lunedì 5 aprile 2010


Il nuovo cd di Franco Zaio (bizzarro “ircocervo”, animale mitologico, metà musicista, metà libraio), è totalmente autoprodotto e autodistribuito sul suo blog; sono cover di storici brani dei Clash per voce e chitarra: più che un disco vero e proprio, come il precedente “Last blues”, dedicato alle poesie di Pavese, “Know your Clash” è un documento, una traccia sonora di vita, resa possibile (o più facile) dall’era digitale in cui annaspiamo. Ma così come oggi non siamo in grado di riascoltare i rulli di cartone sui quali Scott Joplin incise i primi assoli di pianoforte, tra non molto non saremo nemmeno capaci di riprodurre il 45 giri che Elvis Presley fece a sue spese a Memphis, in tempi più recenti. Per le bobine sulle quali registravamo la voce della nonna, per riascoltarla tra lo stupore generale, è già troppo tardi; e anche per le musicassette siamo ormai agli sgoccioli. Tutto questo è accaduto nello spazio di un solo secolo; cosa accadrà fra trenta o quarant’anni? Quanto di quello che stiamo ansiosamente accumulando in ’tera-disk’, sarà riascoltabile dalle prossime generazioni? (Per approfondimenti vedi il bel libro di Maurizio Ferraris, “Documentalità”). Dopo aver passato la vita a iper-documentare le nostre passioni musicali, vere o presunte, ai nostri figli o nipoti (ammesso che siano minimamente interessati) forse non rimarrà niente, nemmeno una nota. È pur vero che in questo momento l’industria discografica si mantiene in vita proprio grazie alle ristampe (Hendrix dev’essere arrivato alla trentacinquesima rimasterizzazione!); ma chi decide cosa ripubblicare/salvare nei nuovi formati e perché? Due sono i soggetti deputati a scegliere: il mercato, nefasto o forse solo concreto e le Fondazioni, istituzioni che tramandano l’eredità di un’artista, anche a costo di travisarla e mummificarla. In Italia le più attive sono quella dedicata a Giorgio Gaber e a Fabrizio De Andrè: due artisti decisamente fuori dal coro, spesso costretti a rientrarvi proprio in occasione delle loro celebrazioni. Ma se la prima sembra impegnata a mantenere in vita lo spirito dell’artista milanese (e del suo alter-ego, ancora vivente, Sandro Luporini), la seconda (sia detto con il massimo rispetto) indugia in una rievocazione al limite dell’imbalsamazione. La mostra a lui dedicata (passata per Genova e Nuoro, attualmente all’Ara Pacis di Roma) era al limite; il libro pubblicato da Chiarelettere “Tourbook” il limite sembra decisamente oltrepassarlo (come sicuramente fa il racconto a fumetti di Berardi e Càlzia “Uomofaber”, al Museo Luzzati di Genova fino al 18 aprile). Ma forse siamo noi, che alla commemorazione preferiamo il soffio vitale della condivisione. Proprio come Franco Zaio.

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