domenica 28 settembre 2014

Jazz, improvvisazione e Partito Democratico


Inutile negarlo, questa rubrica è una filiazione diretta di una precedente, Disco Mix, iniziata su queste pagine nel luglio del 2009 e terminata – ed è la prima volta che ne diamo notizia – nel luglio scorso. Riprendere facendo finta di niente ci sembrava brutto e così abbiamo cambiato anche il titolo, giusto per dare un segnale di discontinuità in quest’epoca di velocissimi quanto apparenti cambiamenti. E qui vi risparmiamo la citazione da Il Gattopardo, che tanto la conosciamo tutti, e andiamo avanti più o meno come prima, a scavare musica con la pretesa di trovarci qualcosa di inconsueto e inaudito, remixando i segnali sonori che arrivano ormai da ogni luogo e da ogni tempo, a scrivere non tanto con la pretesa di spiegare qualcosa, ma con la speranza di capirci qualcosa.

L’inserto domenicale del Sole 24 Ore apre, crediamo per la prima volta nella sua storia, con un lungo articolo dedicato a un disco di jazz. L’onore è toccato Steve Lehman, il sassofonista che ha appena pubblicato Mise an Abyme, un lavoro in ottetto per il quale Arnold I. Davidson parla senza mezzi termini di un disco epocale (anche la rivista francese Jazz Magazine nel numero di settembre gli ha attribuito il massimo dei voti, così come John Fordham sul Guardian). Escludendo che sia finito in apertura per una presunta parentela del musicista con i titolari della banca d’affari Lehman & Brothers, la cui crisi nel settembre 2008 ha dato inizio simbolicamente all’attuale recessione e al di là dell’aspetto musicale (ovviamente il consiglio è di ascoltarlo, con l’avvertenza che ci si trova di fronte a un’opera piuttosto complessa, in bilico tra caotica avanguardia e raffinata partitura scritta) che normalmente lo avrebbe relegato negli scarni spazi dedicati alla musica, il motivo per cui il disco si è meritato tanto lustro è il parallelo che pone il filosofo della politica Davidson (forse una breve introduzione su chi sia l’autore non sarebbe stata fuori luogo) tra il jazz e i rapporti sociali tra individui: “La più vitale tradizione democratica dovrebbe essere, per citare il titolo del primo disco di Lehman, un insieme di lavoro, trasformazione e flusso (Travail, Transformation and Flow, album dell’anno per il New York Times nel 2009). Nel solco di quanto scriveva Eric Hobsbawm nella sua Storia sociale del jazz (ristampata l’anno scorso da Res Gestae), la politica e l’etica sono esplicitamente invitati da Davidson a seguire l’esempio dell’estetica musicale per trovare nuove vie verso la democrazia. Purtroppo l’autore oltre a dimenticare di citare i musicisti del disco (rimediamo noi: Steve Lehman, alto sax; Jonathan Finlayson, tromba; Mark Shim, sax tenore; Tim Albright, trombone; Chris Dingman, vibrafono; Jose Davila, tuba; Drew Gress, basso; Tyshawn Sorey, batteria) sorvola sul fatto che in un ottetto ci si riesce a mettere d’accordo, in un’orchestra di trenta-quaranta elementi con un buon direttore anche, ma in un organismo complesso e multiforme quale ad esempio il Partito Democratico forse l’idea di suonare tutti la stessa musica è davvero improponibile.

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