mercoledì 13 gennaio 2016

La Corrispondenza, io e Bowie


Lunedì mi sono svegliato e poco dopo Francesca ha scritto su Whatsapp: “Merda, ma è morto David Bowie”. (Per correttezza dico che non ho mai comprato un suo disco fino a due anni fa quando sono rimasto folgorato da The Next Day). Tutti scrivevano sui social dell’alieno che tornava al suo pianeta, della stella che brillava lassù e altre cose del genere, e molti dei miei amici postavano video, foto, immagini, raccontando pezzi della loro vita in cui si erano accompagnati a David. Lentamente la marea cresceva coinvolgendo tutti i media e innescando l’inevitabile risacca di quelli rispondevano dicendo che a loro di Bowie non glien’era mai fregato niente e che musicalmente non era stato in alcun modo importante o influente.
Ho messo Blackstar nel telefonino (che avevo già deciso di comprare, sarebbe stato il mio secondo disco, anche colpito favorevolmente dal fatto che ci fosse il sassofonista Donny McCaslin) e sono andato al cinema a vedere l’anteprima nuovo film di Tornatore, “La Corrispondenza”. Il protagonista è Jeremy Irons nei panni di un luminare dell’astrofisica che ha una relazione con Olga Kurylenko, studentessa nella stessa materia che per guadagnarsi da vivere fa la stuntman (è normale no?). I due sono amanti e si vedono molto poco, ma si scrivono tantissimo: mail, skype, chat, biglietti e lettere, una ‘corrispondenza di amorosi sensi’ quasi esasperata, nemmeno interrotta dal fatto che dopo pochi minuti di film Irons muore.
A colpi improvvisati la storia va avanti (a un certo punto uno della DHL vede Amy-Olga per strada e le dice: scusi signorina, ho un pacco per lei!); e non si può far a meno di ridere quando sempre lei porta ad un amico smanettone una telecamera per recuperare dei video e lui le dice: “Devo farla vedere a qualcun altro, posso?”; lei domanda a chi e lui imperturbabile risponde “Servizi segreti”.
Insomma il solito Tornatore, anche bravo a girare per carità, ma poi disastroso a sviluppare la sceneggiatura, tanto più con dialoghi e frasi - di cui la locandina ci fornisce un fulgido esempio - che sembrano usciti da Un Posto al Sole (sembra un complimento, ma qui stiamo parlando di cinema). Soprattutto asfissiante nel sottolineare e ribadire il significato di ogni scena, anche il più esplicito, come se il suo pubblico fosse incapace di intendere. Così se il professore ultimamente andava all’osservatorio a guardare la nebulosa del granchio (‘cancer in latino), qualche scena dopo il premuroso Giuseppe fa depositare un granchio in mano alla ragazza sempre più disperata. La nebulosa in realtà – dice Wikipedia - è un resto di supernova che si trova a 6500 anni luce dal sistema solare così che quello che si osserva è già scomparso da secoli; insomma la stella è morta e la luce che vediamo noi non esiste più. Avete capito? Anche lui è morto e continua a mandare messaggi, è chiara la metafora? Affogato in tutta questa retorica tautologica il film naufraga dolcemente con il vantaggio, per la mente, di potersi occupare d’altro. Il pensiero così è tornato a Bowie, a Blackstar e a tutta la sua musica, un nugolo infinito che ognuno può ascoltare quando meglio gli pare. Bizzarra e fascinosa corrispondenza: devo mettermi a sentire Bowie, e sono un uomo fortunato, posso comprarlo e ascoltarlo per la prima volta. 
E lo siete anche voi, perché grazie a me vi potete evitare il film di Tornatore.

1 commento:

  1. Di musica e di cinema ne hai sempre capito poco, quindi non ci meravigliamo.......

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