lunedì 26 marzo 2012

A teatro la musica è di troppo


All'inizio di tutto c'è il teatro-canzone di Giorgio Gaber: una forma probabilmente mitologica, per molti anni considerata estinta. Poi i primi avvistamenti, sparsi qua e là per la penisola: all'inizio in un piccolo festival portato avanti dai legittimi eredi in quel di Viareggio, dove si avvicendavano cantanti, attori, comici, tutti impegnati nel far rifiorire il mito del capostipite. Poi una pletora di imitatori più o meno in buona fede, alimentati anche dall'opportunità di inserirsi in un circuito teatrale e musicale a costi produttivi decisamente ridotti. Se non il primo, Giulio Casale è stato sicuramente il più mimetico: in "Polli d'allevamento" si calò nei panni del Gaber Giorgio, fino a ripeterne didascalicamente i movimenti, le espressioni, i gesti. Da quel momento si moltiplicarono le gaberizzazioni e oggi l'idea è stiracchiata in ogni sua possibile applicazione: il cantante da solo in scena a metà tra concerto e monologo (Rocco Papaleo, ancora Giulio Casale) lascia il posto al cantante che fa teatro tout-court (Simone Cristicchi), al cantante con lo scrittore, meglio se con pretese filosofiche (Gianmaria Testa e Erri De Luca), al cantante con l'attore (ancora Gianmaria Testa e Giuseppe Battiston: "Il pitone"), all'attore con il musicista (Elio Germano e Theo Teardo: "Viaggio al termine della notte"), al cantante con l'attrice che nel frattempo è diventata cantante (Mauro Ermanno Giovanardi e Violante Placido), al giornalista musicale con il cantante (Massimo Cotto ancora con Mauro Ermanno Giovanardi che deve averci preso gusto: "Chelsea Hotel"), fino al regista che interpreta monologhi tratti dai suoi film, con le musiche eseguite dall'orchestra (Nanni Moretti e le musiche di Nicola Piovani e Franco Piersanti). Questo solo per rimanere agli spettacoli attualmente in scena. I risultati, limitatamente ai titoli visti (e cioè tutti quelli citati, tranne i due con Giovanardi e a quello di Moretti), modesti se non imbarazzanti: operazioni costruite sulla carta, didascaliche e retoriche, in cui si resta a metà del guado, tra teatro e concerto, a dimostrazione che due malati cronici messi insieme non fanno mai un paziente sano.

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