lunedì 7 febbraio 2011

Sono solo canzonette


La consueta classifica annuale dei frequentatori del negozio e dei lettori del sito di Disco club ha visto trionfare l’inutile disco degli Arcade fire seguito da Beach House, National e Roky Erickson. A niente sono valse le richieste, più che motivate, di introdurre classifiche specifiche per generi, che avrebbero permesso visibilità a dischi meritevoli, ma che non dispongono dell’appeal ‘mediatico’, di un consenso generalizzato o trasversale necessario a entrare tra i piani alti della lista. Niente da fare, l’istanza è stata rintuzzata senza pietà, in ossequio a quel pensiero unico che da sempre pervade la comunità di cui sopra: unico il pensiero, unica la classifica. Niente a che vedere con gli Stati Uniti, il paese dove tutto è possibile, dove domenica 13 febbraio alle 20 (ora di Los Angeles) avrà inizio la cerimonia di premiazione dei Grammy Awards 2011, quelli che tutti per brevità chiamano gli Oscar della musica. Qui le categorie sono centonove (109), tra cui si segnalano una per le migliori note di copertina, una per i migliori box, una addirittura per il “Best New Age Album”, un genere di cui nessuno serbava ricordo e rimpianto (a una profonda analisi però, le categorie si riducono a centootto - 108 - perché nel 2010 il “Best Regional Mexican Album” non sarà attribuito per mancanza di concorrenti. Pazienza). Senza fare previsioni (chi è davvero in grado di sapere cosa pensano gli americani di musica, cinema e politica estera?) scorriamo alcune categorie: nel disco dell’anno troviamo sempre gli Arcade fire, presenti anche nel “Best Alternative Music Album” (ecco la cinquina completa: Band Of Horses, The Black Keys, Broken Bells, Vampire Weekend), oltre a un quartetto impresentabile composto da Eminem, Lady Gaga, Kate Perry e Lady Antebellum (due uomini e una donna, fanno country e ciò vi basti). Nel jazz la situazione non migliora: i candidati in lizza sono The Stanley Clarke Band, Joey DeFrancesco, Jeff Lorber Fusion, John McLaughlin, Trombone Shorty (vengono da New Orleans, ma sembrano i Raydio di Ray Parker jr.; se non sapete chi è, non indagate). Anche qui bisogna spulciare tra le tante righe per trovare “Historicity” di Vijay Iyer (il mio disco dell’anno) o Keith Jarrett (ma per il solo di “Body and soul” e non per l’intero “Jasmine”). Insomma la situazione è plumbea un po’ ovunque e anche l’estrema specializzazione non garantisce un livello qualitativo nella varietà proposta, a dimostrazione che il pensiero unico finisce per essere davvero un pensiero totalizzante. Non resta che fare da sé, ascoltando in giro e scegliendo quello che più ci aggrada, senza lasciarsi andare alla solita litania che non si sa dove ascoltare la buona musica: in rete tra YouTube, MySpace e le radio specialistiche (per gli amanti del jazz segnatevi questa per esempio: http://www.jazzradio.com/) c’è solo l’imbarazzo della scelta. Se poi sceglierete gli Arcade fire (che magari vinceranno anche un Grammy), peggio per voi; ma in fondo sono solo canzonette.

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