aprile sarà disponibile in tutti i pochi negozi rimasti in giro per il mondo. Si compila un bel comunicato (e nella fretta la Sony italiana fa un po’ confusione, forse un lapsus freudiano e scrive “Songs from Japan”) in cui si ribadisce che “gli artisti partecipanti, le etichette musicali e gli editori musicali hanno rinunciato ai loro diritti e al ricavato della vendita dell'album in tutto il mondo per garantire che la Croce Rossa riceva il maggior sostegno possibile da questa iniziativa globale” e il più è fatto (il disco è venduto a 7 euro ai negozi, dai quali vanno tolte spese di produzione, confezione, pubblicità; su iTunes sono 7,04 gli euro devoluti per ogni download). 5 aprile 2011: l’uomo è nel suo ufficio, seduto alla scrivania, il sole sta tramontando sull’Hudson, si lascia andare sulla poltrona, cambiando distrattamente canale con il telecomando. Squilla il telefono. Close-up.

lunedì 28 marzo 2011

Chi fermerà la musica


Da un paio di settimane il gruppo Espresso - Repubblica ha lanciato l'ennesima iniziativa editoriale relativa alla musica, un corso inedito e completo in dieci uscite per imparare a suonare quattro strumenti: chitarra, tastiere, basso, batteria. La pubblicità promette che "il metodo innovativo di Music Academy, in libro e DVD perfettamente integrati, vi insegnerà a suonare da soli e in una band". E aggiunge l'intelligentissimo 'claim': "Con Music Academy imparate suonando!", una vera rivoluzione rispetto alle masse di musicisti che, evidentemente, hanno imparato non suonando. Per una singolare coincidenza sul blog del giornalista Christian Rocca, il 20 marzo, è apparso un post dedicato a Garage band, un applicazione per iPad in grado di far comporre canzoni anche a chi non sa suonare una sola nota. Lui, che rientra in questa categoria, in qualche ora, ha composto tre brani ("It ain't over until is over", "It's over", "Arab unrest", idealmente raccolti nel primo EP dal titolo "Via Monterosa 91", purtroppo non disponibile al download), che ha immediatamente proposto ad amici e colleghi. Il cerchio, come in un terrificante incubo, è drammaticamente ed ermeticamente chiuso: da un lato (è un incubo, e quindi anche i cerchi hanno i lati) stormi di ragazzini che partecipano a X Factor, Amici e Ti lascio una canzone, inondando il mercato con i loro prodotti omologati, nella speranza che "uno su mille ce la fa"; dall'altro, moltitudini di analfabeti che armati di dispense, dvd e computer, producono felici e inascoltati, milioni di note. In una sconfortante giornata di marzo, mentre nel bagno di un ristorante, un altoparlante inserito nel soffitto, mi torturava con una terrificante versione pop di "Nessun dorma", ho pensato come in fondo sia proprio questa la musica della contemporaneità: quella che tutti suonano, cantano, improvvisano, imparano e nessuno ascolta, il riflesso dell'esasperato individualismo che contraddistingue questa malsana epoca in cui l'egocentrismo ha trionfato su ogni barlume di percezione collettiva. "È più facile farlo che suonarlo" insiste la geniale pubblicità del Music Academy. Certamente, ma bisognerebbe almeno sapere che cosa.

Un Amore Supremo

In occasione dell'uscita in edicola di A Love Supreme, primo titolo della collezione I Capolavori del Jazz in Vinile, sono andato a ria...