lunedì 4 luglio 2011

SuperHeavy?


Di gruppi costruiti a tavolino è piena la storia del rock (e della musica in generale). Tutte le anime candide che adesso si stupiscono di “X factor” o di “Amici”, fanno finta di non sapere (o forse non sanno) che, ad esempio, i Monkees furono costruiti dalla bella idea di un produttore americano - Don Kirshner - ansioso di contrapporsi al sorprendente e inaspettato successo dei Beatles. Dopo aver organizzato un concorso a mezzo stampa, nel 1965 scova quattro bellocci, produce una serie di telefilm trasmessi dalla NBC con grande successo e finalmente l’anno dopo pubblica il primo disco in cui trovano posto “Last train to Clarksville” scritta dal duo Tom Boyce e Bobby Hart e “I’m a believer” dalla penna di Neil Diamond. Altra storia per i ‘Supergruppi’, a volte un vero e proprio ricovero per anziane rockstar spompate e in crisi di idee (una specie di legge Bacchelli che non ricade ‘direttamente’ sulle schiene della comunità), altre una geniale intuizione, generalmente destinata ad avere vita effimera per le ingombranti personalità dei partecipanti. Difficile dire, in attesa del primo singolo che uscirà il prossimo 12 luglio o dell’album previsto per settembre, se i “SuperHeavy” appartengano a una di queste due categorie o se siano qualcosa d’altro ancora. Difficile perché le parole che ne preannunciano l’arrivo sono a dir poco entusiastiche: “una bomba” è l’incipit di Videtti su Repubblica che, forse influenzato dall’inaspettata trasferta nell’estate californiana, racconta che fin dalle prime note “è come se Rolling Stones, Eurythmics, Bob Marley e Aretha Franklin si fossero dati convegno con Nusrat Faateh Ali Khan per creare una nuova forma di canzone pop per uscire dall’impasse di questi anni”. Non c’è che dire, un’aspettativa gravosa, anche se ti chiami Mick Jagger (68), Dave Stewart (59), A. R. Rahman (45, doppio Oscar per “The Millionaire”), Damian Marley (33) e Joss Stone (24). (Tra parentesi gli anni dei protagonisti, che, certamente per caso, coprono i decenni di coloro che ancora acquistano musica legalmente). Disco registrato in diciotto mesi tra Cipro, Istanbul, Chennai, Caraibi, Miami, Costa Azzurra e Los Angeles, per la gioia della torma di producer, esecutivi e segretarie, che avranno dovuto organizzare il tutto senza irritare la fragile psiche delle star, spesso sconvolte dal non trovare il loro amato Sancerre alla giusta temperatura o gli asciugamani esattamente della morbidezza e del colore richiesto. Detto questo, può darsi che il miracolo avvenga (“Miracle worker” è infatti il titolo di singolo e album), il disco sia bellissimo e che nel 2012 (quando le vendite avranno fatto capire se ne vale davvero la pena) li vedremo sul palco tutti insieme. Magari con un’ulteriore guest, un hip-hopper di colore, massimo quindici o sedici anni, tanto per essere sicuri di coinvolgere col merchandising e i concerti, anche coloro che la musica se la scaricano solo illegalmente. E nella speranza che la conferenza stampa di presentazione del tour sia d’inverno, ma in un bel posto di mare nell’altro emisfero.

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