lunedì 14 giugno 2010


Sono iniziati i Mondiali, inutile cercare di ignorarlo: ogni quattro anni arrivano su maxi-schermi all’aperto (‘lights’ in Duomo a Milano su indicazione del sindaco Moratti, cioè a volume basso e senza esultare troppo; no comment) e su maxi-schermi ormai anche nel salotto di casa; come non bastasse, nella speranza di cavare qualche soldo ulteriore, si portano appresso una canzone, pomposamente definito inno, buono da cantare per un mese o per un’estate. Indimenticabili i precedenti: per Argentina ’78 si era scomodato Ennio Morricone, un pool di esperti aveva partorito il titolo, “El mundial”: nessun ricordo tra i viventi. Per Spagna ’82, dopo un convegno indetto ad hoc, ancora “El mundial”, questa volta interpretata da Placido Domingo, doppiata in lingua italiana dal reuccio Claudio Villa. Anche qui nessuna reminiscenza palpabile. Per Messico ’86, ormai sfiniti dalla lingua spagnola, si passa all’inglese di Stephanie Lawrence con “A Special kind of hero”: inutile dilungarsi in commenti. A Italia ’90 il bizzarro trio Moroder - Bennato - Nannini ci consegna la spossante “Un’estate italiana”; anche qui english version, “To be number one”, cantata nientemeno che dai Giorgio Moroder Project. Due arrangiamenti anche per ‘Gloryland’, l’inno ufficiale di USA ‘94: una strumentale eseguita dalla project-band Glory, l’altra da Daryl Hall. Per Francia ’98 si ricorre a Jean-Michel Jarre e Tetsuya Komuro con la vocalist Olivia; ma ‘Together now’ nell’immaginario collettivo è surclassata dal tormentone anglo-latino di Ricky Martin, “The cup of life”/“La copa de la vida”. Ancora per pochi intimi “Anthem”, l’inno ufficiale dei mondiali in Corea del Sud e Giappone del 2002, nonostante la firma di Vangelis. Doppio titolo per Germania 2006: “The Time of Our Lives” cantato da Toni Braxton e dal quartetto vocale Il Divo, gruppo che porta nel nome il germe della sua dissoluzione; e “Celebrate the Day” del celeberrimo musicista tedesco Herbert Grönemeyer, con il contributo vocale di Amadou e Mariam. Anche qui brani non pervenuti. Ed eccoci al Sudafrica con Shakira e “Waka Waka” (tanto per evocare “Pata Pata”); su quest’ultima si è preventivamente pronunciato Antonello Venditti che sul magazine del “Corriere della Sera” del 10 giugno, chiamato in causa per la sua esperienza sul campo (subito rinnegata nel corso dell‘articolo: “io di inni non ne ho mai scritti con intenzione”, né “Roma Roma”, né “Grazie Roma”) segnala il suo disagio di fronte alla scelta di una cantante colombiana. Lui avrebbe usato la voce di Miriam Makeba (da morta), magari chiedendo a Jonny Clag (sic) di comporre un brano. Immaginiamo parlasse di Johnny Clegg, ma non si può pretendere tanto da uno che guarderà i mondiali nel giardinetto della sua casa a Trastevere, come fa di consueto “dagli anni di piombo, quando il calcio era la droga del popolo” e che canterà “Fratelli d’Italia non con la voce, ma dentro il cuore, perché è così che si cantano gli inni”. Concetti profondi, che non ci stupiremmo di trovare nel prossimo successo dell’Antonello nostro. Da cantare dentro il cuore, ovviamente.

3 commenti:

  1. visto che l'articolo non l'ha scritto venditti, me la prenderei con l'ignoranza clegghiana del giornalista.
    L.

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  2. A me piace molto questo elemento.
    E la sfida a colpi di ignoranza, condita di immancabile retorica, la eviterei comunque.
    V.

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  3. Per la precisione l'articolo l'ha scritto proprio Venditti

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